venerdì 7 marzo 2014

IL “CUORE” DEL VANGELO AL CUORE ALLA GENTE


Parla monsignor Víctor Manuel Fernández, rettore dell’Università Cattolica di Buenos Aires, oggi il teologo più vicino a papa Francesco. «Se la Chiesa non mostra l’amore di Gesù rischia di morire: Bergoglio ne è convinto».

un pastore tra la gente Jorge Mario Bergoglio, quando era cardinale in Argentina, tra un gruppo di manifestanti per il lavoro. Sotto: una celebrazione in una piccola chiesa dell’Argentina. Sopra il titolo: monsignor Víctor Manuel Fernández (51 anni)
Un pastore tra la gente - Jorge Mario Bergoglio, quando era cardinale in Argentina, tra un gruppo di manifestanti per il lavoro. Sotto: una celebrazione in una piccola chiesa dell’Argentina. Sopra il titolo: monsignor Víctor Manuel Fernández (51 anni). Foto REUTERS

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A volte un dettaglio serve molto più di tante parole. La croce pettorale che monsignor Víctor Manuel Fernández porta al collo dal giugno 2013, quando venne consacrato arcivescovo (una delle prime nomine del neo-Papa), assomiglia tantissimo a quella, “povera”, di Bergoglio.
Non è un caso: il cinquantenne Fernández – originario di Cordoba, città a 700 chilometri da Buenos Aires – è colui che meglio di chiunque altro può spiegare oggi chi sia, come agisca, cosa pensi papa Francesco. Da teologo e rettore dell’Università Cattolica di Buenos Aires – un’istituzione culturale molto cara all’allora arcivescovo della capitale (vi studiano 20 mila studenti) – ha lavorato per anni a stretto contatto con il cardinale Jorge Mario Bergoglio. È stato lui, ad esempio, il più stretto aiutante del futuro Pontefice nella redazione del documento di Aparecida del 2007, il testo che ha tracciato la traiettoria della missione della Chiesa in America latina: una Chiesa “in uscita”, fuori dai propri recinti. Un identikit che traspare anche nel recentissimo libro di Fernández: Il progetto di Francesco. Dove vuole condurre la Chiesa (Editrice Missionaria Italiana), frutto di una lunga conversazione con Paolo Rodari, giornalista di Repubblica.
Monsignor Fernández, un anno fa veniva eletto Bergoglio. Oggi si parla di una “rivoluzione” in atto nella Chiesa, iniziata e portata avanti dal Papa argentino. Quale è il tratto caratteristico di Francesco, secondo lei?
«Credo che ogni Papa mostri qualche aspetto particolare del Vangelo. Ogni Pontefice è un dono per la Chiesa e per il mondo. Anche i tanto vituperati Papi del Rinascimento hanno fatto qualcosa di buono, ad esempio mantenendo aperto il dialogo con la cultura del loro tempo. Penso che veramente papa Francesco ci mostri il Vangelo di Gesù. Per lui è molto forte anche il senso della Chiesa come sacramento di salvezza per ogni uomo e donna. Così come la convinzione che Dio vuole fare amicizia con noi e ci invita a un rapporto personale con lui. Francesco è intimamente convinto che, nella situazione di oggi, se la Chiesta non si fa prossima alle persone, se non mostra il volto di Gesù che è amore e salvezza, il rischio è che – per usare un proverbio argentino – “ci mangino i topi”, cioè che rischi di morire. Francesco ne ha coscienza e ha detto: iniziamo una nuova tappa nella Chiesa».
Alcuni osservatori descrivono Francesco come un Papa “progressista”, che attuerà cambiamenti nella dottrina cattolica. Altri dicono che è un populista. Altri ancora, come taluni conservatori americani, lo indicano addirittura come “marxista”. Chi è veramente Jorge Mario Bergoglio?
