venerdì 14 marzo 2014

Comunione ai risposati?


adultera

Dal blog di Sandro Magister.

Comunione ai risposati (1). Una soluzione che rispetti il dogma


Ricevo e pubblico.
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Papa Francesco ha aperto una consultazione sul tema della famiglia in vista del prossimo sinodo dei vescovi. La mia intenzione è quella di dare un contributo a questa discussione.
Il problema della possibilità di riammettere ai sacramenti i (alcuni) divorziati risposati è straordinariamente delicato e complesso. Nella sua trattazione si intrecciano aspetti teologici, giuridici e pastorali e ogni decisione ha aspetti positivi e negativi che vanno valutati attentamente. Ogni cambiamento della disciplina attuale rischia di scuotere nel popolo la fiducia nella indissolubilità del matrimonio e quindi di creare scandalo e di indebolire l’impegno delle coppie in difficoltà nel difendere il proprio matrimonio e l’unità della propria famiglia.
È però anche evidente che esistono, e non sono marginali, situazioni alle quali non è facile e forse nemmeno possibile e desiderabile applicare la disciplina esistente. Senza una innovazione coraggiosa nel solco della tradizione, senza un nuovo approfondimento della tradizione, noi rischiamo di lasciare senza risposta una domanda di aiuto e anche di giustizia che viene da tanti fedeli.
Io sono lieto di non essere un vescovo e di non dovere portare la responsabilità della decisione. Credo però di avere il diritto e il dovere, come laico con una ormai lunga esperienza di studi e di vita, di dare un contributo a capire. È appena il caso di dire che comunque accetterò e difenderò la decisione del sinodo in comunione con il papa.
Sono ben note le parole del Signore: “L’uomo non divida ciò che Dio ha unito” (Matteo 19, 8). Lo sposo cristiano rende testimonianza davanti alla sposa dell’amore infinito di Dio per lei, un amore che Dio non revoca nemmeno davanti alle difficoltà più severe della vita, nemmeno davanti al tradimento e al martirio. Come Cristo ha amato gli uomini “fino alla morte ed alla morte in croce” (Filippesi 2,8) così lo sposo amerà la sposa con un amore indefettibile. La rottura di questa promessa ha dunque la forza di una bestemmia e di uno scandalo, da ragione alla persona abbandonata di dubitare dell’amore stesso di Dio. Per questo il matrimonio cristiano è per sempre. La Chiesa ha sempre difeso la indissolubilità del vincolo coniugale. Su questo non credo che ci sia nulla da aggiungere, non è pensabile una riforma della teologia del matrimonio.
I ministri del matrimonio sono gli sposi. Ciò che crea il vincolo matrimoniale è il loro dono reciproco. La celebrazione canonica e la benedizione del sacerdote costituiscono un accompagnamento della comunità cristiana e una presa d’atto della decisione degli sposi oltre che una verifica e una certificazione della loro volontà. Il fondamento della validità dell’atto è però la volontà degli sposi che non può certo essere sostituita dalla cerimonia liturgica. Se per la mancanza di sacerdoti o per altre ragioni la celebrazione liturgica non può avere luogo ma un uomo ed una donna decidono di vivere insieme come marito e moglie essi contraggono un matrimonio valido. Casi del genere erano frequenti nel Medio Evo e ciò generava naturalmente un mare di problemi. Come sapere con certezza se fra i due vi fosse una vera intenzione matrimoniale oppure solo una momentanea passione sessuale? Il concilio di Trento ha reso obbligatoria la cerimonia liturgica e la iscrizione nei registri parrocchiali proprio per evitare equivoci e dubbi. Resta però vero che il matrimonio è fatto dall’atto dei coniugi che sono i ministri del matrimonio.
La registrazione aiuta ma non scioglie tutti i dubbi. Fin dal principio la Chiesa ha riconosciuto che vi sono casi in cui, nonostante tutte le precauzioni, quello che è stato registrato come un vero matrimonio non era in realtà tale. Esistono cause di nullità matrimoniale. Se uno degli sposi non intende veramente assumere gli obblighi del matrimonio il matrimonio non è valido. Se uno degli sposi non è in grado di esprimere un valido atto di volontà il matrimonio non è valido. Se la volontà è compressa dalle circostanze o se il soggetto non capisce esattamente quello che fa il matrimonio non è valido.
