venerdì 7 giugno 2013

Papa Francesco agli studenti delle Scuole gestite dai Gesuiti: "Fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande..."



Papa Francesco agli studenti delle Scuole gestite dai Gesuiti in Italia e in Albania, ex-alunni, rappresentanti dei movimenti giovanili ignaziani e di parrocchie legate ai gesuiti."aperto a Dio e agli altri ... con magnanimità e spirito di servizio"
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Il segno (...) indica un'introduzione pronunciata a braccio.
"Libertà vuol dire saper riflettere su quello che facciamo, saper valutare ciò che è bene e ciò che è male, quelli che sono i comportamenti che fanno crescere, vuol dire scegliere sempre il bene. Noi siamo liberi per il bene. E in questo non abbiate paura di andare controcorrente, anche se non è facile!"
Cari ragazzi, cari giovani!,  (...)
Il Papa decide di non leggere il testo e propone che il testo sia distribuito come allocuzione ufficiale "che consegnerò - dice - al Padre Provinciale e a Padre Lombardi", il direttore della Sala stampa della Santa Sede. Poi, Papa Francesco prende spunto dal testo e riassume diverse riflessioni. 
Infine, il Papa si dichiara disposto a rispondere alcune domande.
Sono contento di ricevervi con le vostre famiglie, gli educatori e gli amici della grande famiglia delle Scuole dei Gesuiti italiani e d’Albania. A voi tutti il mio affettuoso saluto: benvenuti! Con tutti voi mi sento veramente “in famiglia”. Ed è motivo di particolare gioia la coincidenza di questo nostro incontro con la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Vorrei dirvi anzitutto una cosa che si riferisce a Sant’Ignazio di Loyola, il nostro fondatore. Nell’autunno del 1537, andando a Roma con il gruppo dei suoi primi compagni si chiese: se ci domanderanno chi siamo, che cosa risponderemo? Venne spontanea la risposta: «Diremo che siamo la “Compagnia di Gesù”!» (Fontes Narrativi Societatis Iesu, vol. 1, pp. 320-322). Un nome impegnativo, che voleva indicare un rapporto di strettissima amicizia, di affetto totale per Gesù di cui volevano seguire le orme.
Perché vi ho raccontato questo fatto? Perché sant’Ignazio e i suoi compagni avevano capito che Gesù insegnava loro come vivere bene, come realizzare un’esistenza che abbia un senso profondo, che doni entusiasmo, gioia e speranza; avevano capito che Gesù è un grande maestro di vita e un modello di vita, e che non solamente insegnava loro, ma li invitava anche a seguirlo su questa strada. 
Cari ragazzi, se adesso vi facessi la domanda: perché andate a scuola, che cosa mi rispondereste? Probabilmente ci sarebbero molte risposte secondo la sensibilità di ciascuno. Ma penso che si potrebbe riassumere il tutto dicendo che la scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere, per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita. Come vi aiuta a crescere la scuola? Vi aiuta non solo nello sviluppare la vostra intelligenza, ma per una formazione integrale di tutte le componenti della vostra personalità.
Seguendo ciò che ci insegna sant’Ignazio, nella scuola l’elemento principale è imparare ad essere magnanimi. La magnanimità: questa virtù del grande e del piccolo (Non coerceri maximo contineri minimo, divinum est), che ci fa guardare sempre l’orizzonte. Che cosa vuol dire essere magnanimi? Vuol dire avere il cuore grande, avere grandezza d’animo, vuol dire avere grandi ideali, il desiderio di compiere grandi cose per rispondere a ciò che Dio ci chiede, e proprio per questo compiere bene le cose di ogni giorno, tutte le azioni quotidiane, gli impegni, gli incontri con le persone; fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande aperto a Dio e agli altri. E’ importante allora curare la formazione umana finalizzata alla magnanimità. La scuola non allarga solo la vostra dimensione intellettuale, ma anche umana. E penso che in modo particolare le scuole dei Gesuiti sono attente a sviluppare le virtù umane: la lealtà, il rispetto, la fedeltà, l’impegno. Vorrei fermarmi su due valori fondamentali: la libertà e il servizio. Anzitutto: siate persone libere! Che cosa voglio dire? Forse si pensa che libertà sia fare tutto ciò che si vuole; oppure avventurarsi in esperienze-limite per provare l’ebbrezza e vincere la noia. Questa non è libertà. Libertà vuol dire saper riflettere su quello che facciamo, saper valutare ciò che è bene e ciò che è male, quelli che sono i comportamenti che fanno crescere, vuol