sabato 1 marzo 2014

Francesco: Dio non si stanca di perdonarci



Nuovo tweet del Papa: "Ringraziamo tutti quelli che insegnano nelle scuole cattoliche. Educare è un atto d’amore, è come dare la vita." (1° marzo 2014)

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Di seguito le due intenzioni di preghiera affidate dal Santo Padre all’Apostolato della Preghiera per il mese di marzo 2014, che inizia oggi.
“Perché in tutte le culture siano rispettati i diritti e la dignità delle donne”, afferma l'intenzione generale (o universale).
Quella missionaria (o per l’evangelizzazione) invece dice: "Perché numerosi giovani accolgano l’invito del Signore a consacrare la loro vita all’annuncio del Vangelo”. 

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Così l’arcivescovo di Buenos Aires predicava ai fedeli. La quaresima di Bergoglio

In libreria il 5 marzo. Il 5 marzo, mercoledì delle ceneri, uscirà nelle librerie Dio non si stanca di perdonare (Bologna, Emi, 2014, pagine 64, euro 5,90) che raccoglie meditazioni pronunciate tra il 2004 e il 2011 a Buenos Aires dall’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio per il tempo quaresimale. Il volumetto è concluso da una postfazione dell’arcivescovo di Campobasso-Boiano Giancarlo Maria Bregantini. Anticipiamo ampi stralci dell’omelia per il mercoledì delle ceneri del 2007 e, sotto, il testo integrale di quella pronunciata per la stessa occasione il 25 febbraio 2009.
Il mercoledì delle ceneri del 2007 prese ad esempio l’esperienza di Giona. Durante questo cammino verso la Pasqua penso ora a Giona, un’icona profetica pasquale che Gesù stesso utilizzò per annunciare la propria morte e la risurrezione. Credo che la figura di questo profeta fuggitivo, dissenziente, lamentoso ma alla fine fedele, possa aiutarci nel nostro pellegrinaggio quaresimale-pasquale.
Con il profeta scopriamo due elementi che sono presenti nella dinamica di ogni spostamento: la rottura e il legame. Il libro di Giona si apre con il comando di «uscire» che Dio rivolge al suo profeta: «Alzati, va’ a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me». Giona viveva tranquillo e ordinato, con idee molto chiare sul bene e sul male, su come Dio agisce e su ciò che vuole in ogni momento, su coloro che sono fedeli all’alleanza e coloro che non lo sono. Tutto questo ordine lo aveva portato a inquadrare troppo rigidamente i luoghi in cui doveva profetizzare. Giona aveva la ricetta e le condizioni per essere un buon profeta e continuare la tradizione profetica nella linea di «ciò che è stato sempre fatto».
Improvvisamente, Dio sconvolge la vita ordinata di quel profeta, irrompendo come un torrente, togliendogli tutte le sicurezze e comodità per inviarlo alla grande città ad annunciare ciò che egli stesso gli dice. È un invito ad affacciarsi oltre l’orlo dei suoi limiti, ad andare in periferia: Ninive, la grande città, rappresentava il simbolo di tutti coloro che si erano separati, allontanati, perduti. Giona ha fatto esperienza di ricevere la missione di ricordare a tutta quella gente perduta che le braccia di Dio erano aperte e in attesa che essi tornassero per guarirli con il suo perdono e nutrirli con la sua tenerezza. Ma questo non rientrava nell’ordine delle cose che Giona poteva capire, e il profeta fugge. Dio lo invia a Ninive, e lui va in direzione opposta, verso Tarsis, sulla costa meridionale della Spagna.
Fuggire non è mai una buona cosa. L’ansia ci porta ad essere abbastanza disattenti e tutto può diventare un ostacolo. Dopo che Giona si è imbarcato per Tarsis, scoppia una tempesta e i marinai lo gettano in mare, perché il profeta confessa che è colpa sua. Una volta in acqua, viene inghiottito da un pesce. Giona, che era sempre stato così chiaro, osservante e ordinato, non aveva messo in conto che il Dio dell’alleanza non ritratta quanto ha giurato, ed è ostinatamente insistente riguardo al bene dei suoi figli. Quando noi finiamo la pazienza, lui comincia ad aspettare, facendo risuonare con grande dolcezza la sua affettuosa parola di Padre.
Così per la seconda volta, con la stessa freschezza della prima, la parola del Signore si rivolge a Giona in questi termini: «Va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». 
Stavolta Giona va veramente a Ninive e si mette a predicare. Quando la città si converte, il profeta, stranamente, invece di rallegrarsi, si lamenta con Dio: «Signore... so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato...». Giona era riluttante a lasciarsi alle spalle tutte le sue idee su Dio, per potersi così legare di nuovo a colui che l’avrebbe portato al di là di quello che già conosceva e credeva di poter fare. Giona non aveva paura di Ninive, piuttosto temeva Dio, il suo sconcertante e travolgente amore.
