domenica 23 gennaio 2011

La Battaglia è intorno al Re




Di seguito, poichè siamo al sesto giorno della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, pubblico una conferenza tenuta qualche anno fa (ma attualissima) dal p. Cantalamessa alla Berlin-Ökumenischer Kirchentag



Quando si arriva in piazza S. Pietro a Roma lo sguardo è immediatamente attratto dall’obelisco che è al centro della piazza. È il punto di convergenza di tutti gli sguardi, segna il centro di tutto e da equilibrio al tutto come l’albero maestro in una nave. Gesù Cristo è l’obelisco al centro della Chiesa; ad esso devono essere costantemente rivolti gli sguardi e l’attenzione dei cristiani, è l’albero maestro che da stabilità a tutto nella Chiesa.

Cerco di spiegare perché mi sembra importante richiamare questo fatto nel momento storico che stiamo vivendo. La posta in gioco all’inizio del terzo millennio, non è più la stessa dell’inizio del secondo millennio, quando si produsse la separazione tra oriente e occidente, e neppure è quella a metà del millennio, quando si produsse, in seno alla cristianità occidentale, la separazione tra cattolici e protestanti.

I punti controversi tra oriente e occidente erano la dottrina del Filioque (sulla processione dello Spirito Santo dal Padre soltanto o dal Padre e dal Figlio), il problema se usare per l’Eucaristia pane azzimo o pane fermentato, se omettere o meno l’Alleluia durante la Quaresima…Possiamo dire che questi siano ancora i problemi vitali che appassionano gli uomini di oggi, ai quali dobbiamo annunciare il vangelo?
Le questioni che provocarono la separazione tra Chiesa di Roma e la Riforma nel secolo XVI furono soprattutto le indulgenze e il modo in cui avviene la giustificazione dell’empio. Ma, di nuovo, possiamo dire che questi siano i problemi con i quali sta o cade la fede dell’uomo d’oggi? In una conferenza tenuta al Centro “Pro unione” di Roma, il cardinale Walter Kasper faceva giustamente notare che mentre per Lutero il problema esistenziale numero uno era come superare il senso della colpa e ottenere un Dio benevolo, oggi il problema semmai è il contrario: come ridare all’uomo d’oggi il vero senso del peccato che ha smarrito del tutto.

In un’epoca in cui tutti, da New Age in su, parlano di una salvezza che l’uomo deve trovare in se stesso, come riproporre il messaggio di Paolo che “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rom 3, 24) e che abbiamo bisogno di un Salvatore? Io sono un cattolico, e per giunta italiano, ma confesso che mi ritrovo a volte a desiderare che la Germania dia oggi alla Chiesa e al mondo un altro Lutero, perché per me Lutero, al di là delle dottrine particolari e dei punti controversi è l’uomo dalla fede in Gesù Cristo più granitica di una roccia. Sue sono le parole: „Perdere Cristo, è perdere tutto. Avere Cristo, è avere tutto: se mi resta Cristo tutto mi resta e può essere trovato“.
Nella descrizione delle battaglie medievali c’è sempre un momento in cui, superati gli arcieri, la cavalleria e tutto il resto, la mischia si concentrava intorno al re. Lì si decideva l’esito finale della battaglia. Anche per noi la battaglia oggi è intorno al re... La persona di Gesù Cristo è la vera posta in gioco. Si ripropone la domanda iniziale: “Voi chi dite che io sia?” (Mt 16, 15).

La nostra situazione, nel mondo post-cristiano, somiglia per molti aspetti a quella vissuta dalla Chiesa al suo inizio, nel mondo pre-cristiano e da essa possiamo attingere un po’ di luce. Allora non esisteva una filosofia cristiana, un’arte cristiana per cui si potesse essere cristiani per cultura e non per altro; non esistevano concordati con gli stati che proteggessero gli interessi della Chiesa. C’era solo la forza di un nome e di una persona: Gesù Cristo e questa bastò a cambiare il mondo. Bisogna riscoprire la forza “unica” di questo nome.

Cosa rappresenta Gesù Cristo per i cristiani nell’era della comunicazione di massa? La fede in Gesù Cristo che, negli ultimi tre secoli, ha superato la grande sfida della critica storica, supererà ora la non meno formidabile sfida del pluralismo religioso? Oggi si tende giustamente a riconoscere alle altre religioni una dignità propria e un ruolo positivo nel piano divino di salvezza. Il concilio Vaticano II, nel decreto Nostra aetate, ha riconosciuto che c’è del buono e del vero nelle altre religioni. Ora il bene e il vero, Dio non lo “tollera” solamente, ma lo vuole e lo valorizza anche quando è mescolato con il suo contrario. Anche l’Antico Testamento contiene ancora tanti elementi caduchi e moralmente inaccettabili, ma questo non ci impedisce di riconoscere il suo immenso valore religioso e una autentica rivelazione di Dio.

Il punto delicato è sapere se il riconoscimento di una dignità propria alle altre religioni ci costringe a sganciarle dal Cristo incarnato e dal suo mistero pasquale per farne delle vie di salvezza parallele, del tutto indipendenti da Cristo. “Un evento particolare –si fa osservare -, limitato nel tempo e nello spazio, come è il Cristo dell’incarnazione, non può esaurire le potenzialità di Dio e del suo Verbo eterno che sono infinite”. È vero, si deve rispondere, ma può realizzare, di tali potenzialità, quanto basta per la salvezza di un mondo che è anch’esso limitato nel tempo e nello spazio!