dire scegliere sempre il bene. Noi siamo liberi per il bene. E in questo non abbiate paura di andare controcorrente, anche se non è facile! Essere liberi per scegliere sempre il bene è impegnativo, ma vi renderà persone che hanno la spina dorsale, che sanno affrontare la vita, persone con coraggio e pazienza (parresia e ypomoné). La seconda parola è servizio. Nelle vostre scuole voi partecipate a varie attività che vi abituano a non chiudervi in voi stessi o nel vostro piccolo mondo, ma ad aprirvi agli altri, specialmente ai più poveri e bisognosi, a lavorare per migliorare il mondo in cui viviamo. Siate uomini e donne con gli altri e per gli altri, dei veri campioni nel servizio agli altri. Per essere magnanimi con libertà interiore e spirito di servizio è necessaria la formazione spirituale. Cari ragazzi, cari giovani, amate sempre di più Gesù Cristo! La nostra vita è una risposta alla sua chiamata e voi sarete felici e costruirete bene la vostra vita se saprete rispondere a questa chiamata. Sentite la presenza del Signore nella vostra vita. Egli è vicino a ognuno di voi come compagno, come amico, che vi sa aiutare e comprendere, che vi incoraggia nei momenti difficili e mai vi abbandona. Nella preghiera, nel dialogo con Lui, nella lettura della Bibbia, scoprirete che Lui vi è veramente vicino. E imparate anche a leggere i segni di Dio nella vostra vita. Egli ci parla sempre, anche attraverso i fatti del nostro tempo e della nostra esistenza di ogni giorno; sta a noi ascoltarlo.
Non voglio essere troppo lungo, ma una parola specifica vorrei rivolgerla anche agli educatori: ai Gesuiti, agli insegnanti, agli operatori delle vostre scuole e ai genitori. Non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà che la sfida educativa presenta! Educare non è un mestiere, ma un atteggiamento, un modo di essere; per educare bisogna uscire da se stessi e stare in mezzo ai giovani, accompagnarli nelle tappe della loro crescita mettendosi al loro fianco. Donate loro speranza, ottimismo per il loro cammino nel mondo. Insegnate a vedere la bellezza e la bontà della creazione e dell’uomo, che conserva sempre l’impronta del Creatore. Ma soprattutto siate testimoni con la vostra vita di quello che comunicate. Un educatore - Gesuita, insegnante, operatore, genitore - trasmette conoscenze, valori con le sue parole, ma sarà incisivo sui ragazzi se accompagnerà le parole con la sua testimonianza, con la sua coerenza di vita. Senza coerenza non è possibile educare! Tutti siete educatori, non ci sono deleghe in questo campo. La collaborazione allora in spirito di unità e di comunità tra le diverse componenti educative è essenziale e va favorita e alimentata. Il collegio può e deve fare da catalizzatore, esser luogo di incontro e di convergenza dell’intera comunità educante con l’unico obiettivo di formare, aiutare a crescere come persone mature, semplici, competenti ed oneste, che sappiano amare con fedeltà, che sappiano vivere la vita come risposta alla vocazione di Dio, e la futura professione come servizio alla società. Ai Gesuiti poi vorrei dire che è importante alimentare il loro impegno nel campo educativo. Le scuole sono uno strumento prezioso per dare un apporto al cammino della Chiesa e dell’intera società. Il campo educativo, poi, non si limita alla scuola convenzionale. Incoraggiatevi a cercare nuove forme di educazione non convenzionali secondo “le necessità dei luoghi, dei tempi e delle persone”.
Infine un saluto a tutti gli ex-alunni presenti, ai rappresentanti delle scuole italiane della Rete di Fe y Alegria, che conosco bene per il grande lavoro che compie in Sud America, specialmente tra i ceti più poveri. E un saluto particolare alla delegazione del Collegio albanese di Scutari, che dopo i lunghi anni di repressione delle istituzioni religiose, dal 1994 ha ripreso la sua attività, accogliendo ed educando ragazzi cattolici, ortodossi, musulmani e anche alcuni alunni nati in contesti familiari agnostici. Così la scuola diventa un luogo di dialogo e di sereno confronto, per promuovere atteggiamenti di rispetto, ascolto, amicizia e spirito di collaborazione. Cari amici, vi ringrazio tutti per questo incontro. Vi affido alla materna intercessione di Maria e vi accompagno con la mia benedizione: il Signore vi è sempre vicino, vi rialza dalle cadute e vi spinge a crescere e a compiere scelte sempre più alte “con grande ánimo y liberalidad”, con magnanimità. Ad Maiorem Dei Gloriam.