Giona era testardo. Aveva recintato la sua anima con il filo spinato di quel tipo di certezze e convinzioni che, invece di rendere liberi nel rapporto con Dio e aprire orizzonti di maggiore servizio agli altri, finiscono per imprigionare lo spirito e rendere sordo il cuore. La sua inflessibilità lo rendeva prigioniero di se stesso, dei suoi punti di vista, delle sue valutazioni e dei suoi metodi. Faceva fatica a scoprire la voce di Dio. In quel microclima esistenziale aveva isolato la propria coscienza dal cammino del popolo di Dio. Non conosceva l’intervento di Dio in mezzo alla sua gente, la capacità di guidare il suo popolo con cuore di Padre. Per lui era già tutto detto, le cose stavano così e basta. 
Quanto indurisce il cuore la coscienza isolata! Non conosce la letizia, la gioia dello Spirito Santo che sostiene la speranza. La pressione interiore del proprio isolamento di solito trova una via di uscita: il lamento. Chiunque isola la sua coscienza è lamentoso nell’anima. Come ai ragazzi della parabola (Luca, 7, 32), sembra che non gli vada bene niente. Santa Teresa metteva in guardia le sue monache da questo: «Guai a colei che dice: mi hanno fatto un torto». I collezionisti di ingiustizie, gli eterni insoddisfatti, non conoscono la gioia di aprire il cuore al Signore che ci viene sempre incontro. 
Speriamo di riuscire a identificarci con Giona in tante cose che viviamo oggi nella Chiesa (...) Quando crediamo di essere tranquilli nel ventre della balena, ci sorprende l’evidenza che tutto ciò che abbiamo realizzato non era niente di più che una tappa, e che ora la balena ci ha rigettato nella Ninive di un mondo in cui Dio sembra più assente di prima; un mondo a cui noi, con le parole che diciamo, non interessiamo e che ritiene irrilevanti e superati i valori che cerchiamo di annunciare. (...) La nostra identità e autostima si sentono minacciate; non siamo più, come prima, la leadership morale né abbiamo un posto socialmente rilevante; ci si presentano problemi per i quali apparentemente non abbiamo una risposta. Siamo una minoranza e opponiamo resistenza all’idea di essere «uno fra i tanti». È sempre latente la tentazione di fuggire verso una «Tarsis» che può avere tanti nomi: individualismo, spiritualismo, chiusura in piccoli mondi, dipendenza, sistemazione, ripetizione di schemi già fissati, dogmatismo, nostalgia, pessimismo, rifugio nelle norme...
Quando ci lamentiamo dei problemi che abbiamo — mancano laici impegnati; la gente non capisce, e nemmeno il vescovo; la gente ci strumentalizza, e anche il vescovo; non possiamo fare tutto; nessuno si rende conto di che cosa sta succedendo; nessuno si preoccupa — forse facciamo resistenza a uscire da un territorio che conoscevamo e riuscivamo a gestire. Tuttavia, le stesse difficoltà possono essere come la tempesta, la balena, il verme che fece seccare il ricino di Giona o il vento e il sole che gli scottarono la testa; e, come fu per lui, possono avere la funzione di costringerci a ritornare dalle nostre evasive «Tarsis» per avvicinarci a Ninive e, soprattutto, per superare la paura di questo Dio che è tenerezza e che ci viene incontro per avvicinarci con la sua grazia e guidarci in una itineranza costante e rinnovatrice. 
E come Giona, anche noi possiamo ascoltare una chiamata persistente che ci invita a rivivere l’avventura di Ninive, ad accettare il rischio di essere protagonisti di una nuova evangelizzazione, frutto dell’incontro con Dio che è sempre una novità e che ci spinge a fare una scelta decisa, a muoverci per andare al di là di ciò che conosciamo, verso le periferie e le frontiere, dove c’è l’umanità più ferita e dove gli uomini, sotto l’apparenza della superficialità e del conformismo, continuano a cercare la risposta alla domanda del senso della vita. Aiutando i nostri fratelli a trovare una risposta, anche noi ritroveremo il senso di tutta la nostra azione, il luogo di tutta la nostra preghiera e il valore di tutta la nostra dedizione.
Facciamo in modo di camminare alzando lo sguardo per vedere molto più in là e per trovare, poi, in fondo a noi stessi, ciò che dobbiamo lasciare affinché Gesù evangelizzi come maestro; per poter arrivare dove è arrivato il nostro sguardo partendo dallo Spirito. Spostiamoci senza paura verso tutte le periferie, verso tutti i confini, uniti nella Chiesa, assemblea unita e sostenuta dal Dio della vita.
L’Osservatore Romano