giovedì 13 marzo 2014

Testo inedito di Papa Francesco pubblicato da La Repubblica

“Basta fondamentalismi e pensiero unico, la verità non esiste senza il dialogo”

L’inedito di Bergoglio: le certezze assolute sono il rifugio di chi ha pauraSALTA all’occhio il fatto che nel corso della storia si siano moltiplicati — e continuino a moltiplicarsi anche oggi — i fondamentalismi. In sostanza si tratta di sistemi di pensiero e di condotta assolutamente imbalsamati, che servono da rifugio. Il fondamentalismo si organizza a partire dalla rigidità di un pensiero unico, all’interno del quale la persona si protegge dalle istanze destabilizzanti (e dalle crisi) in cambio di un certo quietismo esistenziale. Il fondamentalismo non ammette sfumature o ripensamenti, semplicemente perché ha paura e — in concreto — ha paura della verità. Chi si rifugia nel fondamentalismo è una persona che ha paura di mettersi in cammino per cercare la verità. Già «possiede» la verità, già l’ha acquisita e strumentalizzata come mezzo di difesa; perciò vive ogni discussione come un’aggressione personale.

La nostra relazione con la verità non è statica, poiché la Somma Verità è infinita e può sempre essere conosciuta maggiormente; è sempre possibile immergersi di più nelle sue profondità. Ai cristiani, l’apostolo Pietro chiede di essere pronti a «rendere ragione» della loro speranza; vuol dire che la verità su cui fondiamo l’esistenza deve aprirsi al dialogo, alle difficoltà che altri ci mostrano o che le circostanze ci pongono. La verità è sempre «ragionevole», anche qualora io non lo sia, e la sfida consiste nel mantenersi aperti al punto di vista dell’altro, senza fare delle nostre convinzioni una totalità immobile. Dialogo non significa relativismo, ma «logos» che si condivide, ragione che si offre nell’amore, per costruire insieme una realtà ogni volta più liberatrice. In questo circolo virtuoso, il dialogo svela la verità e la verità si nutre di dialogo. L’ascolto attento, il silenzio rispettoso, l’empatia sincera, l’autentico metterci a disposizione dello straniero e dell’altro, sono virtù essenziali da coltivare e trasmettere nel mondo di oggi. Dio stesso ci invita al dialogo, ci chiama e ci convoca attraverso la sua Parola, quella Parola che ha abbandonato ogni nido e riparo per farsi uomo.

Così appaiono tre dimensioni dialogiche, intimamente connesse: una tra la persona e Dio — quella che i cristiani chiamano preghiera — , una degli esseri umani tra loro, e una terza, di dialogo con noi stessi. Attraverso queste tre dimensioni la verità cresce, si consolida, si dilata nel tempo. […] A questo punto dobbiamo chiederci: che cosa intendiamo per verità? Cercare la verità è diverso dal trovare formule per possederla e manipolarla a proprio piacimento.

Il cammino della ricerca impegna la totalità della persona e dell’esistenza. È un cammino che fondamentalmente implica umiltà. Con la piena convinzione che nessuno basta a sé stesso e che è disumanizzante usare gli altri come mezzi per bastare a sé stessi, la ricerca della verità intraprende questo laborioso cammino, spesso artigianale, di un cuore
umile che non accetta di saziare la sua sete con acque stagnanti.

Il «possesso» della verità di tipo fondamentalista manca di umiltà: pretende di imporsi sugli altri con un gesto che, in sé e per sé, risulta autodifensivo. La ricerca della verità non placa la sete che suscita. La coscienza della «saggia ignoranza» ci fa ricominciare continuamente il cammino. Una «saggia ignoranza» che, con l’esperienza della vita, diventerà «dotta». Possiamo affermare senza timore che la verità non la si ha, non la si possiede: la si incontra. Per poter essere desiderata, deve cessare di essere quella che si può possedere. La verità si apre, si svela a chi — a sua volta — si apre a lei. La parola verità, precisamente nella sua accezione greca di aletheia, indica ciò che si manifesta, ciò che si svela, ciò che si palesa attraverso un’apparizione miracolosa e gratuita. L’accezione ebraica, al contrario, con il termine emet, unisce il senso del vero a quello di certo, saldo, che non mente né inganna. La verità, quindi, ha una duplice connotazione: è la manifestazione dell’essenza delle cose e delle persone, che nell’aprire la loro intimità ci regalano la certezza della loro autenticità, la prova affidabile che ci invita a credere in loro.

