mercoledì 22 ottobre 2014

Paglia: "Il cambiamento è avviato, non si torna indietro"

Mons Vincenzo Paglia

Intervista con il ministro vaticano della Famiglia. "E' stato rispettato il mandato di Francesco"

GIACOMO GALEAZZICITTA' DEL VATICANO
“Il cambiamento è avviato e non si torna indietro”. Al Sinodo sulla famiglia le resistenze sulla comunione ai divorziati risposati e le unioni di fatto “non hanno modificato un cammino che è ormai avviato”, assicura l’arcivescovo Vincenzo Paglia.  “E’ stato rispettato il mandato di Francesco: accogliere ed uscire”, afferma il ministro vaticano della Famiglia.


Al Sinodo è emersa una parte di gerarchia che si oppone all’opera rinnovamento di Francesco?

“Vorrei anzitutto chiarire una cosa. La Chiesa, con il Sinodo, si è presa la responsabilità di riflettere sulla difficile situazione che stanno traversando le famiglie nel mondo. E’ importante cogliere questa prospettiva per comprendere la posta in gioco e quindi anche la franchezza e l’importanza del dibattito. Mi augurerei che in tutte le altre istituzioni politiche, sociali, economiche, si facesse quanto abbiamo fatto nel Sinodo. Di fronte al mare magnum dei problemi era ovvio che si avviasse un dibattito articolato ed anche vivace. Lei parla di qualche opposizione al rinnovamento voluto da Papa Francesco. Lo stesso Papa ha messo in guardia da due tentazioni, quella di arroccarsi in difesa su posizioni autoreferenziali e l’altra del buonismo superficiale. Il Sinodo è stato indetto per ascoltare la situazione delle famiglie reali di oggi e per venire loro incontro in maniera appassionata e non certo arcigna. Non è stata e non doveva essere una semplice ripetizione della dottrina. Francesco chiede una Chiesa che si metta in cammino per accogliere tutti e per raccogliere chi ha bisogno. Gesù per primo – ha sottolineato papa Francesco – ce ne dà l’esempio. L’assemblea sinodale – pur con tutti i suoi limiti – ha cercato di gettarsi nel cuore dei problemi della gente, delle famiglie, interrogandosi su come rispondere. A mio avviso è necessario continuare ancora ad ascoltare e a cercare risposte. Il testo finale – per con le lentezze che presenta – ha comunque aperto il cammino che deve ora proseguire nelle diocesi fino al Sinodo Ordinario del prossimo anno. Non possiamo rinchiuderci in un fortino che si trincera nella rigidità dei precetti”.


Le novità sono state frenate?

“Ripeto, il cammino è stato avviato. Francesco sta davanti a tutti noi e apre il sentiero. Anche se qualcosa non ha funzionato come doveva, ha esercitato la sua missione di pastore universale. Potremmo dire – con una immagine automobilistica – che nella franchezza del dibattito non tutti i pistoni del motore si sono mossi armonicamente. La macchina sinodale perciò ha avuto anche alcuni sussulti. Ma il risultato è che la macchina ha continuato ugualmente a camminare, è uscita dai box ed è su strada. Non su un circuito chiuso e riparato, ma sulle strade del mondo, quelle percorse dal Buon  Samaritano il quale, a differenza del sacerdote e del levita, non ha continuato oltre, ma si è fermato e si è caricato sul giumento il ferito, ossia le innumerevoli famiglie ferite. E’ indispensabile lasciarsi ferire. E’ di qui che passa la via sinodale che dobbiamo percorrere in questo anno. E non solo i vescovi, i 191 del Sinodo, ma tutti, anche le famiglie cristiane. Mi auguro che in ogni parte del mondo ci sia una sorta di risveglio, di dibattito, di discussione, di aiuti per le famiglie. Se inizialmente c’è stato un questionario e poi un Sinodo straordinario, mi auguro che ora inizi un’azione più diretta a individuare strade e soluzioni operative.


Quindi va evitata la logica del muro contro muro?

“Assolutamente sì. Non vuol dire che vanno abbassati i dibattiti, al contrario, vorrei che si alzasse la preoccupazione e l’impegno. E’ questo che mi prefiggo di aiutare anche come Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il nostro compito di pastori – direi di tutti, famiglie comprese - è uscire dalle sagrestie e dalle mura delle chiese per andare incontro alle persone in carne ed ossa. Non perdiamo tempo a salvaguardare posizioni astratte. Siamo chiamati alla “salus animarum” più che alla “salus principiorum”. Dobbiamo uscire in strada con il Vangelo e con quella “simpatia immensa” per l’uomo di cui parlava il beato Paolo VI.


Ma non c’è un ritardo culturale?