Non ripercorreremo adesso tutte le cause di nullità matrimoniale, ci limitiamo a richiamare in linea generalissima il fatto della esistenza di pseudo/matrimoni, ovvero di matrimoni nulli.
Cosa si faceva (e si fa) quando si riteneva (e si ritiene) di avere contratto un matrimonio nullo? Si andava (si va) dal tribunale ecclesiastico per ottenere il riconoscimento della nullità del matrimonio. Dopo avere svolto i necessari accertamenti il tribunale (la Sacra Rota) pronuncia il giudizio di nullità.
La Sacra Rota, però, non annulla il matrimonio, non lo fa diventare nullo. Accerta e proclama che il matrimonio è nullo fin dall’origine.
Una volta il giudizio della Sacra Rota aveva effetti civili molto importanti che riguardavano il patrimonio ma anche il diritto di successione dei monarchi. Oggi nella quasi totalità dei casi non è più così. Lo stato ha i suoi registri di stato civile e i suoi tribunali che regolano tutti gli aspetti patrimoniali con le loro sentenze di divorzio. Il giudizio del tribunale ecclesiastico ha solo un valore (peraltro importantissimo) per la coscienza del credente.
Le cause nei tribunali ecclesiastici (come del resto in tutti i tribunali) durano molto tempo, non meno di due anni. Che fare se nel corso di questo tempo uno dei due coniugi si innamora di una altra persona e va a vivere con lei, e magari ha anche dei figli?
Che fare se risultasse poi alla fine che nella nuova relazione c’è una autentica “affectio coniugalis” mentre invece il primo matrimonio era nullo? Per chi guarda dall’esterno sembra che questa persona sia un pubblico peccatore, mentre in realtà ad essere valido sarebbe il secondo matrimonio, ancorché non celebrato.
Il matrimonio nullo è nullo fin dall’inizio, non è mai esistito. Perché vietare il matrimonio a una persona che, in realtà, ha diritto al matrimonio? Certo, è importante non dare scandalo a chi, non conoscendo come stanno veramente le cose e in mancanza di un accertamento del tribunale ecclesiastico, potrebbe essere turbato. Ma è questo un motivo sufficiente per congelare per anni e anni un amore coniugale autentico?
Il problema diventa particolarmente acuto nel nostro tempo perché non c’è chiarezza nella coscienza popolare sulla essenza del matrimonio, sui suoi diritti e sui suoi doveri, soprattutto sul fatto che il matrimonio è per sempre. Molti ricevono una evangelizzazione solo superficiale e poi, magari, quando prendono più sul serio la loro vocazione cristiana, si trovano invischiati in matrimoni contratti in modo superficiale.
Le coppie di credenti che divorziano sono così numerose che i tribunali ecclesiastici non possono tenere loro dietro. Molti fedeli che hanno in realtà pieno diritto ai sacramenti se li vedono negare per la situazione (presunta) irregolare in cui vivono. È probabile che, amareggiati, si allontanino dalla Chiesa.
Che fare? Si potrebbe conferire al parroco la facoltà di riammettere ai sacramenti i divorziati risposati che dichiarino in modo concordante e convincente, con testimonianza giurata, la nullità del loro primo matrimonio. Il parroco (o altro delegato del vescovo) potrebbe ascoltare i coniugi, invitarli a un tempo di preghiera perché il Signore illumini il loro spirito e, se convinto in coscienza, riammetterli ai sacramenti. Se le testimonianze non fossero concordanti, se uno dei coniugi non fosse convinto della nullità del vincolo, se il parroco non riuscisse a formarsi un giudizio sicuro (e forse anche, per maggiore sicurezza, se vi fossero dei figli) i coniugi dovrebbero essere invitati ad adire il tribunale ecclesiastico.
