giovedì 7 marzo 2013

Confessori a tempo pieno

 
(Nicola Gori) È proprio un duro lavoro quello del confessore. Ascoltare i fedeli, immedesimarsi nelle loro difficoltà, nel loro modo di porsi verso gli altri per guidarli, aiutarli, riconciliarli con Dio. È un impegno che non si apprende in un giorno e necessita di alcune doti e di tanta esperienza oltre che di una buona formazione umana e spirituale.
Qualità che hanno i penitenzieri vaticani, come spiega in questa intervista al nostro giornale, il francescano conventuale Rocco Rizzo, rettore del Collegio dei penitenzieri vaticani, i quali si preparano tra l’altro ad affrontare un lavoro straordinario in concomitanza con le solennità pasquali.
Quanti fedeli al giorno si accostano al sacramento nella basilica di San Pietro in questo periodo?
Certo non è facile quantificare il numero dei fedeli che si accostano ogni giorno al sacramento della Riconciliazione nel periodo della Quaresima. Vi sono giorni, come il sabato e la domenica, dove l’affluenza è più alta rispetto agli altri della settimana. Più o meno il numero dei penitenti giornalieri si attesta intorno ai centocinquanta sino ai duecento.
Chi, e secondo lei perché, si confessa in San Pietro?
Ai nostri confessionali si accostano fedeli di ogni categoria sociale e di ogni età  provenienti da ogni angolo della terra. Sono sacerdoti, seminaristi, religiose, laici credenti e anche quanti sono alla ricerca della verità e del senso da ridare alla loro vita. Molti manifestano difficoltà che riguardano famiglia, lavoro, il modo di vivere la domenica. A volte si presentano fedeli di altre religioni ebrei, musulmani, buddisti, indù, e persino atei o agnostici: a volte cercano solo un confronto sui temi della vita, della morte, dell’aldilà, della pace.
Ci sono disposizioni particolari sul come assistere i penitenti in quest’Anno della Fede?
Intanto abbiamo ben presente la necessità di dover ricordare a noi stessi e a chi si accosta al nostro confessionale che bisogna rimettere Dio al primo posto, meditare sulla sua Parola, testimoniare con la vita l’amicizia con Gesù Cristo e l’amore per la santa Chiesa. Come disposizione particolare durante tutto l’Anno della Fede, i fedeli che si avvicinano al Sacramento della penitenza potranno acquisire l’indulgenza plenaria, applicabile anche in suffragio dei defunti.
La mancanza di sacerdoti in molte parrocchie provoca una minore disponibilità di confessori.  Crede che sia una delle cause di disaffezione dei fedeli al Sacramento?
Molte sono le cause di disaffezione dei fedeli alla confessione a prescindere dalla mancanza di sacerdoti. Abbiamo la responsabilità di educare il popolo di Dio alle radicali esigenze del Vangelo, quindi rendere ancora più urgente il servizio di amministratori della misericordia divina. Il sacerdote deve essere nella vita «segno della presenza viva e visibile del Signore» tale da suscitare nei fedeli il senso del peccato, per dare coraggio e far nascere il desiderio del perdono di Dio. Molte persone trovano nella confessione la pace e la gioia che rincorrevano da tempo.
Quanti sono attualmente i penitenzieri, di che nazionalità e chi li sceglie?
Il collegio dei penitenzieri è composto da 14 sacerdoti francescani conventuali, che svolgono il ministero della riconciliazione nella basilica vaticana in forma stabile. Siamo una comunità internazionale di 10 diverse nazionalità: due dall’Italia, quattro dalla Polonia, uno dalla Spagna, uno dal Brasile, uno da Malta, uno dall’Irlanda, uno da Taiwan, uno dalla Romania, uno dalla Croazia, uno dalla Germania. Chiaramente è il ministro generale dell’ordine che sceglie i confratelli, che ritiene più adatti per un tale ministero e li presenta alla Penitenzieria Apostolica, la quale, dopo un esame, li nomina penitenzieri minori ordinari. Il Collegio è subordinato alla Penitenzieria Apostolica per quanto attiene il ministero del sacramento della riconciliazione; alla diretta giurisdizione del ministro generale per la vita interna della fraternità.
Quali caratteristiche devono avere i penitenzieri per prestare servizio in San Pietro?
Non esiste una vera e propria caratteristica particolare per essere penitenziere in San Pietro, ma bisogna che sia ben disposto a donare tempo e attenzione, per questo non deve essere gravato da ulteriori compiti che possano distoglierlo dal servizio o renderlo meno adatto a esso. Non deve pensare a sé ma agli altri. Non deve vivere per sé ma per gli altri. È necessario che sia ricco di bontà, di ascolto, di serenità, di pazienza. Le premesse del rito della penitenza affermano a questo proposito: «Nell’accogliere il peccatore penitente e guidarlo alla luce della verità, il confessore svolge un compito paterno, perché rivela agli uomini il cuore del Padre, e impersona l’immagine di Cristo, buon Pastore». Bisogna anche che abbia una buona preparazione in teologia morale e in diritto canonico e che conosca bene, oltre la propria lingua madre, anche la lingua per cui è stato scelto al momento della sua immissione nel Collegio dei penitenzieri.
È possibile che un confessore si possa trovare in difficoltà — di ordine psicologico, sociale, culturale o teologico — davanti a casi esposti dai penitenti?
Noi siamo chiamati a fare la nostra parte: ascoltare, comprendere, indirizzare, guidare, perdonare. Tutte le altre scienze ci devono servire per migliorare il nostro essere guida. Noi dobbiamo insistere soprattutto sull’essenziale. Siamo dispensatori di misericordia e di perdono. Dio solo vede nell’interno del cuore dell’uomo. Noi restiamo alla porta del cuore. Ne avvertiamo il battito, ma, soprattutto, cerchiamo di capire se il cuore del fedele penitente è sano. A volte si trovano sacerdoti che si mettono al posto degli psicologi, dei sociologi. Noi portiamo le anime a Dio ed è Dio solo ad indicarci la strada giusta che porta a lui. Il confessore deve curare molto la formazione permanente. È un dovere derivante dalla sua identità sacerdotale e dai gravi compiti del suo ministero della penitenza. È per questo motivo che la Penitenzieria Apostolica promuove ogni anno, nei giorni di quaresima, un corso sul foro interno per i giovani sacerdoti, aperto, anche, ai penitenzieri delle quattro basiliche papali; poi, vi sono gli incontri mensili di studio su tematiche attuali sempre presso la Penitenzieria Apostolica. Questi incontri sono tenuti da illustri professori delle pontificie università romane.
Come si pone il confessore davanti alle nuove sfide poste dalla società di oggi?
Il confessore di fronte alle nuove sfide culturali e morali della società postmoderna deve saper coniugare fermezza e misericordia. «Il confessore — rilevava il beato Giovanni Paolo II — consapevole del prezioso dono di grazia posto nelle sue mani, deve offrire ai fedeli la carità dell’accoglienza premurosa, senza asperità o freddezza del tratto. Al tempo stesso, egli deve usare la carità, anzi la giustizia di riferire, senza varianti ideologiche e senza sconti arbitrari, l’insegnamento genuino della Chiesa, rifuggendo dalle profanas vocum novitates, riguardo ai loro problemi». Forti di questo insegnamento i confessori cercano di fare la loro parte, quella di consigliare, di illuminare, di orientare, di pregare e di affidare a Dio il loro presente e il loro futuro. L’opera più importante, in fondo, la fa il buon Dio che non abbandona mai nessuno.
L'Osservatore Romano 8 marzo 2013