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Clima di gioia, semplicità e affetto nell’incontro del Papa con i giovani delle Scuole dei Gesuiti nell’Aula Paolo VI in Vaticano. Io ho preparato un testo – ha detto il Papa – “ma sono cinque pagine! Un po’ noioso … Facciamo una cosa: io farò un piccolo riassunto e poi consegnerò questo, per iscritto, al padre provinciale e lo darò al padre Lombardi, perché tutti voi lo abbiate per iscritto. E poi, c’è la possibilità che alcuni di voi facciano una domanda, e possiamo fare un piccolo dialogo”. Primo punto di questo testo – ha detto - è che “nell’educazione che diamo ai Gesuiti il punto chiave è, per il nostro sviluppo di persona, la magnanimità. Noi dobbiamo essere magnanimi, con il cuore grande, senza paura. Scommettere sempre sui grandi ideali. Ma anche magnanimità con le cose piccole, con le cose quotidiane. Il cuore largo, il cuore grande … E questa magnanimità è importante trovarla con Gesù, nella contemplazione di Gesù. Gesù è quello che ci apre le finestre all’orizzonte. Magnanimità significa camminare con Gesù, con il cuore attento a quello che Gesù ci dice. Anche su questa strada vorrei dire qualcosa agli educatori, agli operatori nelle scuole, e ai genitori”. Nell’educare – ha detto - occorre “bilanciare bene i passi. Un passo fermo sulla cornice della sicurezza, ma l’altro andando nella zona a rischio”. “Non si può educare soltanto nella zona di sicurezza: soltanto, no. Quello è impedire che le personalità crescano. Ma neppure si può educare soltanto nella zona di rischio: quello è troppo pericoloso”. Questo equilibrio dei passi – ha detto – “ricordatelo bene”.

Poi ha proseguito: “Siamo arrivati all’ultima pagina … E a voi, educatori, anche voglio incoraggiarvi a cercare nuove forme di educazione non convenzionali, secondo la necessità di luoghi, tempi e persone. Questo è importante, nella nostra spiritualità ignaziana”: “cercare nuove forme secondo i luoghi, i tempi e le persone. Vi incoraggio su questo”. Quindi è iniziato il dialogo con i ragazzi che hanno posto alcune domande.
Un ragazzo gli ha chiesto parole di sostegno per la sua crescita, a volte tra i dubbi. “Camminare è un’arte – ha risposto il Papa - perché se sempre camminiamo in fretta ci stanchiamo e non possiamo arrivare alla fine, alla fine del cammino. Invece, se ci fermiamo e non camminiamo, neppure arriviamo alla fine. Camminare è proprio l’arte di guardare l’orizzonte, pensare dove io voglio andare ma anche sopportare la stanchezza del cammino. E tante volte, il cammino è difficile, non è facile. ‘Ma, io voglio restare fedele a questo cammino, ma non è facile’ … senti: c’è il buio, ci sono giornate di buio, anche giornate di fallimento, anche qualche giornata di caduta … Uno cade, cade… Ma pensate sempre questo: non abbiate paura dei fallimenti. Non avere paura delle cadute. Nell’arte di camminare, quello che importa non è di non cadere, ma di non rimanere caduti. Alzarsi presto, subito, e continuare ad andare. E questo è bello: questo è lavorare tutti i giorni, questo è camminare umanamente. Ma anche, è brutto camminare da soli: brutto e noioso. Camminare in comunità con gli amici, con quelli che ci vogliono bene: questo ci aiuta, ci aiuta ad arrivare proprio alla fine” laddove “noi dobbiamo arrivare”. 

