martedì 18 giugno 2013

La partita della Vita




Il cardinale Sgreccia racconta come nacque la gran battaglia di Wojtyla sull’Evangelium Vitae. Dall’aborto ai brevetti sul Dna.
Francesco D’Agostino ha scritto che le parole più appropriate per descrivere la figura e l’opera di Elio Sgreccia sono state pronunciate da un laico, Giovanni Fornero, quando ha definito il cardinale “il maggior bioeticista cattolico” presentandolo, in sede storiografica, come lo studioso che incarna nel modo più fedele, coerente e sistematico le posizioni ufficiali della chiesa odierna in materia di bioetica. E’ difficile non essere d’accordo con questo giudizio circa la statura e l’autorevolezza di Sgreccia, considerando anche le innumerevoli traduzioni che del suo “Manuale di bioetica” sono state fatte in tutto il mondo: fresca di stampa quella statunitense, in preparazione quella giapponese, solo da affinare quella coreana. Oggi Sgreccia dirige, assieme al professor Antonio Tarantino, la “Enciclopedia di bioetica e scienza giuridica” (Edizioni Scientifiche Italiane), della quale è atteso il sesto volume. Solo due giorni fa, la Corte suprema degli Stati Uniti ha sentenziato che non è possibile brevettare il Dna umano (quello naturale, il divieto non riguarda quello sintetico). Solo per dire quanto le sfide sui limiti etici della scienza si stiano facendo sempre più complesse e non riguardino solo la religione. E quanto l’elaborazione dottrinale della chiesa su questi temi necessiti di interpreti all’altezza, per i quali un decano come Sgreccia resta ancora oggi una figura di riferimento. Marchigiano, creato cardinale da Papa Benedetto XVI nel 2010, membro del Comitato nazionale di bioetica dal 1995 al 2006, Sgreccia ci riceve nel suo appartamento in Vaticano, proprio nel giorno del suo ottantacinquesimo compleanno.
Fu Giovanni Paolo II a valorizzare la sua competenza nell’ambito della bioetica. L’incontro decisivo avvenne in occasione di un congresso, in cui Sgreccia parlava del tema “Famiglia e bioetica”. “Fu in quella circostanza” – ricorda commosso il cardinale – “che il Papa mi disse che aveva letto con interesse i miei scritti”. Negli anni seguenti questo rapporto umano andò consolidandosi. Nel 1992, per volontà di Giovanni Paolo II, Sgreccia viene nominato vescovo e segretario del Pontificio consiglio per la famiglia, e da quella posizione privilegiata segue i lavori per la stesura dell’Evangelium vitae. Ed è proprio sulla genesi dell’enciclica che si sofferma il cardinale, rivelandoci alcuni particolari importanti, taluni dei quali poco, o per niente, noti. “Nel 1990 arrivò sulla scrivania di Giovanni Paolo II il libro di Michel Schooyans ‘Aborto e politica’, traduzione italiana del testo originale francese ‘L’avortement: Enjeux politiques’. Il Santo Padre rimase molto turbato dai contenuti di quel testo”. Schooyans, all’epoca professore di Filosofia politica all’Università cattolica belga di Lovanio e già docente all’Università di San Paolo in Brasile, documentava l’esistenza di un vero e proprio programma internazionale di controllo demografico. Era un dirompente cambio di prospettiva: “L’aborto, da questione di orizzonte privato, da vicenda che si esaurisce dolorosamente nel segreto della dimensione familiare per la difficoltà di accettare una gravidanza, diventa programma politico. I paesi in via di sviluppo sono ricattati: solo se daranno evidenza dell’applicazione di leggi e politiche abortiste potranno ricevere gli aiuti della comunità internazionale”. Negli anni 90 Sgreccia, durante una conferenza tenutasi nell’ospedale di Città del Messico, si trovò a relazionare sul tema della sterilizzazione e scoprì un’amara verità: “Mentre parlavo della distinzione tra sterilizzazione terapeutica e sterilizzazione contraccettiva, i presenti mi dissero di aver ricevuto l’ordine di chiudere le tube di una donna su cinque, anche senza il consenso della diretta interessata”. Si trattava, come gli fu riferito, di un patto tra governo nazionale e Banca mondiale, affinché il Messico potesse beneficiare degli aiuti economici internazionali. Al condizionamento economico, ricorda il cardinale, si sommavano quello legislativo e quello culturale. “Anche in Italia, venivano finanziati i partiti favorevoli alle politiche antinataliste e i centri culturali che diffondevano quel tipo di idee. E l’occidente ricco, che non avrebbe avuto bisogno di limitare le nascite, doveva dare l’esempio: pochi figli per stare meglio”. Stati Uniti, Giappone e l’intera Europa, nel secondo Dopoguerra, decidono di concentrare le loro risorse per oliare la macdi Lorenzo Schoepflin china neo malthusiana: “Dopo ogni guerra si assiste a un boom nella