La proposta qui formulata non tocca in nulla la teologia del matrimonio, che non è nella disponibilità dei vescovi. Essa non riguarda l’essenza del matrimonio ma solo le modalità di accertamento della sussistenza del vincolo, cioè una questione giuridica e pastorale, che è nella disponibilità del sinodo e del Santo Padre.
È possibile obiettare che con la procedura suggerita si può essere tratti in inganno più facilmente che non con il rigoroso procedimento canonico.
È vero, però: 1. l’ inganno non può mai essere escluso nemmeno con il procedimento canonico attuale; 2. a questo procedimento si rivolgerebbero verosimilmente solo dei credenti, poco disponibili a giurare il falso; 3. i rapporti patrimoniali sarebbero stati regolati in via previa dalla sentenza di divorzio e quindi verrebbe meno l’incentivo materiale ad ingannare.
Scuoterebbe questo la convinzione della indissolubilità del matrimonio nella coscienza popolare? Credo di no.
Incoraggerebbe questo a riprendere con energia un cammino di fede tanti che oggi si sentono abbandonati e incompresi nelle loro difficoltà? Spero di sì.
Sono comunque contento che non spetti a me l’onere della decisione.
Giovanni Onofrio Zagloba
Roma, 13 marzo 2014
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Tre anni dopo la sua prima apparizione in Settimo Cielo, il misterioso Giovanni Onofrio Zagloba è ricomparso inviandoci questo suo nuovo scritto.
Misterioso perché non vuole dirci chi si celi dietro il nome di questo personaggio del romanzo storico di Henryk Sienkiewicz “A ferro e fuoco”: un uomo di ventura dell’epopea polacca del Seicento, più loquace che fattivo, trovatosi però determinante nello sconfiggere il più temibile campione nemico.
Dalla lettura di questo suo scritto, si ricava comunque che il nostro Zagloba è ferrato in teologia, in diritto canonico e in storia della Chiesa.

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Comunione ai risposati (2). Tre interventi dall’Italia e dagli Stati Uniti


La soluzione proposta il 13 marzo su Settimo Cielo da Giovanni Onofrio Zagloba per l’ammissione alla comunione di alcuni divorziati risposati ha suscitato immediate e argomentate reazioni in Italia e all’estero.
Ecco qui di seguito tre interventi critici. Il magistrato romano Francesco Arzillo obietta sul metodo, mentre il professor Robert Fastiggi di Detroit e l’avvocato Giovanni Formicola di Napoli contestano nel merito le posizioni di Zagloba.
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FRANCESCO ARZILLO
(Magistrato amministrativo a Roma. Il suo ultimo libro: “Esperienza giuridica e senso comune. Sul fondamento ontologico del diritto”)
Lo scritto di Giovanni Onofrio Zagloba si segnala per un approccio pacato al tema dei divorziati risposati, che oggi è all’’attenzione dell’’opinione pubblica ecclesiale: approccio accompagnato dalla sua manifestazione di disponibilità – in spirito autenticamente cattolico, oltre gli opposti integralismi dei tradizionalisti e dei progressisti – a recepire le decisioni che saranno adottate in merito dalla suprema autorità ecclesiale.
Non intendo qui soffermarmi sulla particolare declinazione che la nota di Zagloba offre in ordine alla prima delle ipotesi prospettate dal cardinale Kasper, la quale rimane ancorata al classico profilo della nullità del primo matrimonio.
Voglio piuttosto segnalare una carenza del dibattito pubblico corrente in merito alla seconda ipotesi avanzata da Kasper, la quale attiene alla possibilità di un cammino penitenziale che conduca alla riammissione all’Eucarestia di un divorziato risposato in casi particolari, anche in assenza della dichiarazione di nullità del primo matrimonio.
Il dibattito tende a concentrarsi sui profili pastorali, letti in relazione a quelli storici, intendendo per tali soprattutto quelli concernenti la prassi e la dottrina della Chiesa antica.