“Direi che c’è un ritardo sia culturale che spirituale, un ritardo nell’amare nel comprendere in maniera appassionata gli altri. L’individualismo imperante rischia di creare una società di soli. Il Sinodo, attraverso la riproposizione della famiglia come motore della società, chiede a tutti di riscoprire la forza culturale di quella parola che sta all’inizio della Bibbia: “Non è bene che l’uomo sia solo”. Questa pagina è oggi messa in crisi da culto dell’Io. L’amico Giuseppe De Rita parla di “egolatria”, un culto sul cui altare si sacrifica tutto, anche gli affetti più cari. Riscoprire la dimensione “familiare” della vita significa aiutare la società ad essere più salda e più forte, meno “liquida” e più solidale. Tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno di un amore più robusto, più generoso, che ci faccia stendere le braccia, che ci faccia aprire il cuore. Sulla croce Gesù, non guarda se stesso, non piange su se stesso e sui propri guai. Guarda il giovane discepolo e l’anziana madre, guarda ciascuno di noi. I giovani senza speranza e gli adulti induriti dalla vita”.

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fernandez

Se non si apre il vaso di Pandora…

Pubblichiamo, tradotta, l’intervista rilasciata ad Elisabetta Piqué per il quotidiano argentino “La Nación” del 21 ottobre, dall’arcivescovo Víctor Manuel Fernández, rettore dell’Università Cattolica di Buenos Aires, amico stretto di Papa Francesco e da lui fortemente voluto a questo sinodo e da lui incaricato di scrivere sia il messaggio che la Relatio finali. Per i commenti: coming soon…
- Questo è stato il suo primo sinodo: che cosa l’ha colpita di più?
- Mi ha colpito poter discutere con persone di tutto il mondo. Al mio fianco era seduto il presidente della Conferenza Episcopale dell’India e dall’altro lato quello del Vietnam. Mi ha lasciato molto arricchito, e credo che adesso posso mettere a confronto i diversi argomenti con maggiore ricchezza di prospettiva. Mi ha parimenti colpito che il Papa ci abbia pregato di parlare con massima sincerità e chiarezza senza aver paura “di nessuno”. Mi ha abbagliato la sua pazienza di esser rimasto seduto dalla mattina alla sera, ascoltando attentamente tutti. Mentre alcuni russavano e altri si lamentavano del male alla schiena, lui osservava, sorrideva, annotava. I vescovi che avevano partecipato ai sinodi precedenti, erano felici, perché dicevano che durante questi giorni si è potuto discutere con i piedi sulla terra e si son potuti mettere sul tavolo problemi che negli ultimi anni non si potevano esporre in modo così diretto. Nessuno ha esitato di parlare delle difficoltà concrete che ci sono nei diversi luoghi per vivere tutto quello che la Chiesa insegna.
- Si aspettava che ci sarebbe stata tanata divisione sulla questione dei divorziati-risposati?
- In verità, pensavo che questo tema non sarebbe stato trattato o che lo si sarebbe menzionato solo di sfuggita, perché c’erano molti altri argomenti che ci preoccupavano di più. Ciò che colpisce di più, è che la possibilità che alcuni divorziati-risposati possano comunicarsi sia stata sollevata da molti vescovi. Io non parlerei di divisione, perché quelli che lo hanno sollevato, lo hanno fatto con molta prudenza, lasciando ben chiara l’indissolubilità del matrimonio, e quelli che si opponevano lo facevano pensando al bene delle famiglie e dei figli. C’era solo un gruppo di sei o sette, molto fanatici ed aggressivi, che non rappresentavano nemmeno il 5% del totale.
- Come spiega la marcia indietro che c’è stata sul tema degli omosessuali, che nella bozza [relatio post disceptationem] avevano “doti e qualità da offrire alla comunità cristiana” e che nel documento finale si dice che devono essere accolti “con rispetto e delicatezza”, in un paragrafo che non ha raggiunto il quorum necessario?
- In realtà, dopo il lavoro dei circoli minori, sembrava che ci fosse un consenso nel non trattare questo tema adesso, perché ciò che interessava erano i problemi più direttamente connessi con la famiglia e c’erano molte altre questioni ugualmente importanti che non avevano tempo di essere trattate. Per questo, nel documento finale è rimasto solo un breve paragrafo che respinge la discriminazione. Il fatto che questo breve paragrafo non abbia raggiunto i due terzi, non si spiega con il voto negativo dei settori più conservatori, ma per un voto negativo di alcuni vescovi molto sensibili al tema, che rimasero d’accordo con quel poco si scrisse. Invece ha raggiunto i due terzi il paragrafo che rifiuta le pressioni internazionali nei confronti dei paesi poveri perché abbiano una legge sul matrimonio omosessuale. Perché? In questo caso fu decisiva l’esperienza africana, in quanto i vescovi africani raccontavano che in vari paesi quanti si dichiarano omosessuali sono impunemente torturati, uccisi o incarcerati e, ciò nonostante, per le pressioni internazionali, si preoccupano solamente di fare una legge sul matrimonio omosessuale. Probabilmente abbiamo mancato di dire almeno, con papa Francesco: “Chi sono io per giudicare i gay?”. Molte cose potranno essere maturate con più tempo, però si è data una forte priorità all’ascolto reciproco, sapendo che questa era solo una prima tappa esploratoria.
