domenica 1 giugno 2014

Il matrimonio non è un "patto legale", ma un "dono" di Cristo all'uomo e alla donna

Il cardinale Caffarra incontra l'associazione "Famiglie per l'Accoglienza" e ricorda l'aspetto "misterico" del vincolo coniugale, oggi spesso svalutato da polemiche e discussioni politico-legali


Nonostante lui stesso l'abbia definita solo uno "schizzo di catechesi", la riflessione del cardinale Carlo Caffarra sulla coniugalità, pronunciata ieri durante l'incontro con l’associazione “Famiglie per l’Accoglienza”, a Bologna, è stata invece una profonda e lucida analisi della dimensione 'divina’ del matrimonio. Un Sacramento del cui aspetto 'sacro' è rimasto poco oggi, essendo spesso svalutato e diluito in innumerevoli diatribe politico-legali che a volte finiscono anche per assumere le vesti di infauste norme giuridiche.
Se ormai, nel tempo attuale, si parla di matrimonio solo per tirare in ballo argomenti come divorzi-lampo e unioni civili e omosessuali, l'arcivescovo di Bologna è tornato invece alle fonti del Sacramento, ricordando che "esiste una relazione fra il rapporto Cristo-Chiesa e il rapporto fra lo sposo e la sposa": una relazione di natura “misterica”, come direbbero i Padri della Chiesa.
Essa si comprende alla luce della “economia dell’Incarnazione”, vale a dire "il comportamento di Dio nei nostri confronti”, il modo in cui Egli “si manifesta in modo supremo e definitivo in Gesù, il Verbo fattosi uomo". “La parola umana detta da Gesù è un grande 'mistero'”, ha affermato Caffarra, come lo è pure "l’atto con cui Gesù dona se stesso sulla Croce", che “dice umanamente l’amore divino verso l’uomo”.
Questo "modo di comportarsi" del Verbo incarnato continua anche oggi: "Egli rivela e realizza la redenzione dell’uomo servendosi di realtà umane". Anzitutto con i Sacramenti, ma anche attraverso il rapporto coniugale nel quale "è presente il Mistero dell’unità di Cristo colla Chiesa". Il matrimonio, partecipando della “natura” di tale mistero di unione tra Gesù e la Chiesa, ne è pienamente e totalmente “impregnato”, ha rimarcato il cardinale.
Come in ogni sacramento, poi, anche in quello del matrimonio si possono distinguere "tre strati". Nel caso dell'Eucarestia, ad esempio, il primo strato è quello "più semplice, visibile, constatabile" delle specie eucaristiche: il pane ed il vino consacrati che in realtà sono il Corpo e il Sangue di Cristo (secondo strato), rappresentati dal cibo proprio per dimostrare che “Cristo vuole unirsi a noi” formando “Lui e noi, un solo corpo" (terzo strato).
Analogamente nel matrimonio, - ha spiegato l'arcivescovo di Bologna - esiste un primo strato che è l’uomo e la donna che "si scambiano il consenso ad essere e vivere come marito e moglie", significando così una realtà non visibile: "la reciproca, definitiva, appartenenza". Ovvero il vincolo coniugale (secondo strato) che, però, "non è un vincolo morale e legale in base al principio 'i patti, i contratti si rispettano'” - ha precisato il porporato - bensì “una relazione che dà una nuova configurazione alla persona dei due coniugi”, e che "esige di realizzarsi nella carità coniugale (terzo strato)".
“L’unione di Cristo e della Chiesa è significata realmente dal vincolo coniugale", ha evidenziato il caredinale Caffarra. Gli sposi, cioè, “sono congiunti l’uno all’altro con un legame in cui dimora il legame di Cristo colla Chiesa". Quello stesso legame che Sant'Agostino definiva il “bene del sacramento”.
Un Sacramento, quello del matrimonio, che, come per il Battesimo, è racchiuso tutto in un gesto “che dura un istante”: l'acqua versata sul capo, nel primo caso; lo scambio del consenso, nel secondo. L'effetto che si ottiene, tuttavia, è "una realtà permanente, che configura per sempre la persona a Cristo".
In questo senso i due sposi sono solo “ministri del sacramento”: “Il vincolo coniugale è 'prodotto' da Cristo stesso”, ha spiegato l’arcivescovo, mentre i due sposi “consentono che Cristo li vincoli nella modalità sacramentale”. Ecco perché, ha aggiunto, "nessuna autorità, compresa quella del Papa, può rompere un vincolo coniugale quando ha raggiunto la sua perfezione sacramentale”.
Si capisce allora perché la coniugalità sia un così “grande mistero”, per dirla alla San Paolo, e soprattutto sia "un dono" elargito da Cristo. “Il vincolo coniugale per sua stessa natura chiede di penetrare profondamente nella mente, nel cuore, nella libertà, nella psiche degli sposi: in tutta la loro persona”, ha sottolineato il porporato.
A questo scopo, Gesù dona un dono nel dono agli sposi: la "carità coniugale", caratteristica propria dei coniugi che, nella Chiesa, assume "una colorazione" diversa rispetto alla carità pastorale o a quella verginale. "La carità coniugale - ha osservato Caffarra - si radica nella naturale attrazione reciproca con cui Cristo ama la Chiesa e la Chiesa Cristo". Essa, inoltre, “si esprime anche nel linguaggio del corpo”, facendo sì che "i due diventino una sola carne” capace "di un’accoglienza e di una gratuità splendida".
S. Cernuzio