Tale certezza è umile, poiché semplicemente «lascia essere» l’altro nella sua manifestazione, e non lo sottomette alle
nostre esigenze o imposizioni. Questa è la prima giustizia che dobbiamo agli altri e a noi stessi: accettare la verità di quel che siamo, dire la verità di ciò che pensiamo. Inoltre, è un atto d’amore. Non si costruisce niente mettendo a tacere o negando la verità. La nostra dolorosa storia politica ha preteso molte volte di imbavagliarla. Molto spesso l’uso di eufemismi verbali ci ha anestetizzati o addormentati di fronte a lei. È, però, giunto il momento di ricongiungere, di gemellare la verità che deve essere proclamata profeticamente con una giustizia autenticamente ristabilita. La giustizia sorge solo quando si chiamano con il loro nome le circostanze in cui ci siamo ingannati e traditi nel nostro destino storico. E facendo questo, compiamo uno dei principali servizi di responsabilità per le prossime generazioni.

La verità non s’incontra mai da sola. Insieme a lei ci sono la bontà e la bellezza. O, per meglio dire, la Verità è buona e bella. «Una verità non del tutto buona nasconde sempre una bontà non vera», diceva un pensatore argentino. Insisto: le tre cose vanno insieme e non è possibile cercare né trovare l’una senza le altre. Una realtà ben diversa dal semplice «possesso della verità» rivendicato dai fondamentalismi: questi ultimi prendono per valide le formule in sé e per sé, svuotate di bontà e bellezza, e cercano di imporsi agli altri con aggressività e violenza, facendo il male e cospirando contro la vita stessa.
La Repubblica*La sera del 13 marzo 2013. Nessuno ha indovinato

Pubblichiamo un estratto del libro «De Benedicto a Francisco. Una crónica vaticana» (Barcelona, Fragmenta Editorial, 2013, pagine 320, euro 19,90).
(Arturo San Agustin) Fa buio e il freddo sembra aumentare. E inizia a piovere. Poco a poco piazza san Pietro si riempie di fedeli, romani e turisti. Un gabbiano si poggia sul cappello del comignolo e, grazie alla televisione, diventa famoso in tutto il mondo. Forse si tratta di un segno, ma neanche i gabbiani sono più come una volta. Ci sono gabbiani ovunque. Persino nelle città senza porto.

