lunedì 8 settembre 2014

Ai suoi occhi tutti i popoli erano buoni



Il patriarca Atenagora raccontato dal metropolita del Belgio. 

Artigiano di pace. «Il patriarca Atenagora e il dialogo della carità, o come un greco nato ai tempi dell’impero ottomano divenne un artigiano di pace»: è il titolo della relazione tenuta venerdì 5 settembre dal metropolita del Belgio, esarca dei Paesi Bassi e del Lussemburgo, al Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa svoltosi al monastero di Bose. Ne pubblichiamo alcuni stralci.

(Atenagora Peckstadt) Come poté un bizantino, di nome Aristoklis Spyrou, nato a Vassilikon, un villaggio dell’Epiro, divenire difensore del dialogo ecumenico e del riavvicinamento delle Chiese cristiane? L’Epiro all’epoca faceva parte di quei Balcani in cui regnava una civiltà multiculturale. Accanto alla popolazione greca autoctona, vivevano una minoranza slava, un gruppo di albanesi convertiti all’islam e un gruppo di pastori valacchi stabilitisi nelle montagne circostanti. 

Atenagora nacque al tempo dell’impero ottomano. I greci non erano nazionalisti, nel senso in cui intendiamo noi oggi, erano bizantini: avevano ereditato da Bisanzio lo spirito dell’ecumenicità greco-ortodossa, per il quale l’importante era essere “ortodossi” e parlare la lingua greca, anche se solo come seconda lingua. Nel suo villaggio vivevano cristiani e musulmani, in un rispetto reciproco. I bambini cristiani e musulmani giocavano insieme. Gli amici musulmani erano invitati alle feste di battesimo e i musulmani invitavano i greci alla festa della circoncisione. I musulmani partecipavano anche alla festa parrocchiale di san Giorgio.
La lettura di alcuni libri l’aiutò a rendere prioritarie nella sua vita personale l’armonia, la tolleranza e la convivenza pacifica, a formare il suo pensiero ecumenico. Risvegliò qualcosa in lui, qualcosa di cui i suoi professori dell’Istituto di teologia di Halki non parlavano mai: le altre Chiese cristiane. Se si affrontava il tema era solo per sottolineare le differenze, mai le similitudini o gli elementi positivi. Dopo ave concluso i propri studi ad Halki, il diacono Aristoklis appena ordinato si trasferì a Monastiri (l’odierna Bitola, in Macedonia). Nella sua ordinazione diaconale aveva ricevuto il nome di Atenagora ed era stato nominato responsabile delle scuole greche del vescovado di Monastiri. Fu presto promosso arcidiacono. Due anni dopo fu nominato vicario generale. Quell’incarico gli permise di incontrare ogni giorno tante persone e di aiutarle, mettendosi al loro servizio. La città e la sua regione erano note per la grande diversità delle popolazioni che vi risiedevano: greci, turchi, bulgari, serbi e altri ancora. Cristiani, musulmani ed ebrei vi coabitavano. Quella coabitazione tra popoli e religioni diverse segnò profondamente il futuro Patriarca. La complessità della situazione però non gli sfuggiva. Nel frattempo, dal 1912, era scoppiata una nuova guerra, con mire nazionalistiche che avevano creato tensione tra le comunità. Ma il giovane Atenagora non seguì quella facile china. Continuava a visitare ogni casa, curava i malati e pronunciava parole di consolazione. La tempesta del nazionalismo che incombeva sulla regione non lo toccava. Aveva conservato legami con gli slavi, i tedeschi, gli austriaci e i francesi. Ai suoi occhi, tutti i popoli erano buoni. Pensava che tutti avevano bisogno d’amore. La parola “amore” divenne una parola-chiave nella vita di Atenagora. Aveva in mente un amore vero, un amore capace di far risplendere la luce e la vita.
Dopo il dramma del 1918, il metropolita Crisostomo dovette lasciare Monastiri e si ritirò sul monte Athos. Atenagora lo seguì e rimase sul monte Athos sei mesi. Sei mesi di vita spirituale totale, incentrata completamente sulla preghiera e sulla purificazione. Una purificazione dall’odio nel quale aveva dovuto vivere. Atenagora amava molto il monachesimo, ma si sentiva chiamato a una forma di monachesimo come quello di san Cosma l’Etolico: un monachesimo di amore attivo, piuttosto che di “preghiera pura”, due forme nondimeno molto legate tra loro. In seguito, nel 1919, fu nominato primo segretario del sinodo della Chiesa di Grecia, proprio all’epoca in cui stava decollando il movimento ecumenico, grazie al sostegno del patriarcato ecumenico.