- Ci sono delle aree che definiscono il sinodo come “una sconfitta” per Francesco, precisamente per il fatto che non si è raggiunta la maggioranza necessaria per il paragrafo precedente e per gli altri due sui divorziati-risposati, sebbene abbiano avuto la maggioranza assoluta. Cosa ne pensa?
- In nessun modo è una sconfitta. Quello che il papa spera è una maggiore apertura pastorale dei ministri “con l’odore delle pecore”, capaci di soffrire con la gente. Lui non ha proposto una soluzione concreta, però è d’accordo che su questo tema si metteranno le basi e si cercherà una soluzione. Inoltre, se teniamo presente che i paragrafi sui divorziati-risposati hanno ottenuto il 60% dei voti a favore, questa non è una sconfitta. Pochi anni fa, ciò era impensabile ed io stesso sono rimasto sorpreso per questo livello di approvazione. Visto che questi paragrafi rappresentano più della metà, il Papa ha chiesto che continuassero ad essere parte del documento che si discuterà a partire da adesso. E’ come dire che è chiaro che non saranno rimossi, anche se non hanno raggiunto i due terzi dei voti. Nessuno vuole negare l’indissolubilità del matrimonio e a noi tutti interessa incoraggiare i coniugi a esser fedeli, a superare le proprie crisi, a ricominciare ancora una volta, pensando soprattutto alla sofferenza dei figli. Però molti hanno insistito sulle seconde unioni che durano da molti anni, che vivono con generosità e che hanno avuto figli. La maggioranza ritiene che sarebbe crudele esigere che si separino, provocando una sofferenza ingiusta ai figli. Per questo continuiamo a pensare alla possibilità che si possano comunicare, tenendo conto che, come insegna il Catechismo, dove c’è un condizionamento che la persona non può superare, la sua responsabilità è limitata. Ciò nonostante, è un tema che dev’essere approfondito meglio e non conviene accelerare. Non si deve dimenticare, d’altra parte, che il Messaggio del Sinodo afferma che in questa prima tappa si è incominciato a riflettere “sull’accompagnamento pastorale e sull’accesso ai sacramenti dei divorziati-risposati”. Sebbene una minoranza molto dura chiese che questo non fosse riportato nel messaggio, per chiudere la discussione, questa richiesta non venne ascoltata e il 95% dei membri approvò il messaggio.
- E’ iniziato un processo che culminerà nel successivo sinodo nel 2015. Come lei ha ben spiegato, per il Papa “il tempo è superiore allo spazio”.  Però il sinodo ha anche messo in luce che c’è un gruppo, minoritario però compatto, che resiste all’idea di una Chiesa che non escluda nessuno. E’ preoccupato?
- Da un lato sono stato contento. Ci sono dei reali progressi. Tutti usciamo dal sinodo con una coscienza molto più chiara e profonda della grande complessità delle problematiche matrimoniali e familiari. Questo ha aiutato a non usare espressioni aggressive era comuni fino a pochi anni fa, espressioni che avevano a che vedere con teorie che non si incarnavano nella realtà concreta della gente. Dall’altro lato sono rimasto insoddisfatto. Avrei desiderato più progressi su altri temi che preoccupano la famiglia e che considero più importanti di quello dei divorziati—risposati. Non sarebbe corretto ridurre questo sinodo a due temi vistosi. Si parlò anche molto della dignità della donna e delle diverse forme di cui sono oggetto di discriminazione, di violenza e di ingiustizia. Si è parlato dei problemi dei giovani, della disoccupazione, dell’educazione, etc. Però questa è stata solo una tappa nel cammino e la maggior parte sente che si è fatto un gran passo, che si è inaugurato un nuovo modo di affrontare gli argomenti, con libertà e carità. Per questo, al di là dei risultati, si è inaugurata per la Chiesa una nuova tappa.
- Cosa direbbe a quanti criticano Francesco perché con questo sinodo si è aperto un “vaso di Pandora”?
- Che se non si apre il “vaso di Pandora”, si finisce per nascondere lo sporco sotto il tappeto, mettere la testa in una fossa come gli struzzi, allontanandoci sempre più dalla sensibilità della nostra gente e rimanere contenti perché un piccolo gruppo si congratula con noi. Si deve riconoscere che diversi vescovi – e me incluso – siamo indietro, ancora molto lontani dalla saggezza pastorale, dalla veduta e generosità di papa Fancesco.
- Si può avvertire un’ostilità della curia verso il Papa, dato che diversi prelati (Gerhard Muller, George Pell, Marc Ouellet, Leo Burke) sono stati leaders di un gruppo conservatore che si è espresso apertamente contro le aperture?
- Non mi ha preoccupato quello che hanno detto. Alcuni di loro si sono espressi con forza e con preoccupazione sincera su questioni che non possono essere trascurate. In altri, anche se molto pochi, mi ha preoccupato il tono: aggressivo, irritato, minaccioso, non solo dentro l’aula del sinodo, ma anche nei corridoi e per la strada. Ripeto: erano molto pochi. Lì però c’era il Papa, sereno ed attento, che assicurava la libertà di espressione e garantiva che nessuno oltrepassasse la misura. Era veramente la figura del padre buono e fermo, che assicura che tutti i suoi figli, anche i più deboli, possano esprimere il proprio punto di vista ed essere rispettati.
 Libertà e Persona