In parallelo si accenna spesso ai profili morali.  Su questo punto – che  attiene principalmente al foro interno – ci sarebbe molto da dire. I riferimenti all’equiprobabilismo e all’’epicheia andrebbero seriamente approfonditi, dato che   non si tratta  di chiavi che possano aprire tutte le porte. Per fare un esempio un po’’ forte ma chiaro, è evidente a tutti che nessun criterio tratto dai sistemi morali classici o dall’’epicheia potrà mai legittimare un aborto volontario, come tutti sanno e come risulta chiaramente dai principi enunciati – tra l’’altro – dall’’enciclica “Veritatis splendor”.
Non è però su questo che vorrei richiamare l’’attenzione.
Mi preme piuttosto ricordare che alla base di tutto ci sono problemi dogmatici gravissimi, che risultano dalla pura e semplice lettura dei canoni tratti dal Concilio di Trento, e in particolare di due di essi:
- ““Se qualcuno dirà che per motivo di eresia o a causa di una convivenza molesta o per l’’assenza esagerata dal coniuge si può sciogliere il vincolo matrimoniale, sia anatema””.
- “Se qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato ed insegna che secondo la dottrina evangelica ed apostolica (cfr. Mt 5, 32; 19,9; Mc 10, 11 – 12; Lc 16, 18; 1 Cor 7,11) non si può sciogliere il vincolo del matrimonio per l’’adulterio di uno dei coniugi, e che l’’uno e l’’altro (perfino l’’innocente, che non ha dato motivo all’’adulterio) non possono, mentre vive l’’altro coniuge, contrarre un altro matrimonio, e che, quindi, commette adulterio colui che, lasciata l’’adultera, ne sposa un’’altra, e colei che, scacciato l’’adultero, si sposa con un altro, sia anatema””.
Non occorre essere teologi di professione per comprendere che l’’attuale  posizione ufficiale della Chiesa ha un retroterra che attinge in ultima analisi alla sfera del dogma.
E non potrebbe essere altrimenti, dato che il matrimonio cristiano è un sacramento. Come del resto lo è anche l’’Eucarestia, per la quale vigono parimenti dei precisi pronunciamenti – anch’essi di natura dogmatica e non meramente disciplinare – che ne riservano, sulla scia di San Paolo, la ricezione ai soli fedeli che non si trovino in peccato mortale.
Ogni ipotesi di superamento della disciplina attuale deve confrontarsi con questi dati.
Certamente i teologi potranno approfondire ulteriormente l’’interpretazione di questi come di altri testi rilevanti, fornendo materiale di riflessione utile per gli ulteriori pronunciamenti vincolanti del magistero.
Si tratta peraltro di un lavoro eccezionalmente complesso, che non può essere banalizzato nella sede del dibattito pubblico e giornalistico, dando l’’erronea impressione che tutto sia disponibile e modificabile a piacere. O che  si tratti di comprendere oggi, come se fosse  la prima volta, questioni studiate e approfondite da secoli, in contesti  e in epoche molto difficili.
In  questo modo non si renderebbe un buon servizio né alla verità né alla carità, sempre indissolubilmente congiunte nell’’azione pastorale della Chiesa.
A quest’’ultimo riguardo, infine, non bisogna  fraintendere il  ruolo dell’’opinione pubblica ecclesiale, in ordine al quale occorre ricordare due punti fondamentali.
Anzitutto, è noto che la dottrina classica sul matrimonio riscuote una diffusa adesione in Africa e in Asia. E non è corretto preferire metodologicamente le inquietudini europee e americane, come se solo queste e non le prime costituissero espressione dei cosiddetti “segni dei tempi”.
Inoltre, e da ultimo, va ricordato il documento “Donum veritatis“, nel quale si censura  quella “argomentazione sociologica secondo la quale l’’opinione di un gran numero di cristiani sarebbe un’’espressione diretta ed adeguata del “senso soprannaturale della fede”:
“In realtà le opinioni dei fedeli non possono essere puramente e semplicemente identificate con il ’sensus fidei’. Quest’’ultimo è una proprietà della fede teologale la quale, essendo un dono di Dio che fa aderire personalmente alla verità, non può ingannarsi. Questa fede personale è anche fede della Chiesa, poiché Dio ha affidato alla Chiesa la custodia della Parola di Dio e, di conseguenza, ciò che il fedele crede è ciò che crede la Chiesa. Il ’sensus fidei’ implica pertanto, di sua natura, l’accordo profondo dello spirito e del cuore con la Chiesa, il ’sentire cum Ecclesia’. Se quindi la fede teologale in quanto tale non può ingannarsi, il credente può invece avere delle opinioni erronee, perché tutti i suoi pensieri non procedono dalla fede. Le idee che circolano nel Popolo di Dio non sono tutte in coerenza con la fede, tanto più che possono facilmente subire l’’influenza di una opinione pubblica veicolata dai moderni mezzi di comunicazione””.