Nel 1923, a 37 anni, Atenagora fu eletto dal sinodo della Chiesa di Grecia metropolita di Corfù. La sua vocazione ecumenica trovò qui un terreno nuovo per svilupparsi. Su questa isola, occupata da secoli dai veneziani, abitavano molti cattolici romani. Atenagora divenne subito amico del loro vescovo, monsignor Leonardo Brindisi, e non esitò a passeggiare in strada in sua compagnia. Quando i bambini accorrevano da lui per baciargli la mano, Atenagora ingiungeva loro di baciare prima quella del suo collega romano. Quel gesto aveva un grande significato nel mondo mediterraneo. Nel 1930, il sinodo del patriarcato ecumenico lo nominò arcivescovo d’America del Nord e del Sud. Come a Corfù, manifestò le sue doti di “uomo di Stato” (nel suo caso di leader ecclesiastico) al servizio di una visione.
Il 1°ᵒnovembre 1948, Atenagora fu nominato Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Sarà conosciuto soprattutto per il suo incontro storico con Papa Paolo VI a Gerusalemme nel 1964. Per la prima volta dal 1439, i primati delle Chiese di Roma e di Costantinopoli s’incontravano. Si videro nuovamente a Costantinopoli nel 1967, e anche a Roma quello stesso anno. Nel 1965 i due leader religiosi si misero d’accordo per rimuovere le reciproche scomuniche di Papa Leone IX e del Patriarca ecumenico Michele I nel 1054, scomuniche che avevano portato al più grande scisma della storia.
L’incontro tra Paolo VI e il Patriarca ecumenico Atenagora ebbe luogo il 5 gennaio 1964 a Gerusalemme. Il Patriarca pronunciò le seguenti parole: «Ci siamo abbracciati una prima volta, poi una seconda volta, poi di nuovo e ancora di nuovo. Come due fratelli che si sono ritrovati dopo una lunga separazione». Parlarono e pregarono insieme, molto più a lungo del previsto. Una dichiarazione comune, un vera azione di rendimento di grazie, fu resa nota al mondo: «I due pellegrini, lo sguardo rivolto a Cristo — che, insieme al Padre, è l’esempio e l’autore dell’unità e della pace —, pregano Dio affinché questo incontro divenga un segno e una prima tappa di ciò che deve ancora venire per la Gloria di Dio e per l’illuminazione dei fedeli». Atenagora, prima di intraprendere il suo viaggio in Terra Santa, aveva consultato tutte le Chiese locali ortodosse. A eccezione della Chiesa di Grecia, tutte incoraggiarono l’iniziativa. Il Papa e il Patriarca e tutte le persone presenti all’incontro testimoniarono la forza di quel segno. Avvertirono che Cristo stesso era all’opera e che le persone si sentirono sollevate. Il primo abbraccio fu nello spirito della Pentecoste. Il bacio di pace simboleggiava una communio che cercava innanzitutto di ripristinarsi nell’amore. «Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Matteo, 5, 23-24). Il Papa e il Patriarca ricordarono spesso queste parole. Le immagini dell’incontro tra Atenagora e Paolo VI fecero il giro del mondo, alla televisione, sui giornali e su riviste prestigiose, il che contribuì in gran misura a far capire ai cattolici romani d’Occidente che la Chiesa latina non era l’unica. Questi erano ben consapevoli dell’esistenza dei protestanti, ma erano completamente indifferenti agli ortodossi. Dopo quell’incontro, diverse reliquie degli apostoli furono restituite alla Chiesa ortodossa tra cui i crani dell’apostolo Andrea e di san Tito e le reliquie di san Saba.
L’evento storico successivo a questo incontro a Gerusalemme fu la rimozione dei reciproci anatemi. Questa rimozione delle scomuniche ebbe luogo il 7 dicembre 1965, simultaneamente a Roma e al Phanar. Il delegato del Patriarcato ecumenico in Vaticano era il metropolita Melitone di Eliopoli e Thera (poi di Calcedonia), presidente della III Conferenza panortodossa di Rodi nel 1964. Fu così che si mise fine a dieci secoli di separazione e di doloroso disaccordo tra cristiani. Ciò non significa però che da quella data si realizzò l’unità della Chiesa. Nuovi incontri tra Paolo VI e Atenagora si tennero a Costantinopoli e a Roma nel 1967.
Nella biografia di Paolo VI risalta un gesto profetico compiuto il 14 dicembre 1975, quando s’inginocchiò davanti all’inviato del Patriarca Atenagora, il metropolita Melitone di Calcedonia, e gli baciò i piedi. Lo fece a nome di tutta la Chiesa cattolica romana per chiedere nuovamente perdono all’ortodossia per quanto accaduto durante il grande scisma del 1054. Oggi un simile gesto sembra difficile da imitare. C’è ancora e sempre l’urgenza di chiedere al Signore il dono dell’unità dei cristiani. Per realizzare l’unità visibile dei cristiani l’intero “popolo di Dio” deve prendere coscienza dell’immensa speranza offerta dalla prospettiva di questo cammino. Bisogna fare tutto il possibile per percorrerlo definitivamente con i fatti, con volontà e convinzione. Spetta a noi entrare insieme nel terzo periodo della Chiesa: quello dell’amore e della riconciliazione, quello dell’unità tra eguali.
L'Osservatore Romano