«È un pastore, un prete, un uomo che sogna una Chiesa aperta a tutti, perché decisa ad attuare lo scopo di Gesù: evangelizzare, ossia far arrivare a ogni persona l’annuncio dell’amore del Padre. Di questo si deve fare carico la Chiesa come primo ed essenziale compito. Questo è Bergoglio. Tutte le altre definizioni sono sbagliate, non esprimono – secondo me – chi sia veramente. Francesco vuole insistere sul cuore del Vangelo: l’amore, la vicinanza, la salvezza di Dio per tutti gli uomini e le donne. Per questo motivo non parla tanto, ad esempio, di alcuni principi morali, non perché insegni qualcosa di diverso, ma perché ha scoperto che per arrivare meglio al cuore della gente bisogna concentrarsi sul “cuore” del messaggio cristiano: l’amore del Padre che salva».
Per la prima volta la Chiesa ha un Papa che viene dal Sudamerica. Cosa significa questo, a suo giudizio?
«L’Argentina è una “periferia” molto lontana dal “centro” del mondo e della Chiesa. Tuttavia, oggi si dice che la periferia si trova nel centro. Si tratta di una periferia un po’ speciale, perché in Argentina si sono incontrate persone molto diverse: italiani, spagnoli, tedeschi, arabi, giapponesi, ebrei. Questi immigrati si sono sposati tra loro e hanno avuto dei figli, non hanno creato comunità separate o ghetti. Mia nonna, tedesca, ha sposato uno spagnolo della Galizia, una cosa che non sarebbe mai successa nell’Europa di inizio Novecento. E grazie a questa situazione particolare argentina, il Papa ha capito cosa vuol dire una “cultura dell’incontro”. E ha anche compreso quanto sia importante che questo stile diventi quello della Chiesa: un luogo dove tutte le persone, al di là delle loro provenienze, possano incontrarsi e capirsi. Dunque, un Papa che viene dalla periferia ci porta questo messaggio: la Chiesa è di tutti e appartiene a tutto il mondo. Noi, forse senza cattiva volontà, ultimamente parlavamo solo dei problemi della Chiesa europea, questione comunque importante. Invece – basta leggere l’esortazione Evangelii Gaudium – il Papa porta come esempi documenti di molte altre “periferie” della Chiesa, ovvero i vescovi del Congo, delle Filippine, dell’Oceania... Queste citazioni sono il segno che il Papa ascolta tutta la Chiesa universale e vuole esprimere disegni e bisogni di tutta la Chiesa».
Nel linguaggio di papa Francesco torna frequentemente una parola, «popolo», alla quale ultimamente non eravamo molto abituati. Un’espressione che rinverdisce l’espressione cara al Vaticano II, ovvero la Chiesa come «popolo di Dio». Cosa intende dire il Papa con questo termine?
«Capisco che in Europa la parola “popolo” susciti una certa diffidenza, visto il richiamo immediato a esperienze drammatiche come il nazismo o il fascismo che hanno abusato di questa espressione. Ma per Francesco il “popolo” è un’altra cosa. Non è una massa di gente decerebrata che non pensa e si lascia condurre dal primo capo che trova. Per Francesco il popolo è il fatto che la Chiesa siamo tutti noi, siamo noi uomini e donne credenti, compresi i poveri, coloro che hanno una loro maniera specifica di vivere e capire il Vangelo.
La Chiesa è popolo perché non è costituita per un gruppo ristretto di persone. I poveri hanno il diritto di far parte della Chiesa. E l’autorità, nella Chiesa come anche nella politica, è messa a servizio di questo popolo. Di qui si capisce pienamente perché Bergoglio, già da vescovo e cardinale, sia sempre stato allergico ai privilegi: essi distruggono il senso autentico dell’autorità, che è il servizio. Inoltre, per Francesco nel concetto di “popolo” vi è anche un senso di mistero: la Chiesa è popolo perché è guidata e illuminata dallo Spirito Santo, che fa sorgere in essa carismi, novità, segni. Lo Spirito lavora nel popolo che è la Chiesa ogni giorno e noi pastori dobbiamo guardare a esso con profonda fede».
Testo di Gerolamo Fazzini