Una ragazza gli ha chiesto se continua a vedere i suoi amici. “Ma, io sono Papa da due mesi e mezzo – ha risposto - I miei amici sono a 14 ore di aereo da qui, no?, sono lontani. Ma voglio dirti una cosa: sono venuti tre, di loro, a trovarmi e a salutarmi, e li vedo, e mi scrivono, e voglio loro tanto bene. Non si può vivere senza amici: questo è importante”.

Un altro ragazzo ha chiesto se voleva diventare Papa. “Ma, tu sai che cosa significa che una persona non si vuole tanto bene” – ha risposto il Papa – “Una persona che vuole fare il Papa – ha detto - non vuole bene a se stessa”. “No, io non ho voluto fare il Papa”. 

Un’altra ragazza gli ha chiesto cosa l’abbia spinto ad essere Gesuita. “Quello che più mi è piaciuto della Compagnia – ha risposto il Papa - è la missionarietà, e volevo diventare missionario. E quando io studiavo filosofia, ho scritto” al preposito generale padre Arrupe “perché mi mandasse, mi inviasse in Giappone o da un’altra parte. Ma lui ha pensato bene e mi ha detto, con tanta carità: ‘Ma lei ha avuto una malattia al polmone, quello non è tanto buono per un lavoro tanto forte’, e sono rimasto a Buenos Aires. Ma è stato tanto buono, il Padre Arrupe, perché non ha detto: ‘Ma, lei non è tanto santo per diventare missionario’: era buono, aveva carità, eh? E quello che mi ha dato tanta forza per diventare Gesuita è la missionarietà: andare fuori, andare alle missioni ad annunziare Gesù Cristo. Credo che questo sia proprio della nostra spiritualità, andare fuori, andare alle missioni ad annunziare Gesù Cristo. Credo che questo sia proprio della nostra spiritualità, andare fuori, uscire: uscire sempre per annunziare Gesù Cristo, e non rimanere un po’ chiusi nelle nostre strutture, tante volte strutture caduche, no? E’ quello che mi ha mosso”.

Un’altra ragazza gli ha chiesto perché abbia rinunciato ad andare a risiedere nel Palazzo apostolico scegliendo Santa Marta e ad una macchina grande: una rinuncia alla ricchezza? “Ma, credo che non è soltanto una cosa di ricchezza – ha risposto il Papa - Per me è un problema di personalità”. “Io – ha detto - ho necessità di vivere fra la gente, e se io vivessi solo, forse un po’ isolato, non mi farebbe bene. Ma questa domanda me l’ha fatta un professore: ‘Ma perché lei non va ad abitare là?’. Io ho risposto: ‘Ma, senta, professore: per motivi psichiatrici’, eh? Perché … è la mia personalità. Anche l’appartamento, quello non è tanto lussuoso, tranquilla. Ma non posso vivere da solo, capisci? E poi, credo, che sì, i tempi ci parlano di tanta povertà, nel mondo, e questo è uno scandalo. La povertà del mondo è uno scandalo. In un mondo dove ci sono tante, tante ricchezze, tante risorse per dare da mangiare a tutti, non si può capire come ci siano tanti bambini affamati, ci siano tanti bambini senza educazione, tanti poveri. La povertà, oggi, è un grido. Tutti noi dobbiamo pensare se possiamo diventare un po’ più poveri: anche questo, tutti lo dobbiamo fare”. Quindi porsi la domanda: “Ma, come io posso diventare un po’ più povero per assomigliare meglio a Gesù, che era il Maestro povero?”. Dunque, ha ripreso il Papa “non è un problema di virtù mia personale, è soltanto che io non posso vivere da solo” e la questione della macchina – ha concluso – è il fatto di “non avere tante cose e diventare un po’ più povero”.

Un giovane gli ha chiesto se sia stato difficile a diventare Gesuita lasciando la famiglia, gli amici …. “Sempre è difficile: sempre – ha risposto il Papa - Per me è stato difficile. Non è facile. Ma, ci sono momenti belli, e Gesù ti aiuta, ti da un po’ di gioia. Ma ci sono momenti difficili, dove tu ti senti solo, ti senti secco, senza gioia interiore … Ci sono momenti oscuri, di buio interiore. Ci sono difficoltà. Ma è tanto bello seguire Gesù, andare sulla strada di Gesù” e “poi arrivano momenti più belli. Ma nessuno deve pensare che nella vita non ci saranno le difficoltà”. Certo non è facile, ma “dobbiamo andare avanti con forza e con fiducia nel Signore: con il Signore, tutto si può”.

