venerdì 14 marzo 2014

Francesco e Bartolomeo in Terra Santa, un abbraccio ecumenico




(Milano/g.s.) - I responsabili delle comunità cattoliche in Israele, Palestina, Giordania e Cipro, nel corso della riunione dell’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts) che si è svolta l’11 e 12 marzo scorso a Tiberiade, hanno deciso il logo e il motto per il pellegrinaggio di Papa Francesco previsto dal 24 al 26 maggio.
Il motto del pellegrinaggio è Perché siano una cosa sola e rimanda a quello che Papa Bergoglio considera il cuore del suo viaggio, cioè l’incontro con il patriarca ecumenico Bartolomeo e i responsabili delle Chiese di Gerusalemme. Come è noto Francesco e Bartolomeo si sono dati appuntamento nella basilica del Santo Sepolcro per commemorare e rinnovare il desiderio e la nostalgia di unità espressa da papa Paolo VI e dal patriarca Atanagora di Costantinopoli 50 anni fa a Gerusalemme.
Su questa linea anche il logo, che propone l’abbraccio fra gli apostoli san Pietro e sant’Andrea, i primi due discepoli chiamati da Gesù in Galilea, patroni rispettivamente della Chiesa di Roma e di quella di Costantinopoli. Nella Chiesa madre di Gerusalemme i due si abbracciano, a bordo della barca che rappresenta la Chiesa. La quale ha per albero maestro la croce del Signore.
Il logo e il motto sono stati presentati sul sito web creato appositamente delle Chiese locali per il viaggio del Papa in maggio, una consuetudine che prepara e accompagna ormai ogni visita papale.

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Skorka: la visita messaggio di pace
Sogna di accompagnare Francesco nella sua visita in Terra Santa, a maggio. «Che io sia presente o no, però, sono convinto che questo viaggio inaugurerà una nuova epoca nel dialogo ebraico-cristiano: l’era dell’empatia». È poetico e profondo il rabbino Abraham Skorka, rettore del Seminario rabbinico di Buenos Aires. Un po’ come «l’amico Papa». Quel Jorge Mario Bergoglio con cui ha tanto lavorato in Argentina per far incontrare le due comunità. E con cui continua a «camminare insieme» verso la stessa meta. «Pochi giorni dopo la sua elezione, mi ha scritto per dirmi che gli sarebbe piaciuto proseguire il nostro percorso. E così cerchiamo di fare…». Pur a distanza. «Anche se ci sentiamo spesso. L’amicizia è per lui un valore fondamentale. Non ha interiorizzato quella cultura dello scarto per cui le persone si adoperano e poi si gettano via… Pur nella frenesia delle sue giornate, ci tiene a star vicino a chi vuol bene. Questo era il Bergoglio cardinale. E questo è il Bergolio Papa».

Quando vi siete visti l’ultima volta?
Il 17 gennaio. Abbiamo pranzato insieme. Scherzavo sul fatto che le mie porzioni erano ben più abbondanti. E lui diceva sorridendo che doveva stare attento perché era aumentato di peso per colpa della pasta italiana. Fra noi è sempre così: cominciamo a parlare del più e del meno e poi finiamo per discutere dell’essenza delle cose. E ci ritroviamo puntualmente a progettare insieme…

Immagino che abbiate sfiorato anche il tema della visita a Gerusalemme. Lei parlava prima di un’era di empatia tra cristiani ed ebrei. Che cosa intende?
Sentire sulle proprie carni gli uni le sofferenze degli altri. Da fratelli, che è quel che siamo. A partire da Giovanni XXIII, la Chiesa cattolica ha delineato un processo molto chiaro di dialogo con gli ebrei. Una linea che si è sviluppata in crescendo in questo mezzo secolo: ognuno dei successori, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, l’ha approfondita e arricchita. Francesco procede sulla stessa strada. Perché parlo dunque di nuova era? Non certo per disconoscere questo cammino. Papa Bergoglio, però, ha una peculiarità: è l’uomo delle parole semplici e dei gesti profondi. E i gesti colpiscono al cuore, svelando il vero significato di quei discorsi apparentemente facili. Le azioni abbattono muri. Lo ha fatto anche con me; ci siamo incontrati durante una cerimonia ufficiale. Al termine mi si è avvicinato e mi ha fatto una battuta di calcio. In quel momento, ho «scoperto» l’uomo Bergoglio dietro il vescovo. Ecco, questa straordinaria capacità di Francesco di «arrivare alla pancia» di ebrei e cristiani potrà farci riconoscere autenticamente fratelli. La riscoperta di tale vincolo non implica che uno convinca l’altro. Al contrario: l’ebreo si sentirà più ebreo, il cristiano più consapevolmente cristiano. Così potremo redimere il mondo. Cioè creare una realtà umana più vicina a Dio, consentendo al Signore di esserci più vicino.

Crede, a proposito di una realtà più vicina a Dio, che la visita di Francesco possa contribuire alla pace in Terra Santa?
Ne sono certo. E questa sarà l’altra grande impronta indelebile del viaggio. Non mi aspetto che Francesco tiri fuori la bacchetta magica e metta d’accordo ebrei e palestinesi. Il suo carisma e la sua umile grandezza, però, possono dare un potente messaggio di pace per tutto il Medio Oriente. Una regione strategica per l’armonia mondiale, come ci insegnano i profeti della Bibbia, da Isaia a Michea.

Quali sono le azioni che più l’hanno colpita in questo primo anno da Papa di Francesco a proposito del dialogo interreligioso?
Rispetto agli ebrei, ha ricevuto un gran numero di delegazioni da tutto al mondo. Ha fatto, poi, dei gesti bellissimi verso l’islam. Come l’appello all’Angelus per la pace in Siria, che è riuscito a fermare l’escalation militare. E, il Giovedì Santo, ha lavato i piedi a una ragazzina musulmana.

Lei che lo conosce bene: qual è il tratto che maggiormente lo contraddistingue?
La sua capacità di darsi all’altro. A qualunque altro, al di là della religione, della nazionalità, dell’idea politica.

Lo ha visto cambiare negli ultimi dodici mesi?
Ha affinato le sue capacità di leader. Ma l’uomo è lo stesso. L’amico è lo stesso. Solo vestito di bianco…

Lucia Capuzzi (Avvenire)