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ROBERT FASTIGGI
(Professor of Systematic Theology, Sacred Heart Major Seminary, Detroit, USA)
Giovanni Onofrio Zagloba has written a proposal that would allow divorced and remarried Catholics to receive Holy Communion without a formal declaration of nullity of their prior marriage by an ecclesiastical tribunal and without the need to abstain from sexual intercourse.
His proposal resembles in many ways some suggestions offered by Cardinal Walter Kasper in his address of February 20, 2014 to a special consistory on the family. Both Cardinal Kasper and Mr. Zagloba believe that divorced Catholics who have entered into a civil marriage might be admitted to Holy Communion by their pastor or another episcopal delegate who determines that their prior marriage was null and void. The divorced and remarried couple would need to declare – in a suitable and convincing way and with sworn testimony – the nullity of their prior marriage. After inviting the couple to a period of prayer, and after being convinced in conscience of their sincerity, the priest could admit the couple back to Holy Communion. This simplified process would avoid the need to have an ecclesiastical tribunal decide the nullity of the prior bond. It would also avoid a juridical process that usually takes at least two years.
Zagloba believes that his proposal in no way challenges the indissolubility of matrimony. As he writes: “It does not concern the essence of matrimony but only the procedures for ascertaining the validity of the bond, namely a juridical and pastoral question that is at the disposition of the synod and the Holy Father”.
With regard to the possible objection that this procedure could lead more easily to deception, Zagloba replies: 1. Deception cannot be entirely excluded even with an actual canonical procedure; 2. Because this procedure would, in all likelihood, apply only to believers, there is little disposition to swear falsely; 3. The patrimonial agreements would be put in order prior to the sentence of divorce and, therefore, there would be less material incentive toward deception.
Zagloba does not believe this procedure would weaken conviction in the indissolubility of matrimony in the popular conscience. On the contrary, he believes it could encourage a return to  the faith of many people today who feel abandoned and misunderstood in their difficulty.
Zagloba, I believe, is making this proposal in good faith with a sincere desire to help divorced and remarried Catholics. Nevertheless, I believe his “solution” is likely to create many problems, including an erosion of belief in the indissolubility of matrimony. I say this for the following reasons:
1) The proposal lends itself to subjective rather than objective standards for determining the invalidity of a prior matrimonial bond. It’s not clear at all what criteria will be used by the couple and the priest to decide that the prior bond was not a valid marriage. The criteria could vary from place to place and from priest to priest. In 1994, the Congregation for the Doctrine of the Faith published a letter to the bishops of the Catholic Church concerning the reception of Holy Communion by divorced and remarried members of the faithful. In this letter, the CDF noted that matrimony is both a public reality and a sacrament of the Church. As such, questions pertaining to validity “must be discerned with certainty by means of the external forum established by the Church” (n. 9). Such an external forum helps to insure that decisions pertaining to marital validity are made according to the objective standards of canon law and not the subjective perceptions of the couple in consultation with a priest.
2) In spite of Zagloba’s claim that this procedure would not weaken belief in the indissolubility of marriage, there are many reasons to believe it would.  It could give the impression that divorced and remarried couples only need to meet with a priest who then gives them permission to receive Holy Communion. The lack of a juridical decision by an ecclesiastical tribunal and the (likely) absence of a Church celebration of the wedding would lead to a belief that a civil wedding ceremony is perfectly fine as long as a priest gives the couple his subsequent blessing to continue living as husband and wife receiving the Eucharist. This might give an incentive to Catholic couples who have never been married to enter into civil marriages without the canonical form required by the Church. After all, if divorced Catholics who had married civilly can receive the blessing of a priest why not couples who have only been married civilly?
