venerdì 7 marzo 2014

La missione dei laici cristiani e la profezia del concilio Vaticano II.



“I fedeli laici, in virtù del Battesimo, sono protagonisti nell'opera di evangelizzazione e promozione umana”: è quanto afferma Papa Francesco in un Messaggio per il Convegno dei responsabili delle aggregazioni laicali ecclesiali e di ispirazione cristiana, promosso dalla Diocesi di Roma sul tema “La missione dei laici cristiani nella città” e aperto nel pomeriggio presso la Pontificia Università Lateranense. “Incorporato alla Chiesa, ogni membro del Popolo di Dio – sottolinea il Papa - è inseparabilmente discepolo e missionario. Bisogna sempre ripartire da questa radice comune a tutti noi, figli della madre Chiesa (cfr Evangelii gaudium, 120). Come conseguenza di questa comune appartenenza alla Chiesa e partecipazione alla sua missione – spiega - è importante non contrapporre tra loro le parrocchie e le aggregazioni ecclesiali laicali. Queste ultime, nella loro varietà e dinamicità, sono una risorsa per la Chiesa, con la loro proiezione nei diversi ambienti e settori della vita sociale; ma è bene – osserva Papa Francesco - che mantengano un legame vitale con la pastorale organica delle diocesi e delle parrocchie, per non costruirsi una lettura parziale del Vangelo e non sradicarsi dalla madre Chiesa (cfr ibid., 29)”.

Il Papa, pensando alla missione dei laici cristiani nella città “a contatto con le complesse problematiche sociali e politiche”, li invita a “fare uso abitualmente del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, uno strumento completo e prezioso. Con l'aiuto di questa ‘bussola’ – afferma - vi incoraggio a lavorare per l'inclusione sociale dei poveri, avendo sempre per loro una prioritaria attenzione religiosa e spirituale (cfr ibid., 200)”.

Ad aprire il convegno, la relazione del cardinale vicario Agostino Vallini su “La missione dei laici cristiani: la profezia del Concilio Vaticano II”, seguita dall’intervento del prof. Giuseppe Dalla Torre, rettore dell’Università Lumsa, sul tema “I laici cristiani nella città di Roma: protagonisti di un nuovo umanesimo”. 
 Radio Vaticana 

(Il testo completo nel file allegato)
 Files allegati: convegno laicato_relazione vallini_7mar2014.pdf 


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La missione dei laici cristiani e la profezia del concilio Vaticano II. Per una città più umana

Convegno alla Lateranense. «La missione dei laici cristiani nella città» è il tema del convegno che, venerdì 7 e sabato 8, riunisce a Roma, presso la Pontificia Università Lateranense, i responsabili diocesani delle aggregazioni laicali ecclesiali e di ispirazione cristiana. «Non si tratta — ha chiarito il cardinale vicario nella lettera di convocazione — di un convegno di carattere strettamente “pastorale”, cioè finalizzato a promuovere iniziative, quanto a far maturare la coscienza del nostro “essere Chiesa” a Roma e a incoraggiare la responsabilità propria dei laici di “animare cristianamente l’ordine temporale” (Lumen gentium, 31)». Sollecitati in questo dall’invito di Papa Francesco a «uscire verso le periferie esistenziali». Anticipiamo ampi stralci della relazione che il cardinale vicario pronuncia nel pomeriggio di venerdì 7 su «La missione dei laici cristiani: la profezia del concilio Vaticano II».

