sabato 8 marzo 2014

La bellezza della fede nella bellezza dell'arte

Cristo - Il compimento

Suor Rebecca Nazzaro, superiora delle Missionarie della Divina Rivelazione, illustra il suo apostolato


Il loro abito è verde, come il manto della Vergine della Rivelazione che il 12 aprile 1947 apparve a Bruno Cornacchiola nella Grotta delle Tre Fontane, a Roma. Le si può notare all’ingresso di un museo o nelle profondità delle catacombe. Niente di cui stupirsi, sono infatti le guide ufficiali della Basilica di San Pietro e dei Musei Vaticani per gli itinerari di “Arte e Fede”.
Stiamo parlando delle Missionarie della Divina Rivelazione. Nate da un progetto di Madre Prisca, hanno ricevuto l’approvazione diocesana l’11 febbraio 2001. Con una data di nascita così recente e un colore d’abito così innovativo, non potevano che essere anche delle suore creative.
La loro missione è, infatti, la catechesi che portano avanti sia per mezzo di incontri tradizionali in parrocchie e famiglie, sia in maniera meno convenzionale, cioè trasmettendo la bellezza della fede attraverso le famose Catechesi con Arte.
ZENIT ha intervistato la Madre Superiora delle Missionarie della Divina Rivelazione, Suor Rebecca Nazzaro, che prima della conversione era una giovane mezzosoprano nel coro lirico della Rai.
Qual è il rapporto tra fede e arte?
Suor Rebecca Nazzaro: È un rapporto molto forte. L’arte rende visibile l’invisibile, permette di comprendere la bellezza di quello che il cuore dell’uomo desidera vedere, ovvero la bellezza di Dio. L’opera è un veicolo per entrare nel mondo di Dio, che ad alcuni uomini ha donato la genialità di poter esprimere la Sua bellezza attraverso forme d’espressione artistica di fronte alle quali non si può che restare estasiati.
Che cos’è la bellezza?
Suor Rebecca Nazzaro: La bellezza è lasciarsi rapire da qualcosa che va al di là della materia, dello sguardo. È vedere oltre una bella immagine, è sentire oltre una bella musica. La bellezza è un ideale che viene presentato attraverso una creatura, ma che in realtà è solo il trampolino di lancio verso l’infinito, laddove c’è il Creatore. Proprio perché rimanda a Dio, la cifra della bellezza è l’amore.
Qual è la bellezza della fede cattolica?
Suor Rebecca Nazzaro: È riuscire, con l’aiuto della grazia di Dio, a imitare l’amore che ci è stato donato in Gesù Cristo, il quale ha detto: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8). La bellezza della fede cristiana è amare senza chiedere nulla in cambio, è donare senza interessi così come noi abbiamo ricevuto, in regalo, l’amore del Padre nel Figlio.
C’è un’opera artistica dove, più che in altre, svela l’intervento della mano di Dio?
Suor Rebecca Nazzaro: Ce ne sarebbero molte. La prima che mi viene in mente è il Giudizio Universale di Michelangelo, nella Cappella Sistina. Nel vortice di anime e corpi che risorgono dalla terra per andare in cielo si erge la maestà di Cristo, che alza una mano quasi in segno di castigo, mentre con l’altra mano indica la ferita del costato da dove scaturirono il sangue e l’acqua che diedero origine alla Chiesa. Con questi due gesti comprendiamo che il giudizio divino non è di condanna, bensì di misericordia. Michelangelo è riuscito a esprimere il piano salvifico di Dio, che fino all’ultimo istante dà l’opportunità di redimersi poiché non vuole perdere nessuna delle Sue creature. Se l’uomo si perde, è perché sceglie di perdersi, di dannarsi, non è Dio che lo condanna.
