lunedì 8 settembre 2014

Fra istinti e pulsioni. Un cuore integro



Il contributo delle religioni. Pubblichiamo stralci della relazione «Il contributo dellereligioni alla pace» pronunciata dal rettore del Seminario rabbinico latino-americano di Buenos Aires nonché rabbino della comunità ebraica Benei Tikvá, intervenuto nel pomeriggio di domenica 7 settembre all’incontro «Peace is the future» organizzato ad Anversa dalla Comunità di Sant’Egidio.

(Abraham Skorka) L’uomo che non risolve i propri conflitti è un essere frammentato. Solo chi lotta con i suoi istinti e piega le sue pulsioni di morte e distruzione raggiunge un cuore integro. Nel testo del Deuteronomio (30, 19) appare la disperata esclamazione del maestro ai suoi discepoli — il popolo d’Israele — quando dice loro addio prima della sua morte: «Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza». 
L’intenzione ultima di tutti i precetti che Dio detta al popolo d’Israele è proprio quella di levigare il cuore affinché ognuno dei suoi membri sappia sempre scegliere nella propria esistenza una via di vita.
Il versetto che definisce il credo nella Bibbia ebraica è quello che riferisce l’unicità di Dio (Deuteronomio, 6, 4): «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore». Molteplici esegesi sono state fatte di questo versetto. Partendo dalla visione di Abraham Joshua Heschel, secondo la quale la Bibbia, più che una teologia scritta dall’uomo, è un’antropologia scritta da Dio, mi domando: che cosa insegna questo versetto all’uomo? Quali implicazioni ha nella sua vita l’unicità del suo Creatore? La risposta che trovo è che la Bibbia insegna all’essere umano che deve imitare Dio, come dice il versetto «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Levitico, 19, 2). Allo stesso modo si può dedurre che, come Egli è uno, così l’uomo deve tendere a essere uno, integro attraverso la soluzione dei suoi conflitti.
Nel libro dei Numeri (15, 38-41), Dio ordina al popolo di Israele di fare una frangia ai lembi delle vesti e di mettere su ogni frangia un cordone di porpora viola affinché, avendoli sempre dinanzi allo sguardo, l’ebreo non si prostituisca vagando dietro a quello che i suoi occhi vedono, incitandolo, e tenga sempre presenti i precetti da seguire. Uno dei saggi del Talmud riteneva che il compimento di questo precetto equivale a quello di tutti i precetti della Torah (Talmud babilonese, Nedarim 25, a), poiché queste frange ricordano la lotta che si deve sostenere contro le pulsioni negative e l’importanza di sublimarli al fine di risolvere con la pace, per tutta la vita, i conflitti esistenziali e ottenere un cuore integro. La lotta contro gli impulsi non è facile. Viene descritta nel racconto della ribellione dell’uomo e della donna primigeni contro Dio mentre si trovava nel Giardino dell’Eden.
Nel libro dei Numeri (6, 24-26), si enuncia la formula con cui i sacerdoti dovevano invocare da Dio la sua benedizione per il popolo di Israele. Si legge: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace». È una delle poche preghiere con una formulazione data che appare nella Torah. Il suo elemento culminante è la pace. Ciò che Dio stesso riconosce come la meta più difficile da raggiungere nella condizione umana è la pace, perciò la propone come l’elemento finale che i sacerdoti devono pronunciare quando lo invocano perché benedica il popolo. Ciò che traduciamo con “pace” nel versetto citato corrisponde al vocabolo ebraico shalom. Secondo Isaia (2, 1-4) e Michea (4, 1-4), alla fine dei giorni, espressione interpretata da tutti gli esegeti come tempo messianico, la storia universale culminerà quando l’umanità avrà acquisito la capacità di vivere in pace.
Tutti i credi che, oltre alla fede depositata in una visione di Dio, della natura e dell’uomo, considerano la giustizia, la misericordia, la speciale considerazione che merita ciascun individuo per il suo essere tale, l’amore, come i valori con i quali si devono costruire tutti gli atti dell’esistenza, operano per la pace. È uno dei loro contributi più significativi per il bene dell’umanità. Quelli che, pur avendo una fede abramitica in un unico Dio trascendente, interpretano fanaticamente la Scrittura, credendosi gli unici possessori della comprensione corretta della stessa e con il diritto di sottomettere abominevolmente tutti quelli che non coincidono con le loro visioni, svuotano l’autentico contenuto del loro credo, trasformandolo in paganesimo grossolano.
La pace è lo stato sublime a cui gli uomini devono ispirarsi e per il quale devono adoperarsi. Sebbene la sua realizzazione ultima dipenda dalla volontà di Dio, è una sfida per l’umanità di tutti i tempi costruire una realtà che costringa il Creatore stesso a benedire le sue creature con la pace, così come Egli la impone nell’alto dei cieli (Giobbe, 25, 2).
L'Osservatore Romano


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Incontro interreligioso per la pace. Anversa 2014 - Il Gran Mufti del Cairo: “L’Islam è una religione del dialogo, l’estremismo va sradicato”   
Comunità di Sant'Egidio
 
”L’Islam è una religione del dialogo: rappresenta “un sistema mondiale aperto, che non cerca mai di erigere barriere tra i musulmani e gli altri. Anzi i musulmani devono avvicinare gli altri con cuore aperto, con il fine di giungere al chiarimento delle questioni e non di attaccare chiunque presenti  (...)