sabato 20 settembre 2014

Un inno alla carità




Il cardinale Amato presiede a Como la beatificazione di Giovannina Franchi. 

«Per amore di Cristo Crocifisso si è dedicata con tutte le sue forze all’assistenza corporale e spirituale degli infermi e dei moribondi». Così Papa Francesco sintetizza la figura di Giovannina Franchi (1807-1872), nella lettera apostolica in occasione della beatificazione della fondatrice delle suore infermiere dell’Addolorata. Riprendendo queste parole, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha ripercorso la vita e l’opera della religiosa durante il rito di beatificazione, presieduto in rappresentanza del Pontefice, sabato mattina, 20 settembre, nella cattedrale di Como.
Il porporato ha ricordato che la nuova beata apparteneva a una delle più agiate famiglie della città. Rimasta orfana in giovane età, ricevette in eredità un cospicuo patrimonio. Grazie a questo lascito poté dedicarsi «con maggiore fervore e generosità al servizio degli infermi, soprattutto a domicilio e nelle carceri, e all’accoglienza dei più poveri». Per questo scopo, ha detto il cardinale Amato, acquistò una casa nel centro storico di Como, nel quartiere allora malfamato della Cortesella. «In questa casa — ha aggiunto — trovarono asilo ed assistenza tutti coloro che la buona società emarginava: ammalati, poveri, ex carcerati, monache i cui monasteri erano stati soppressi, infermi di mente, ex prostitute, donne sole, come sartine e ricamatrici, che dopo una lunga vita di lavoro non avevano case e mezzi di sussistenza». Nel 1853 con alcune compagne fondò la pia unione delle sorelle infermiere di carità, che poi presero il nome di suore infermiere dell’Addolorata. «La loro missione — ha spiegato il cardinale — era l’accoglienza e l’assistenza dei bisognosi, in modo particolare degli infermi da visitare a domicilio, secondo il progetto originario che, a suo tempo, san Francesco di Sales aveva proposto per le visitandine». E, infatti, tutta la vita della nuova beata fu all’insegna delle carità. Per lei, l’inno alla carità «non rimase uno spartito scritto su un foglio di carta, ma fu una vera canzone d’amore, interpretata con gioia e cuore grande facendo quotidianamente del bene ai poveri e agli ammalati». Per lei, ha sottolineato il prefetto, Gesù «era presente nel tabernacolo, così come era realmente presente nella persona sofferente, ammalata, povera». E la sua carità verso gli infermi «era fatta di gesti semplici e quotidiani: rifare il letto, portare la biancheria pulita, aiutare nell’igiene personale, spazzare la casa, offrire una scodella di brodo caldo, riattizzare il fuoco con la legna, far compagnia ai più soli e abbandonati, comprare qualche medicina, pulire una piaga e cambiare la fasciatura, pagare il consulto del medico, recarsi in carcere per assistervi una donna malata con i suoi cinque figli».
Per questo, l’ideale che la madre propone alle sue suore è molto concreto: le vuole «coraggiose ed umili al tempo stesso, pazienti e cortesi nelle maniere, amanti del silenzio e della fatica, ben disposte all’assistenza degli infermi ed a qualunque opera di carità senza eccezione di alcun officio anche se faticoso e ributtante». Le suore infermiere, infatti, vengono esortate dalla madre «ad applicarsi all’assistenza degli infermi, come conseguenza della loro consacrazione a Gesù Crocifisso e alla santissima Madre Addolorata, di cui i cristiani sono immagine più viva nei giorni della malattia». Oltre alla carità, ha aggiunto il celebrante, brillano in lei «atteggiamenti di modestia, umiltà, laboriosità. Era una donna fondamentalmente riservata e di poche parole e non amava attribuirsi alcun merito. Soleva dire, ad esempio, che il fondatore e il direttore dell’opera era don Giovanni Abbondio Crotti, penitenziere e canonico della cattedrale di Como».
Per questo, ha concluso il porporato, madre Franchi «fa parte di quell’epopea gloriosa delle suore, che sono le autentiche eroine della nostra patria». Esse abitano «in mezzo a noi e sono fari di solidarietà, di fraternità e di carità. La Chiesa conosce queste sue figlie, le onora, le esalta, le glorifica. Il loro distintivo è la carità a tutto campo verso piccoli e grandi, ricchi e poveri, italiani e stranieri. La loro presenza è una benedizione per tutti, per la Chiesa e per la società».

L'Osservatore Romano