C’è oggi una corrente teologica per la quale Cristo non sarebbe venuto per la salvezza degli Ebrei (ai quali basterebbe rimanere fedeli all’Antica alleanza), ma per quella dei gentili e un’altra corrente secondo la quale egli non sarebbe necessario neppure per la salvezza dei gentili, avendo questi, nella loro religione, una rapporto diretto con il Logos eterno, senza bisogno di passare per il Verbo incarnato e il suo mistero pasquale. Viene da domandarsi: per chi è dunque ancora necessario Cristo?

Se insisto su questo punto non è per stabilire la superiorità della nostra religione sulle altre, ma per non tradire il nucleo centrale di tutto il Nuovo Testamento. Io credo che tutte le secolari discussioni tra cattolici e protestanti intorno alla fede e alle opere hanno finito per farci perdere di vista il punto principale del messaggio paolino. Quello che all’Apostolo preme anzitutto affermare in Romani 3 non è che siamo giustificati per la fede, ma che siamo giustificati per la fede in Cristo; non è tanto che siamo giustificati per la grazia, quanto che siamo giustificati per la grazia di Cristo. È Cristo il cuore del messaggio, prima ancora che la grazia e la fede.

Dopo avere nei due precedenti capitoli della Lettera presentato l’umanità nel suo universale stato di peccato e di perdizione, l’Apostolo ha l’incredibile coraggio di proclamare che questa situazione è ora radicalmente cambiata “in virtù della redenzione realizzata da Cristo”, “per l’obbedienza di un solo uomo” (Rom 3, 24; 5, 19).

L’affermazione che questa salvezza si riceve per fede, e non per le opere, è presente nel testo ed era la cosa più urgente da mettere in luce al tempo in cui Lutero scriveva. Ma essa viene in secondo luogo, non in primo. Abbiamo commesso l’errore di ridurre a un problema di scuole, interno al cristianesimo, quella che era per l’Apostolo una affermazione di portata ben più vasta e universale. Oggi, raggiunto un fondamentale accordo intorno a questa divergenza (vedi documento congiunto del 1999 della Chiesa Cattolica e della Federazione mondiale delle Chiese luterane), siamo chiamati a riscoprire e proclamare insieme il fondo del messaggio paolino. Per qualcuno questa scoperta potrebbe essere qualcosa di analogo a ciò che fu per Lutero la famosa “esperienza della torre” (Turm-erlebniss). In ogni caso, questo è ciò che essa è stata per me.

L’apostolo Paolo ha qualcosa di importante da dirci anche su come conciliare insieme dialogo interreligioso e annuncio di Cristo, senza compromettere nessuna delle due cose. Ci insegna a non fondare l’evangelizzazione su un motivo negativo, ma su uno positivo; a non far leva sul fatto che, se non arriva a conoscere Cristo, la gente non si salva (il vecchio “extra Ecclesiam nulla salus”), quanto sull’amore di Cristo per tutti gli uomini. “L'amore di Cristo ci spinge – scrive - al pensiero che uno è morto per tutti" (2 Cor 5, 14).
Paolo annunciava Cristo perché convinto dell'immensità del dono che Cristo è per il mondo. Non annunciare Cristo, gli sarebbe parso un occultare il dono, un defraudare il mondo di qualcosa che gli spetta di diritto; insomma, una terribile infedeltà e responsabilità. Di qui il suo grido: "Guai a me se non evangelizzo!" (1 Cor 9,16).
Cristo è anche il vincolo di unità più forte tra tutti i cristiani. Nel dialogo interreligioso, Gesù di Nazaret è nulla. Non si può neppure pronunciare il suo nome senza creare subito contrasti e sospetti. (Ho assistito una volta a uno di questi incontri a livello mondiale e alla fine ho fatto una constatazione: in una giornata di discorsi e di dibattiti, il suo nome non era stato pronunciato una sola volta). Nel dialogo ecumenico, al contrario, Gesù Cristo è tutto. È la realtà che ci unisce, più forte di tutto ciò che ancora ci divide. In lui siamo già “una cosa sola”.
Se tutti i cristiani si rimettono in cammino verso Cristo, ognuno dal suo punto di partenza, ben presto si troveranno uniti tra di loro. Ho portato l’esempio dell’obelisco in piazza S. Pietro. Immaginiamo cosa succede quando gruppi di persone voltano le spalle all’obelisco e si incamminano verso l’esterno della piazza: a mano a mano che si allontanano dal centro si allontanano anche gli uni dagli altri, fino a finire ognuno in un punto diverso del colonnato. Immaginiamo invece cosa succede se si fa il movimento contrario: a mano a mano che i diversi gruppi si avvicinano al centro si avvicinano anche tra di loro, fino a formare una sola massa intorno all’obelisco. È la via per tornare ad essere, come i discepoli all’indomani della Pentecoste, “un cuore solo e un’anima sola” (Atti 4, 32).

“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 3,13). Lo Spirito Santo è decisamente “monotono”, dice sempre la stessa cosa. All’inizio del terzo millennio continua a dire alle Chiese la stessa cosa che disse, o meglio gridò, il giorno che scese per la prima volta sui discepoli a Pentecoste: “Sappia con certezza tutta la casa di Israele (oggi direbbe: sappia con certezza tutto il mondo) che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che gli uomini hanno crocifisso!” (cf. Atti 2, 36).