Una giovane di Napoli gli ha chiesto una parola di sostegno per i giovani in Italia che si trova in una posizione di grande difficoltà: “Tu dici che l’Italia è in un momento difficile: sì. C’è una crisi – ha risposto - Ma io ti dirò: non solo l’Italia. Tutto il mondo, in questo momento, è un momento in crisi. E la crisi, la crisi non è una cosa brutta. Davvero la crisi ci fa soffrire, ma dobbiamo – e voi giovani, principalmente – dobbiamo saper leggere la crisi. Questa crisi, cosa significa? Cosa devo fare io per aiutare a uscire dalla crisi? La crisi che noi in questo momento stiamo vivendo è una crisi umana. Si dice: ma, è una crisi economica, è una crisi del lavoro … Sì, davvero. Però, perché? Perché questo problema del lavoro, questo problema nell’economia, sono conseguenze del grande problema umano. Quello che è in crisi è il valore della persona umana, e noi dobbiamo difendere la persona umana”. Il Papa ha poi citato il racconto di un rabbino medievale, dell’anno 1200: “Questo rabbino spiegava agli ebrei di quel tempo la storia della Torre di Babele. E per costruire la Torre di Babele, non era facile: dovevano farsi i mattoni” ed “era un grande lavoro. E dopo questo lavoro, un mattone diventava un vero tesoro! Poi portavano i mattoni su, per la costruzione della Torre di Babele. Ma se un mattone cadeva, era una tragedia. Punivano l’operaio che l’aveva fatto cadere … Era una tragedia! Ma, senti: se fosse caduto un uomo, non sarebbe successo niente! Questa è la crisi che oggi stiamo vivendo!”. “E’ la crisi della persona. Oggi non conta la persona: contano i soldi, conta il denaro. E Gesù, Dio ha dato il mondo, tutto il creato, l’ha dato alla persona, all’uomo e alla donna, perché lo portassero avanti. Non al denaro. E’ una crisi: la persona è in crisi perché la persona” oggi “è schiava! E noi dobbiamo liberarci di queste strutture economiche e sociali che ci schiavizzano. E questo è il vostro compito”.

A un professore che ha fatto una domanda sul ruolo dei cristiani in politica ha risposto: “Coinvolgersi nella politica è un obbligo, per un cristiano. Noi cristiani non possiamo giocare da Pilato, lavarci le mani: non possiamo. Dobbiamo immischiarci nella politica, perché la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. E i laici cristiani devono lavorare in politica. Lei mi dirà: ‘Ma, non è facile’. Ma neppure facile è diventare prete. Non ci sono cose facili, nella vita: non è facile. ‘La politica è troppo sporca’, ma io mi domando: è sporca, perché? Perché i cristiani non si sono immischiati con lo spirito evangelico?”. E’ facile dire “la colpa è di quello” – ha proseguito – “Ma io, cosa faccio? Ma, è un dovere! Lavorare per il bene comune, è un dovere di un cristiano! E tante volte la strada per lavorare è la politica. Ci sono altre strade” fare il professore, per esempio è “un’altra strada. Ma l’attività politica per il bene comune è una delle strade”.

Infine un altro giovane ha chiesto al Papa come poter convivere con la povertà che c’è nel mondo: 
“Prima di tutto, vorrei dirvi una cosa, a tutti voi giovani: non lasciatevi rubare la speranza. Per favore: non lasciatevela rubare. E chi ti ruba la speranza? Lo spirito del mondo, le ricchezze, lo spirito della vanità, la superbia, l’orgoglio … tutte queste cose ti rubano la speranza. Dove trovo la speranza? In Gesù povero: Gesù che si è fatto povero per noi. E tu hai parlato di povertà. La povertà ci chiama a seminare speranza”. E questo – ha proseguito – “sembra un po’ difficile da capire”. Quindi ha ricordato quando Padre Arrupe scrisse una lettera ai Centri di ricerche sociali della Compagnia: “Lui parlava di come si deve studiare il problema sociale. Ma alla fine ci diceva: ‘Guardate, non si può parlare di povertà senza avere l’esperienza con i poveri’”. Così “non si può parlare di povertà, di povertà astratta: quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste … Andare, guardare laggiù la carne di Gesù. Ma non lasciatevi rubare la speranza dal benessere, dallo spirito del benessere che alla fine ti porta a diventare un niente nella vita! Il giovane deve scommettere su alti ideali: questo è il consiglio. Ma la speranza, dove la trovo? Nella carne di Gesù sofferente e nella vera povertà. C’è un collegamento tra i due”. 
 Radio Vaticana 