È colpa delle discariche. Con le cicogne accade lo stesso. La fumata tarda troppo ad apparire, ma, nonostante la pioggia e il freddo, a piazza San Pietro gli ombrelli resistono. Vedo bandiere statunitensi, brasiliane, argentine, spagnole, messicane, molte bandiere messicane. E all’improvviso, alle 19.05, appare la fumata ed è bianca. Piove, continua a piovere, ma piazza San Pietro si sta riempiendo come nelle grandi occasioni. Arriva una banda musicale, la banda di San Pietro che, mentre sfila e intona una marcia, sembra voler trasformare questo momento in un tempo di grande festa. Dietro di lei spuntano i membri della Guardia Svizzera con i loro elmi metallici, simili a quelli dei battaglioni di fanteria spagnoli che combattevano o perdevano nelle Fiandre o conquistavano le terre d’America. E dietro di loro un’altra banda musicale, quella dei carabinieri, che è un’altra cosa, un’altra banda, più cinematografica, più da commedia italiana, con Vittorio De Sica nel ruolo di comandante o di quel Carotenuto di cui non ricordo il grado. E poi arrivano le forze armate: quella di terra, la marina, quella dell’aria, che aggiungono una nota bellica che forse non si addice affatto a ciò che accadrà da lì a poco. Il comandante della Guardia Svizzera e quello dei carabinieri sembrano per un momento disposti a scambiarsi i comandi. Dopo i gesti marziali di rigore, con i colpi di tacco, i movimenti delle sciabole e tutte quelle cose tante volte provate e tanto verticali, il comandante della Guardia Svizzera si posiziona davanti ai carabinieri e quello dei carabinieri davanti agli svizzeri. Lo scambio di comando, il messaggio di fraternità, si estende anche alle bande musicali. La banda di San Pietro, che è quella del Vaticano, esegue l’inno ufficiale d’Italia e piazza San Pietro si trasforma in qualcosa di molto simile a una finale di Champions League. Tutti gli italiani, in particolare i giovani, cominciano a cantare il loro inno. Poi, la banda del corpo dei carabinieri esegue l’inno ufficiale del Vaticano, che non viene accompagnato da cori. E giunge il momento. La porta che dà accesso al balcone o loggia centrale della facciata della basilica di San Pietro si apre definitivamente. L’eletto risulta essere un argentino, il gesuita e cardinale Jorge Mario Bergoglio, che ha scelto il nome di Francesco, in memoria di Francesco di Assisi. Ancora una volta i giornalisti, compresi naturalmente noi vaticanisti, si sono sbagliati. Nessuno ha indovinato. Gli italiani non sono però soliti soffermarsi su queste cose e si dedicano a raccontare quello che già sapevamo, ma che ora acquista una nuova dimensione.
L'Osservatore Romano