Penso che la drammaticità espressa nella muscolatura massiccia serva a far comprendere che il corpo è il mezzo con cui Dio ci ha amato facendosi uomo. Giovanni Paolo II, nell’omelia di inaugurazione della Cappella Sistina dopo il restauro, ha detto che il corpo è lakenosis di Dio, cioè Dio si è abbassato alla condizione umana, però questo stesso corpo è stato portato alle altezze di Dio, per cui dopo il Giudizio Universale godremo la visione di Dio in anima e corpo, che è tempio dello Spirito Santo.
Il vostro carisma è incentrato sulla devozione ai “Tre Bianchi Amori”: l’Eucarestia, l’Immacolata e il Santo Padre. Con quale immagine li rappresenterebbe?
Suor Rebecca Nazzaro: Rimango sempre estasiata di fronte al mosaico di Iacopo Torriti che si trova nell’abside della Basilica romana di Santa Maria Maggiore. In quest’opera la Madonna è raffigurata nel triplice ruolo di figlia, madre e sposa di Cristo.
Mi vengono poi in mente altri due esempi che mi pare racchiudano i Tre Bianchi Amori. Il primo è la Deposizione di Caravaggio. Come in tutti i quadri posti sull’altare, c’è sempre un dialogo tra l’opera artistica e il sacrificio celebrato sull’altare. L’Eucarestia è il corpo di Cristo adagiato da Giuseppe d’Arimatea e Giovanni sulla pietra tombale che Caravaggio dipinge ad angolo, come se dovesse cadere sull’altare stesso. Dietro il corpo deposto si trovano le tre donne: Maria Maddalena, Maria di Cleofa e la Vergine Maria, che abbraccia tutti perché è madre della Chiesa.
Un secondo quadro secondo me rappresentativo dei Tre Bianchi Amori è l’affresco di Francesco Podesti sulla proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione da parte di Pio IX, nel 1854. Si trova nella Sala dell’Immacolata, ai Musei Vaticani, in prossimità dellaDisputa del Santissimo Sacramento di Raffaello. Ispirato dal capolavoro raffaelliano, il Podesti raffigura anch’egli la chiesa della terra e la chiesa del cielo. La prima è una rappresentazione plastica dei partecipanti al dibattito sul dogma, riuniti nell’abside della Basilica di San Pietro. Ci sono teologi, religiosi, collaboratori e Papa Pio IX, colto nel momento in cui sta per leggere la bolla con cui si dichiara Maria concepita senza peccato originale. Quel giorno, l’8 dicembre 1854, il cielo era nuvoloso, ma all’improvviso da una finestra uscì un raggio di sole che andò a colpire il volto del Santo Padre, il quale dovette alzarsi e leggere in piedi la bolla. Il pontefice interpretò il fatto come un segno della benevolenza del cielo e chiese a Podesti di rappresentare quell’istante. La chiesa della terra è collegata alla chiesa del cielo proprio da quel raggio di sole che, nella parte sinistra dell’affresco, vediamo provenire da una croce retta da un angelo. Viene quindi introdotta la corte celeste, al cui centro c’è la Santissima Trinità, la Vergine Maria che schiaccia la testa del serpente, affiancata da San Giuseppe, San Giovanni Battista e via via dagli altri santi.