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Lo hanno detto ad alta voce: sono venuti da Papa Francesco «per non farsi rubare la speranza», convinti di avere da lui le risposte giuste alle loro mille domande. E il Papa non li ha certo delusi. Anzi, li ha sorpresi perché ha chiesto che si avvicinassero al microfono per fargliele direttamente quelle domande. Senza filtri. E così è stato. Il Papa ha messo da parte il discorso preparato, riassumendolo a braccio, e poi ha risposto a dieci domande.
È stato un dialogo aperto, semplice, diretto, da padre a figli, quello del Papa con i novemila studenti delle scuole che la Compagnia di Gesù ha in Italia e in Albania venuti a Roma per incontrarlo, venerdì 7 giugno. Con  loro, in un’aula Paolo VI gremitissima, anche gli insegnanti, il personale scolastico, i familiari, una rappresentanza degli ex alunni, dei movimenti giovanili ignaziani, delle scuole Fe y Alegría — la rete di istituti popolari in Sud America attiva al fianco degli immigrati anche in Europa — e delle parrocchie affidate ai gesuiti.
Papa Francesco ha anche consacrato tutta questa grande comunità educativa al Sacro Cuore: è stato il momento conclusivo e culminante di una mattinata di festa. Iniziata a a mezzogiorno quando i giovani lo hanno accolto con il canto ignaziano In tutto, amare e servire composto dal gesuita Eugenio Costa e intonato da un coro di duecento ragazzi. Quindi è stato padre Carlo Casalone, provinciale per l’Italia della Compagnia di Gesù, a presentare al Papa i vari gruppi.
Poi è toccato a loro, agli studenti, rivolgersi direttamente al Pontefice. Hanno preso la parola per primi, con tutta la loro spontaneità, i bambini delle scuole elementari: hanno riconosciuto che se la sta «cavando bene» nel «difficile lavoro di Papa». Si sono accorti che sorride spesso, «ci sembri giocherellone come noi, accogli i bambini e ami i poveri più di tutti. Tu accarezzi la povertà, aiuti il creato, abbracci i malati». Al Papa hanno chiesto «di proteggere il mondo» e, raccomandandogli di «non stancarsi troppo», gli hanno assicurato un’Ave Maria quotidiana «perché sappiamo che sei molto devoto alla Madonna».
Dai ragazzi delle medie è venuto poi il riconoscimento del «rifiuto di tutto ciò che è superfluo, in modo da dare attenzione alle cose importanti». Sei «una figura rivoluzionaria» hanno detto al Papa «che comprende e non strumentalizza gli ideali degli adolescenti». E hanno anche notato che «camminare» e «custodire» sono due parole a lui molto care. Poi le domande: «Cosa hai pensato quando hai accettato di diventare Papa, mettendo in gioco la tua fede, la tua persona, la tua semplicità, rivoluzionando completamente la tua vita? Cosa provi quando senti su di te il peso della responsabilità? Come si fa a guardare al futuro?». Tutte questioni a cui poi il Pontefice ha risposto. Infine i liceali. Per loro il Papa «non sfida il mondo, impettito su un balcone, ma lo abbraccia». Non hanno nascosto di essere rimasti piacevolmente sorpresi dal suo stile e dai suoi gesti. E sono andati al sodo domandandogli “a raffica”: «Come intendi relazionarti con noi giovani e come desideri coinvolgerci? Da giovane hai mai avuto esitazioni o dubbi sulla fede durante il tuo percorso?».
Pensieri che testimoniano come gli studenti si siano preparati intensamente all’incontro con il Papa. Una preparazione che è proseguita anche stamani nelle due ore di festa che hanno preceduto l’arrivo del Papa nell’aula Paolo VI. Sono state due ore di musica, video e testimonianze pensate «per raccontare il sistema educativo dei gesuiti» spiega padre Vitangelo Denora, delegato per le scuole della Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù.
Imponente, dunque, la partecipazione. Sette i collegi coinvolti: Roma, Milano, Torino, Palermo, Napoli, Messina e Scutari. Hanno pensato anche ai doni per il Papa: i piemontesi hanno preparato un quadro che raffigura la casa originaria della famiglia Bergoglio; i lombardi una stampa di sant’Ambrogio appartenuta al cardinale gesuita Carlo Maria Martini: i romani un’icona della Madonna della Strada; i napoletani una natività di Ferrigno; i siciliani hanno portato alcuni prodotti tipici della loro terra. E tutti insieme hanno anche provveduto a una raccolta di fondi per la carità del Papa. Lo hanno salutato, al termine dell’udienza, con il canto Ad maiorem Dei gloriam, il motto della Compagnia di Gesù eseguito secondo i canoni della tradizione di Taizé. Tra i presenti anche la croata Blanka Vlašić, per due volte campionessa mondiale di salto in alto.
A tirare le somme della mattinata è padre Denora. «Questa è stata anzitutto una festa — dice — un bell’incontro fra i giovani, i bambini, i ragazzi e una persona che dimostra di voler loro bene, di essere attenta a loro. Certamente, per i nostri professori, per il personale e le nostre famiglie, ci aspettiamo che ci possa rafforzare nella missione che viene compiuta attraverso una scuola al servizio dei giovani».
Ed è anche l’occasione per rilanciare il progetto educativo della Compagnia di Gesù che, secondo padre Denora, si può riassumere nella missione di «formare uomini e donne per gli altri, cioè persone che hanno coscienza dei propri talenti e che crescono nel desiderio di metterli a disposizione degli altri».
«L’entusiasmo che vedo negli occhi dei nostri alunni — spiega il religioso — ci dà una nuova forza e una fiducia più grande nel futuro della nostra missione educativa». Si tratta, conclude, «di uscire una volta per tutte da un equivoco frutto di un pregiudizio di partenza: le scuole paritarie non sono scuole private o scuole per ricchi. Sono scuole pubbliche non statali. E dare risorse alle scuole paritarie non vuol dire togliere fondi alle scuole pubbliche».
L'Osservatore Romano