Non c'è alcuna "rivoluzione" di Papa Francesco
di Luca Volontè

Il Papa è il Papa, come tutti gli altri pontefici un dono dello Spirito Santo per la Chiesa e per il mondo. Mi amareggiano molto gli strattonatori, da sempre. Nella mia breve vita ho potuto apprezzare e seguire quattro pontefici, ahimè sempre ho dovuto sentire parole ipocrite di taluni che hanno tentato di giustificare le proprie opinioni espandendo smisuratamente o riducendo asfitticamente l'insegnamento dei pontefici.
Ci sono stati quelli che..."Paolo VI era di sinistra" e quelli che..."Albino Luciani è stato ucciso perché voleva cambiare tutto", quelli "amici di Wojtyla, ma la Curia non la gestisce" e quelli per i quali Ratzinger era "troppo conservatore e Bertone...". Pensano di saperne sempre una più del Diavolo, il che potrebbe pure essere, ma dimostrerebbe solo di avere una visione distorta della Chiesa. Ora abbiamo la nuova stirpe, anche se per lo più i soggetti sono gli stessi, di "saltimbanchi" che adorano a tal punto la propria interpretazione delle parole di Papa Francesco da sezionarne con il taglierino i propositi.
Leggo in queste ore una opinione sul pontificato attuale che mi lascia esterrefatto, Francesco sarebbe il primo pontefice delle globalizzazione per la capacità di usare social media e la semplicità del linguaggio. Non capisco dove siano finite la memoria storica e la capacità di giudizio, da dove provenga la fretta, quasi la foga di contrapporre questo pontefice ai suoi predecessori. Il tentativo di recidere le radici del pontificato, di ogni pontificato non può e non sarà possibile. Dove mettiamo la sorpresa enorme che colpì tutti i possessori di apparecchi radiofonici nell'ascoltare i radiomessaggi di Papa Pio XII? Dove le immagini televisive di Papa Montini e i messaggio in mondovisione di Luciani, dove il pellegrinaggio terreno "paolino" del "buon seminatore" Karol Wojtyla, dove la presenza costante di Benedetto XVI su tutti i mass media del mondo?
Eppure, pur facendo torto alla propria intelligenza, oggi la bramosia del potere porta taluni seri osservatori a cavalcare gli errori del passato. Nello stesso modo, a causa del medesimo atteggiamento, ci sono taluni "Principi della Chiesa" che nell'affermare la propria incapacità e i propri errori, non riflettono sulle cause e spingono avanti invece l'idea di considerare l'errore una virtù. Mi spiego. Ammettiamo che tutto ciò che in questi giorni si attribuisce a un noto Cardinale Relatore del Sinodo sia veritiero. Ovviamente prendiamo tutto con la massima buona fede, ma anche così dobbiamo considerare che la prima questione sorgente dalla triste e sofferente vicenda dei divorziati è quella delle cause del divorzio e della frequente incoscienza della definitiva bellezza del vincolo matrimoniale.
Se si partisse da qui, si partirebbe dall'origine del problema e si potrebbe riflettere ben più utilmente sui "corsi prematrimoniali", sui tanti chierici che sostengono la bontà della "convivenza pre-matrimoniale", sui silenzi imbarazzanti in merito alla castità, alla verginità dei fidanzati e via di seguito sino al "menefreghismo" diffuso per una qualunque pastorale post-matrimoniale. Più giù, cosa insegnano le scuole cattoliche ai nostri giovani e come insegnano la bellezza e la gioia delle virtù pre-matrimoniali?
Certo esistono casi limite nei divorzi, di questi pochissimi, è bene si occupino i parroci locali, magari coadiuvati dal proprio vescovo. Essi sono gli unici che sanno, perché condividono, quella situazione di triste difficoltà. Invece no, si parte dall'auto ribaltamento della realtà ma evitando di "autodenunciare" i propri errori, le proprie difficoltà, in una parola di affrontare serenamente e seriamente la sfida della proposta cristiana del matrimonio nella società di oggi. Un mio caro amico inglese, vissuto il secolo scorso, avrebbe detto che a furia di inseguire i divorziati si è divorziato sia dalla dottrina che dalla pastorale per gli sposati. Mi permetto, senza voler turbare né offendere nessuno, di segnalare quanto questo punto di partenza "inverso" e "irreale", sarebbe fautore solo di danni ancor più gravi, priverebbe ancor più la società della gioia e della forza del benessere famigliare e i giovani del loro desiderio di vita famigliare.
Suggerisco anche un'altra pista, molto concreta: preso atto della enormità di immobili vuoti in moltissime diocesi nel mondo, perché non dare concreto aiuto alle giovani e meno giovani coppie nella loro difficile ricerca di una casa e lanciare un piano concreto di affitti solidali. Una prova di solidarietà famigliare e di lungimiranza volta al benessere dell'intera società. Ebbene anche in questi casi e su questi temi sensibili su cui stanno riflettendo i pastori della Chiesa, esistono coloro che giustificano le proprie opinioni e accusano i "contrari" di volere "frenare il Papa". No comment, certamente una delle grandi virtù e dei doni di Papa Francesco è la sua misericordia, il suo silenzio a riguardo di queste affermazioni è un grande insegnamento per tutti noi.
Il Papa Francesco è il Papa, un pastore che vuole capire, riflettere e pregare prima di esprimersi anche sul perchè della privazione dei sacramenti che le coppie gay impongono ai loro figli. L'ideologia Gender, infatti è totalitaria e si oppone radicalmente ad ogni briciola di proposta cristiana, i suoi magnati e sponsor finanziariamente potentissimi, vogliono la distruzione di ogni radice antropologica cristiana e di ogni sua permanente presenza nel mondo di oggi. Perciò le coppie gay a cui vengono, nel migliore dei casi, affidati figli non possono permettere i sacramenti e una educazione cristiana ai "propri" figli. Ci sarebbe molto da dire, fermiamoci qui. All'ombra di Pietro accadevano miracoli, toccando la veste di Gesù c'erano guarigioni, non si è mai sentito dire invece che a Pietro o al Signore fosse accaduto di cambiare la propria opinione o la propria fede per essere stati strattonati. Il più ben regalo per questo primo anno di pontificato è la preghiera per il Papa, che Dio c'è lo conservi per lunghi anni.