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(Agostino Vallini) Se lo scopo ultimo del concilio Vaticano II non è stato tanto quello di ammodernare l’apparato organizzativo della Chiesa, né di rilanciare un ideale religioso un po’ appassito, ma di “riaccendere il fuoco della Pentecoste” per un cambiamento del cuore degli uomini, per metterli in tensione sul ritmo di Cristo e di imprimere un forte impulso, perché come cristiani si sentissero cooperatori di Dio per la trasformazione del mondo, possiamo dire che ciò è avvenuto? I laici cristiani hanno preso coscienza della loro identità ecclesiale e si sono assunti la responsabilità loro propria? Dobbiamo riconoscere che, dopo cinquant’anni, il messaggio rinnovatore del concilio non è stato ancora assimilato pienamente nella coscienza popolare della Chiesa. E perché?
Anzitutto perché nella riflessione teologica postconciliare spesso si è confuso tra la dimensione della Chiesa popolo di Dio (laós), da cui il termine «laico» (laikós), e la condizione specifica propria — l’«indole secolare» — dei cristiani laici, affievolendo il ruolo specifico dei laici e il loro autonomo impegno.
In secondo luogo, la pastorale non è riuscita a dare ai laici una formazione popolare robusta che facesse crescere la coscienza laicale alla responsabilità propria. Salvo eccezioni, si è limitata generalmente — e si limita ancora oggi, purtroppo — alla catechesi per i sacramenti, mentre sarebbero necessari itinerari formativi, che partendo da motivazioni forti per credere giungessero a mostrare la bellezza della vita laicale vissuta nelle strutture del mondo. Certo, in questi decenni tanti cristiani laici hanno preso coscienza con entusiasmo e fiducia della loro vocazione e l’hanno sviluppata. Le associazioni e i movimenti, caratterizzati da forti identità, hanno prodotto e producono un grande bene alla comunità cristiana con la loro carica spirituale. Ricordiamo poi quei laici che hanno cambiato mentalità nel sentirsi Chiesa, grazie allo studio della teologia, alla frequentazione della Parola di Dio, alla preghiera e al bisogno di interiorità. Così pure va rimarcata la presenza operosa dei laici nella vita pastorale: non c’è parrocchia in cui non ci sia, accanto al sacerdote, un gruppo più o meno numeroso, più o meno preparato di laici, in verità soprattutto di donne, generosamente impegnati come catechisti, educatori e, in genere, collaboratori attivi dei parroci, seppure dopo gli anni dell’entusiasmo oggi non di rado ci si scontra con oggettive difficoltà.
Se su questi fronti “interni” si sono fatti notevoli passi avanti, non altrettanto — mi pare — si possa dire sia avvenuto in quelli dell’ambito “secolare”. Vale a dire, la coscienza e il conseguente impegno che fa del laico cristiano la «Chiesa nel mondo» mi sembrano deboli, se riteniamo che questo impegno non debba essere delegato a movimenti e gruppi che operano nel sociale e che comunque sono sempre piccole minoranze. Eppure la Chiesa di Roma, dopo il concilio, ha vissuto avvenimenti che ne hanno segnato, in qualche modo, la coscienza comunitaria e la presenza nella società.
Desidero fare memoria, in particolare, del Convegno diocesano voluto dal compianto cardinale Ugo Poletti, nel febbraio del 1974, su «Le attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma», di cui quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario. Fu un evento importante della storia religiosa e della coscienza civile della città, nel quale si ricompose il tessuto diocesano nel confronto con i problemi di Roma, allora molto sentiti. Ne derivò una presa di coscienza ecclesiale per un’azione sociale rinnovata. Un passaggio storico importante da non dimenticare e a cui fare riferimento per affrontare le sfide di oggi, diverse da quelle di allora. C’è poi un altro aspetto che condiziona non poco ed è il contesto culturale in cui viviamo. Tante persone vivono in una situazione di grande confusione e smarrimento spirituale, che ha portato ad una sorta di sfiducia nella ragione umana, ritenuta incapace di raggiungere la verità oggettiva, di qui la crescita di un diffuso relativismo. Sul piano esistenziale l’uomo è sempre più solo, per cui si rifugia in se stesso, nei propri bisogni, legati esclusivamente all’identità individuale.
Se questo è il mondo nel quale viviamo, mi chiedo: la Chiesa, in particolarmente i laici cristiani, hanno qualcosa da dire alla città, al suo tessuto sociale e alle sfide che esso pone? Hanno da dire molto come soggetto ecclesiale e civile. Vi è chiesta un’apertura di cuore, uno sguardo lungo rivolto al futuro, costruttivo, uno sguardo umile e coraggioso che si fa carico della realtà. La Provvidenza vi chiama ad accogliere una sfida, a essere protagonisti della costruzione di una città giusta e solidale, dove tutte le persone siano rispettate nella loro dignità e promosse nella loro libertà, allo scopo di realizzare il destino di figli di Dio. Da laici cristiani, è importante non dimenticare mai che siete impegnati a incarnare una presenza significativa in tutte quelle situazioni in cui, per un motivo o per l’altro, l’uomo si misura con la fragilità, che è la nostra stessa condizione di creature. Ma ci sono poi, purtroppo, tante situazioni da cui non possiamo voltare lo sguardo. In una città estesa e complessa in cui è marcata la differenza tra chi soffre la miseria, la crisi, la mancanza di lavoro, tra chi dorme per strada, chi mangia alle mense per i poveri, e chi tende a farsi i fatti propri, i propri interessi, a difendere le proprie sicurezze, i laici cristiani, proprio in ragione dell’aver trovato in Gesù il senso ultimo della vita, sentono una particolare spinta a farsi prossimo, amici e segni concreti dell’amore di Dio e di speranza verso chi è solo e soffre. «Per la Chiesa — ha scritto Papa Francesco — l’opzione per i poveri è una categoria teologica, prima che culturale, sociologica, politica o filosofica». Spinti dalla carità di Cristo e consapevoli che non si può offrire come carità ciò che è dovuto per giustizia, come cristiani non possiamo rimanere inerti.
Rileggendo a cinquant’anni di distanza gli insegnamenti del concilio Vaticano II sul laicato, mi pare urgente rilanciare la responsabilità laicale per «umanizzare la città» e i suoi ambienti di vita. È necessario svegliarci da un certo torpore e passare dalla diaspora della responsabilità alla presenza dialogica e attiva. Faccio appello a voi responsabili di associazioni, gruppi e movimenti cristiani di riprendere tra gli obiettivi formativi dei vostri membri quello di prepararli a essere presenti da cristiani responsabili negli ambienti di vita. Sentano la fierezza di dirsi cristiani e di agire con coerenza non solo nelle realtà associative, ma nella complessità della società. Che siano testimoni e portatori di valori forti per contribuire ad «umanizzare la città». La Chiesa non sogna una cristianità post-secolare, non ha aspirazioni temporalistiche, vuole essere una comunità di uomini e donne fortificati dallo Spirito Santo e testimoni umili e coraggiosi del Vangelo, con la chiara consapevolezza che la testimonianza cristiana è prima di tutto l’esercizio di un cristianesimo vissuto con gioia, lievito e luce nella tormentata vicenda umana.

L'Osservatore Romano