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Gli alunni delle scuole dei gesuiti intervistano Papa Francesco, che lascia perdere il discorso scritto e dialoga con loro

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO
  
«Una persona che vuole fare il Papa Dio non la benedice. Io non ho voluto fare il Papa». «Vivo a Santa Marta perché a me piace stare tra la gente...». È tutto da vedere il dialogo estemporaneo tra Papa Francesco e i piccoli allievi delle scuole dei gesuiti in Italia e in Albania, accompagnati da educatori e famiglie, ricevuti questa mattina in udienza. Bergoglio si  presenta con il discorso scritto. Ma vede la platea e dice: «Io ho preparato un testo ma sono cinque pagine! Un po’ noioso… Facciamo una cosa: io farò un piccolo riassunto e poi consegnerò questo, per iscritto, al padre provinciale e lo darò al padre Lombardi,  perché tutti voi lo abbiate per iscritto».


Ecco dunque in poche battute il succo del discorso. Primo punto di questo testo – spiega Francesco - è che «nell’educazione che diamo ai gesuiti il punto chiave è, per il nostro sviluppo di persona, la magnanimità. Noi dobbiamo essere magnanimi, con il cuore grande, senza paura. Scommettere sempre sui grandi ideali. Ma anche magnanimità con le cose piccole, con le cose quotidiane. Il cuore largo, il cuore grande … E questa magnanimità è importante trovarla con Gesù, nella contemplazione di Gesù. Gesù è quello che ci apre le finestre all’orizzonte».