crescita della popolazione, che poi viene seguito da un naturale assestamento. Ciononostante le potenze mondiali si preoccuparono per gli equilibri del pianeta e misero in moto il controllo delle nascite servendosi di contraccezione, sterilizzazione e aborto”. Giovanni Paolo II è ricordato per la sua decisiva opposizione ai regimi comunisti, ma quella non fu l’unica testimonianza del grande coraggio del Papa polacco: “Scrivere in quel momento l’Evangelium vitae significava opporsi alle nazioni più forti economicamente e alle potentissime lobby internazionali. L’audacia della firma in calce all’enciclica non va sottovalutata”. Il Santo Padre ebbe l’ardire di schierarsi contro le democrazie occidentali che, a suo parere, avevano finito per imboccare la strada della dittatura “poiché quando si scindono amore e vita, la vita e con essa l’uomo stesso diventano oggetto di dominio”, spiega il cardinale. Dopo la lettura del libro di Schooyans, Papa Wojtyla convocò delle riunioni per capire, anche attraverso gli opportuni canali diplomatici, in che misura i provvedimenti descritti in “Aborto e politica” venissero applicati. A una di quelle riunioni prese parte anche Sgreccia: “Il Papa voleva sapere quanti fossero gli aborti a livello mondiale. Trovai nella biblioteca dell’Università Cattolica gli atti di un congresso della Società internazionale di medicina legale che forniva dati ancora oggi ritenuti validi: tra i 45 e i 50 milioni all’anno di aborti registrati”. Alla fase di consultazione interna che coinvolse la curia romana – la congregazione per la Dottrina della fede, la segreteria di stato, il Pontificio consiglio per la famiglia – seguì la convocazione di un concistoro straordinario, durante il quale Sgreccia si occupò della parte organizzativa. Tutti i cardinali si recarono a Roma per tre giorni, a partire dal 4 aprile 1991. “Furono gli stessi cardinali a chiedere un documento della massima autorità, cioè appunto un’enciclica, sui temi affrontati. Il documento doveva parlare chiaro circa la gravità dell’aborto e affermare perentoriamente l’identità del nascituro”. Nel maggio successivo, Giovanni Paolo II scrisse una lettera a tutti i vescovi per rivolgere loro le stesse domande a cui avevano risposto cinque cardinali rappresentativi dei cinque continenti a proposito dell’effettiva attuazione di politiche di controllo demografico e dell’azione concreta della chiesa per contrastarle. “Il Santo Padre voleva sapere cosa si stava facendo a livello locale e cosa si sarebbe dovuto fare. Poi mise immediatamente al lavoro un gruppo per la stesura dell’Evangelium vitae”. L’enciclica ebbe tre edizioni successive: “Il gruppo lavorava sotto il diretto controllo di Wojtyla. Le prime due versioni furono arricchite e superate per sua scelta”. L’enciclica, una volta pronta, rimase nel cassetto del Papa fino al 1995. Nel frattempo, nel 1994, Sgreccia viene nominato da Giovanni Paolo II vicepresidente della neonata Pontificia accademia per la vita, di cui poi sarà presidente dal 2005 al 2008. “Parallelamente alla Evangelium vitae, era in elaborazione anche la Veritatis splendor. L’uscita di quest’ultima, nel 1993, fu volutamente antecedente all’Evangelium vitae. Nella Veritatis splendor si afferma che la mente umana è in grado di comprendere universalmente delle verità di carattere fondamentale. Ciò costituiva la necessaria premessa per un’enciclica sulla difesa della vita”. Sono le verità che il mondo chiama diritti umani, ma che la chiesa, precisa Sgreccia, preferisce indicare come “diritti della persona umana”. La Veritatis splendor fu per l’Evangelium vitae un’iniezione di forza, il propellente che porterà all’altra grande enciclica, quella Fides et ratio che completerà il trittico nel 1998. Una forza che risiede anche nella formulazione dei punti fondamentali: “Nell’Evangelium vitae, Giovanni Paolo II ha codificato principi morali assoluti e irreformabili, patrimonio della tradizione millenaria della chiesa. Non dobbiamo dimenticare che la condanna dell’aborto viene fatta, testualmente, ‘con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i vescovi’”. Joseph Ratzinger, nel 2006, li chiamerà “principi non negoziabili” nel celebre discorso al convegno promosso dal Partito popolare europeo. Quanto è ancora attuale un’enciclica come l’Evangelium vitae nella chiesa di Papa Francesco? “Il passaggio da Benedetto XVI a Papa Bergoglio, che i media, non senza riduzionismi di vario tipo, amano descrivere come passaggio da un Papa dottrinale a un Papa pastorale, non può in alcun modo costituire uno spiraglio per possibili discontinuità su queste basilari materie. Ricordiamoci che Bergoglio, da arcivescovo di Buenos