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Il divorzio 40 anni dopo

La legge Fortuna-Baslini ha segnato l'agonia lenta ma costante del matrimonio e della famiglia tradizionali in Italia, con tutte le conseguenze...


di Piero Gheddo
Quarant’anni fa, il 22 maggio 1974, il referendum abrogativo della legge sul divorzio approvata dal Parlamento nel dicembre 1970 (proposta dal socialista Loris Fortuna e dal liberale Antonio Baslini), venne approvato solo dal 40,7% dei votanti; il 59,3% aveva bocciato il referendum. Quel voto ha segnato l’agonia lenta ma costante del matrimonio e della famiglia tradizionali in Italia. Ricordo benissimo la compagna contro il divorzio a cui anch’io, per quel poco che contavo, mi sono impegnato, avendo sperimentato la bellezza e gioia di una famiglia unita e soprattutto, leggendo e meditando i testi di Paolo VI e dei vescovi italiani, mi rendevo conto che, col divorzio diventato legge di stato, iniziava il dissolvimento della famiglia e quindi della società italiana.
Ancora una volta si è avverato il detto dei latini “Lex creat mores”, la legge crea il costume. Oggi, 40 anni dopo, possiamo vederlo con chiarezza. Le famiglie regolari sono minoritarie, diminuiscono i matrimoni religiosi e civili, diminuiscono in modo drammatico i bambini. aumentano le libere convivenze e un numero sempre maggiore di giovani non si pongono più la meta di unire la propria vita ad una donna o a un uomo, per creare una famiglia stabile; rimandano la scelta decisiva e a 40 anni si ritrovano “singoli”. Trionfa “il sesso libero” invocato dai sessantottini, e nel Parlamento italiano sono in cammino le leggi del matrimonio fra i gay, le adozioni di bambini da parte di sposi o conviventi gay, le inseminazioni artificiali, l‘utero in affitto, il “divorzio breve” che risolve tutto in sei mesi, l’omofobia, ecc.
Le conseguenze sono tutte negative: si formano meno famiglie, nascono pochi bambini, e soprattutto i genitori precari danno vita a persone che portano dentro il tarlo della precarietà. Una giovane insegnante di scuola elementare qui a Milano mi dice che dopo pochi mesi di scuola già si possono individuare almeno alcuni dei bambini che non hanno genitori stabili, i cui genitori non sono uniti, bisticciano; l’insegnante non si può dire: “Obbedite ai vostri genitori” perché qualche bambino risponde: “Io ho due papà e una mamma, a chi  obbedisco?”. L’Italia manca di bambini (noi italiani diminuiamo di più di 100.000 unità all’anno!) e un certo numero dei giovani che ci sono, secondo Riccardo Gatti di una Asl milanese, “il 24% di ragazzi abusa di alcool e droghe” (Avvenire, 25 maggio 2014). Invece di andare all’oratorio, oggi molti giovani vanno in discoteca e certamente la loro formazione umana e morale non ci guadagna.
Il divorzio non è un problema dei cattolici. Lo diceva con forza il giurista prof. Gabrio Lombardi, laico non credente che presiedeva il “Comitato nazionale per il referendum sul divorzio”. Leggo in un suo ritaglio stampa di quel tempo questa profezia: “Se gli italiani approvano la legge sul divorzio, distruggono la famiglia tradizionale e la stessa società italiana, poichè la società si fonda sulla famiglia prima che sullo stato”. Aveva  ragione, e con lui il Papa, i vescovi italiani e numerosi deputati Dc, compreso il segretario del Partito, on.le Amintore Fanfani, che si spese generosamente nella campagna contro il divorzio. “Ma il fronte cattolico si presentò diviso di fronte al divorzio – scrive lo storico Gianpaolo Romanato dell’Università di Padova  (Avvenire, 25 maggio)  – ma non bisogna dimenticare che era già diviso da prima, si era spaccato nell’immediato postconcilio”.
So bene che il problema è complesso. “E’un problema di diritti e di libertà, dicevano i divorzisti. L’amore dura fin che dura, se due sposi non si amano più è meglio che si separino e si sposino di nuovo”. Il Sessantotto ha lanciato il tema dei “diritti”, tutto era diritto, ma di “doveri” non si parlava e non si parla quasi più. Papa Francesco ha detto recentemente: “Ogni bambino ha il diritto di avere un papà e una mamma”. Ma questo diritto non si ricorda mai, non esiste più. Come al solito prevale il diritto (o il capriccio, l’egoismo) dei più forti.  Il sessantotto ha imposto alcune delle tante ideologie di cui ancora soffriamo: il relativismo, l’individualismo e si perde il senso della vita. Se non esiste più una verità assoluta non esistono più valori assoluti, quindi nulla per cui valga la pena di spendere la vita. Il quotidiano cattolico “Avvenire” ha pubblicato un articolo intitolato: “Quella legge che cambiò l’Italia” (25 maggio 2014). Non so cosa ne pensano i lettori, per me l’ha cambiata in modo estremamente negativo.
(Fonte: blog ARMAGHEDDO. L'attualità vista da padre Piero Gheddo, missionario-giornalista". L'indirizzo del sito ufficiale di padre Gheddo è http://www.gheddopiero.it/)