Poi un consiglio ai genitori e agli insegnanti: nell’educare occorre «bilanciare bene i passi. Un passo fermo sulla cornice della sicurezza, ma l’altro andando nella zona a rischio... Non si può educare soltanto nella zona di sicurezza: soltanto, no. Quello è impedire che le personalità crescano. Ma neppure si può educare soltanto nella zona di rischio: quello è troppo pericoloso». Francesco ha anche invitato gli educatori «a cercare nuove forme di educazione non convenzionali, secondo la necessità di luoghi, tempi e persone. Questo è importante, nella nostra spiritualità ignaziana».


Poi è iniziato il dialogo con i ragazzi, che si sono rivolti al Papa dandogli del «tu». Perché ha scelto di non vivere nel palazzo apostolico, di non avere una grande macchina né ori e preziosi? «Non è solo una questione di ricchezza - spiega - è un problema di personalità: io ho necessità di vivere tra la gente. Se io vivessi solo, forse un po' isolato, non mi farebbe bene. Questa domanda me l'ha fatta un professore: perché non va ad abitare là, e io ho risposto: senta professore, per motivi psichiatrici! È la mia personalità. L'appartamento - non è tanto lussuoso, tranquilla, ma non posso vivere da solo».


E sulla sobrietà ha aggiunto: «Credo che i tempi ci parlano di tanta povertà nel mondo, questo è uno scandalo! In un mondo che abbiamo tante ricchezza e tante risorse per dare da mangiare a tutti non si può capire come ci sono tanti bambini affamati, tanti bambini senza educazione, tanti poveri. La povertà oggi è un grido, tutti noi dobbiamo pensare se possiamo diventare un po' più poveri. Come io posso diventare un po' povero per assomigliare a Gesù, maestro povero?".


Il Papa ha quindi parlato dei suoi amici rispondendo alla domanda di un'altra bambina. «Io sono Papa da due mesi e mezzo, i miei amici sono a quattordici ore di qua sono lontani... Sono venuti tre di quelli a trovarmi e salutarmi, li vedo e gli scrivo... Non si può vivere senza amici, sono importanti!».


A una ragazza che gli chiedeva perché si è fatto gesuita, ha risposto: «Quello che più mi è piaciuto della Compagnia è la missionarietà, volevo diventare missionario. E quando io studiavo filosofia, ho scritto a padre Arrupe (allora preposito generale della Compagnia, ndr) perché mi mandasse in Giappone o da un’altra parte. Ma lui ha pensato bene e mi ha detto, con tanta carità: ‘Ma lei ha avuto una malattia al polmone, quello non è tanto buono per un lavoro così forte’, e allora sono rimasto a Buenos Aires. Ma è stato tanto buono, il padre Arrupe, perché non ha detto: ‘Ma, lei non è tanto santo per diventare missionario’: era buono, aveva carità, eh? E quello che mi ha dato tanta forza per diventare Gesuita è la missionarietà: andare fuori, andare alle missioni ad annunziare Gesù Cristo. Credo che questo sia proprio della nostra spiritualità, andare fuori, andare alle missioni ad annunziare Gesù Cristo. Credo che questo sia proprio della nostra spiritualità, andare fuori, uscire: uscire sempre per annunziare Gesù Cristo, e non rimanere un po’ chiusi nelle nostre strutture, tante volte strutture caduche, no? È quello che mi ha mosso».


A un ragazzo che gli parlava della fede un po' vacillante, il Papa ha spiegato: «Pensate sempre questo: non bisogna avere paura di fallimenti e cadute, nell'arte di camminare quello che importa non è non cadere ma è non rimanere caduti. Se cadiamo, occorre alzarsi presto, alzarsi subito, e continuare a camminare».

Francesco , rispondendo a un'altra domanda, ha infine parlato dell'impegno politico dei credenti: «Coinvolgersi nella politica è un obbligo per un cristiano. Noi cristiani non possiamo giocare da Pilato, lavarci le mani. Dobbiamo immischiarci nella politica, perché la politica è una delle forme più alta della carità perché cerca il bene comune. I laici cristiani devono lavorare in politica. Lei mi dirà: non è facile. Ma non lo è neanche diventare prete! La politica è troppo sporcata ma è sporcata perché i cristiani non si sono mischiati con lo spirito evangelico. Facile dire colpa di quello... ma io cosa faccio? Lavorare per il bene comune è dovere di cristiano».

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Papa Francesco ai giovani dice: siate magnanimi (Angela Ambrogetti, Korazym)