A proposito della Chiesa, ci troviamo nel mese dedicato al suo protettore universale, San Giuseppe.
Suor Rebecca Nazzaro: Giovanni XXIII ha dedicato il 19 marzo alla commemorazione di San Giuseppe e per l’apertura del Concilio Vaticano II ha voluto consacrargli un transetto all’interno della Basilica di San Pietro, dove c’è un bel mosaico. Nella Cappella Sistina possiamo ammirare un’immagine di San Giuseppe densa di significato. È dipinto vicino alla Vergine, con la croce, a indicare che è stato il padre putativo di Gesù. Il volto, però, è nascosto, così come nascosta e silenziosa fu per trent’anni la sua vita insieme al Figlio di Dio. 
Avete intenzione di portare le “Catechesi con Arte” oltre i confini di Roma?
Suor Rebecca Nazzaro: Sì, abbiamo già iniziato a farlo con le Missioni Popolari in altre città italiane e all’estero. In genere sono i parroci che, venuti a conoscenza delle nostre catechesi attraverso l’arte, ci contattano per tenere degli incontri presso le loro comunità. La tecnologia è di grande aiuto, perché basta avere un videoproiettore e possiamo spiegare l’opera come se le stessimo di fronte. Anche internet è un valido alleato, in quanto ci permette di restare in contatto con i gruppi interessati attraverso e-mail e social network. Abbiamo già fatto delle conferenze su Skype.
Pensate di estendere le catechesi ad altre forme artistiche, quali ad esempio la musica?
Suor Rebecca Nazzaro: Sì, ci stiamo pensando. Non escludo che in futuro potremo fare delle catechesi proprio con la musica.
Ultimamente avete realizzato un progetto di evangelizzazione per i detenuti del carcere romano di Rebibbia. Com’è nata l’idea?
Suor Rebecca Nazzaro: Sempre dalla musica. Dopo averci sentite cantare i salmi con la cetra, il cappellano del carcere ci ha chiesto: “Venite a portare un pizzico di cielo in questo luogo?”. Siamo rimaste molto colpite dalla domanda, così abbiamo proposto di animare la Santa Messa di Natale. Non è stato possibile portare con noi la cetra, ma c’era un organo e siamo comunque riuscite a preparare un coro con i ragazzi. Abbiamo donato cinquecento cappelli di lana con dentro un piccolo Bambinello fosforescente, ed è stato commovente vedere la semplicità con cui prendevano ciascuno la propria busta.
Cosa vi ha lasciato questa esperienza?
Suor Rebecca Nazzaro: Non siamo state noi a portare il bello, sono i detenuti ad avercelo donato. Pensavamo di diffondere il messaggio della fede attraverso la bellezza della musica, invece siamo state noi a ricevere il dono più grande: la bellezza di un’anima riconciliata con Dio. Noi abbiamo semplicemente animato la Santa Messa, ma la vera gioia è stata ascoltare le preghiere spontanee dei carcerati che chiedono perdono a Dio per il male compiuto. Non c’è bellezza più grande del sentirsi riconciliati con Dio, del sentirsi amati da Dio e comunicarlo, rendere grazie. È stata un’esperienza meravigliosa, ci hanno chiesto quando saremmo ritornate. Speriamo al più presto.
Siete delle missionarie che operano prevalentemente nella città di Roma. Come mai? Quando andate all’estero?
Suor Rebecca Nazzaro: La nostra missione è la catechesi, l’evangelizzazione, mentre il motto istituzionale della comunità è: “Serviam”, “Ti servirò”, ovvero donerò la vita per il servizio, andrò dove il Signore mi vuole. Strada facendo abbiamo poi scoperto due frasi che sentiamo nostre. La prima è di San Filippo Neri, che non riuscendo a partire per le Indie, come avrebbe voluto, disse: “Fai del bene a Roma e lo farai in tutto il mondo”. Per la nostra comunità, leggere questo è stato lapidario, perché stiamo davvero sperimentando cosa vuol dire fare del bene a Roma attraverso le catechesi nei musei, nelle basiliche. Intanto gettiamo il seme della fede, della bellezza, della Chiesa e, come scrive San Paolo, il Signore lo farà crescere.
L’altra frase è: “Imparare Roma”, scritta da Giovanni Paolo II nel suo libro Dono e mistero. È un invito rivolto a tutti i seminaristi, ricercatori, sacerdoti che vengono a studiare nella Città Eterna a visitare la Roma cristiana, perché solo così si può comprendere il cristianesimo delle origini. Queste sono le due ali con cui partiamo per le missioni: imparare Roma e fare del bene da Roma.
La nostra comunità, poi, è fortemente radicata nella Capitale. È qui che nasce ed è apparsa la Vergine della Rivelazione, ma ciò non toglie che andiamo anche all’estero, laddove ci chiamano, ad esempio in Messico, Argentina, Inghilterra. In genere ci fermiamo un paio di settimane, giusto il tempo di fare le catechesi e, una volta rientrate a Roma, manteniamo i contatti grazie alle nuove tecnologie di comunicazione.