3) Zagloba’s proposal would undercut the heroic witness given by many divorced Catholics who refuse to enter into another “marriage” while their separated spouse is still living. Such Catholics give a vivid testimony to the indissolubility of matrimony by their abstinence from unions that involve sexual intimacy. If such divorced Catholics fall in love, they realize they are not free to marry again until the Church has declared their prior bond null and void. Zagloba’s proposal, however, would provide little incentive for such heroic witness. Divorced couples would be given the impression that it’s perfectly fine to marry again because they could later meet with a priest who will give them permission to receive the Eucharist.
4) For divorced Catholics who fall in love, we need to ask whether the two years of waiting for the decision of the Church tribunal is all that excessive. Indeed, they might need this time to heal from the wounds of their prior failed relationship. If they abstain from sexual relations and maintain a deep spiritual friendship, there is no reason why they could not receive Holy Communion. A gift as wonderful as the Eucharist is a great incentive for them to abstain from sexual relations and postpone their wedding until the Church, through appropriate juridical means, determines that they are free to join themselves in matrimony. If they choose not to wait for the decision of the tribunal and they enter into a civil union, by not receiving the Eucharist they provide a vivid and public witness to the indissolubility of matrimony. If and when the declaration of nullity is finally received, then there will be reason for celebration. God, I believe, will bless such couples who, in fidelity to the Church’s doctrine and discipline, chose to refrain from receiving the Eucharist during the time when their union was merely civil and not sacramental.
While I respect the good intentions of Mr. Zagloba’s proposal, I fear his proposal will give the impression that the Church has surrendered to the prevailing culture of easy divorce. It will seem that the Catholic Church, like other Christian groups, now blesses those who divorce and remarry. The witness to the indissolubility of marriage, so much needed in the world today, will be eroded. Yes, the Church must show pastoral care for divorced and remarried couples, but she must do so in the manner that gives the most serious witness to the words of Christ: “What God has joined together, let no man put asunder” (Mk 10:9).
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GIOVANNI FORMICOLA
(Avvocato penalista a Napoli. Socio fondatore di Alleanza Cattolica)
1. Faccio presente a Giovanni Onofrio Zagloba che il beato Giovanni Paolo II, con il discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Rota romana del 28 gennaio 2002, ha “preventivamente” stroncato le sue fantasie giuridico-teologiche (per non parlare di tutto quello che ha detto Benedetto XVI nei suoi otto discorsi pronunciati nella medesima occasione). Non sarebbe inutile che lo leggesse o lo rileggesse, così come non sarebbe inutile che anche il cardinale Kasper lo leggesse o lo rileggesse. Si tratta di dottrina definita: sarebbe difficile iscrivere nella linea della continuità con essa quanto proposto insieme dal cardinale Kasper e da Zagloba.
2. È difficile capire quale certezza possa assistere il giudizio di validità di un secondo matrimonio reso da chi contemporaneamente asserisce che in occasione del primo non faceva sul serio o non aveva capito. D’altra parte, posto che il rapporto coniugale è lecito solo all’interno d’un giusto matrimonio, rimane illecito quello consumato in uno pseudo-matrimonio (tal è quello eventualmente riconosciuto nullo) e non si capisce come possano essere i protagonisti dell’uno e poi dell’altro giudici della validità e conformità del loro rapporto coniugale alla realtà del matrimonio, che precede ogni singolo matrimonio, e quindi della liceità morale della loro unione, senza la quale liceità, come per chiunque non sia in grazia di Dio, è meglio non prendere la Comunione per non incorrere nell’anatema paolino.
“Durus est hic sermo”? Temo di sì, ma lo stesso Signore non ha esitato ad essere duro. E non si tratta di “casistica” e neppure di casuidicismo. Come dice il papa beato nel discorso citato: senza l’oggettività della norma rimaniamo senza orientamento, come il navigatore spaziale che separato dalla navicella non ha nulla che l’orienti e quindi vaga nel vuoto e a vuoto.