Aires, una volta ha affermato che ‘abortar es matar’, abortire è uccidere. Che è quello che si afferma nell’enciclica”. L’Evangelium vitae è ancora oggi fonte di ispirazione per i politici che si trovano a votare leggi in materia di bioetica, in particolar modo quando impropriamente si introduce il concetto di male minore. “Non tutti i teologi erano d’accordo con quanto si sostiene al numero 73 dell’enciclica, dove si dice che, a determinate condizioni, è lecito votare provvedimenti volti a contenere danni. Perciò si dovette chiarire che qui non si trattava di approvare un male minore, ma di limitare un danno prodotto da altri”. C’è poi da dire che si può forse parlare di un iniziale venir meno delle speranze suscitate dall’enciclica: “Giovanni Paolo II presenta l’Evangelium vitae come una nuova Rerum novarum. Crede molto nella capacità di un testo del genere di arrestare la corsa folle del mondo verso il controllo demografico, pilotata dalle autorità internazionali”. Eppure il rullo neo malthusiano non si arresta, anzi si arricchisce di mezzi e denaro di anno in anno. “L’influsso culturale del Magistero in questo ambito fu silenziato”. Oggi, però, molti studiosi, addetti ai lavori e politici riconoscono che le politiche antinataliste si sono rivelate letteralmente suicide. “La mancanza di capitale umano – il cardinale cita la teoria del premio Nobel in Economia Gary Becker – è un danno gravissimo che crea povertà. Meno uomini non significa più risorse a disposizione, come erroneamente ipotizzava Malthus. E per riparare quel danno ci vogliono lassi di tempo che si misurano in generazioni”. In un momento come il nostro, nel quale si cercano vie d’uscita da una crisi economica soffocante, ecco che l’Evangelium vitae si rivela, per molti aspetti, profetica. “L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo”, ha affermato Benedetto XVI nella Caritas in veritate, a suggellare il legame inscindibile che c’è tra temi socioeconomici e questioni antropologiche e bioetiche. Tema affrontato a più riprese, come noto, anche dal cardinale Angelo Bagnasco nei suoi discorsi. Incalzato sulla questione del dissenso interno al mondo cattolico, oggi come allora presente quando al centro delle discussioni finisce la tutela della vita umana, Sgreccia risponde molto chiaramente: “Tutti conosciamo il dissenso iniziale con cui fu accolta l’Humanae vitae di Paolo VI e il silenzio che poi è calato sull’enciclica. Per l’Evangelium vitae ciò non avvenne”. Però, una paterna tirata d’orecchie al clero il cardinale non la risparmia: “Ci si è trovati di fronte a forze pastorali un po’ disarmate. Spesso non si conosce la bioetica e si considerano i suoi argomenti troppo specialistici, senza tenere sempre in debito conto il dominio che la scienza odierna esercita sulla vita umana”. Oggi però, anche in virtù dell’emergenza di una risposta alla crisi economica, c’è un ritrovato interesse: “Si è capito che la partita che si gioca sulla vita è di valore pubblico e universale”. A ciò si aggiunge il ripensamento del mondo moderno, fino a ora troppo propenso all’autoassoluzione: “La chiesa è la coscienza critica dell’umanità e spesso gioca un ruolo profetico. L’uomo deve toccare il fondo per risalire, ma la storia ci insegna che esistono pentimenti, seppur tardivi, che lo riportano sui giusti binari. Stavolta è stata la crisi economica il brusco risveglio”. Sgreccia fa l’esempio della bomba atomica, che oggi funge da monito per l’intera umanità, e ricorda che “gli Stati Uniti nell’iniziare la loro campagna per il controllo demografico parlarono di ‘questione di capitale importanza per l’interesse nazionale’, usando le stesse parole con le quali si giustificò l’uso di armi atomiche e che sempre sono servite quando si trattava di agire senza pietà”. L’ottimismo di Sgreccia si potrebbe definire storico: gli eventi, a costo di provocare uno choc, costringono l’uomo a fare i conti con se stesso e a tornare sui propri passi. La speranza che il cardinale comunica e lascia in eredità alle nuove generazioni trova le proprie radici sia nella fede (“bene e male non sono paragonabili, poiché Dio è dalla parte del bene”) sia nella ragione. “Da un punto di vista razionale, si può comprendere che l’inviolabilità della vita è il valore fondante. L’esserci – il cardinale pronuncia con particolare enfasi quel “ci” finale – corporalmente vivo rappresenta la premessa per tutto il resto, perché anche i più grandi valori, come la libertà, la responsabilità, la giustizia, hanno bisogno del fondamentale rispetto della vita. Su questo – conclude Sgreccia con un’espressione in cui c’è tutta la sua schiettezza dottrinale e umana – non ce piove”.
Fonte: IlFoglio