mercoledì 22 ottobre 2014

Celebra le "nozze" gay o vai in galera

Bandiera gayUsa: un messaggio ai sacerdoti. 
di Massimo Introvigne

Non dite che non ve l’avevamo detto. Su questo giornale spieghiamo da tempo che dove passano le leggi sull’omofobia, dove si riconoscono le unioni civili e i «matrimoni» omosessuali, dove si sostiene che i diritti degli omosessuali a non essere discriminati prevalgono su ogni altro diritto, è solo questione di qualche anno e poi si andranno a prendere e portare in prigione anche i preti e i pastori che si rifiutano di «sposare» persone dello stesso sesso. Oggi dobbiamo confessare ai lettori che ci eravamo sbagliati. Pensavamo fosse questione di qualche anno: ma si trattava di qualche mese. Negli Stati Uniti, che pure sono un Paese con una grande tradizione di rispetto per la libertà religiosa, ci siamo già arrivati.
Il 13 maggio 2014 la Corte d’Appello Federale per il Nono Circuito ha ordinato allo Stato dell’Idaho di cominciare a celebrare «matrimoni» fra persone dello stesso sesso il 15 ottobre di quest’anno, in una delle tante decisioni in cui i giudici calpestano in nome dei diritti degli omosessuali la volontà delle autorità statali elette dai cittadini e degli stessi elettori che si sono espressi in senso contrario mediante referendum. Il 15 ottobre nell’Idaho gli omosessuali hanno cominciato a «sposarsi»: s’intende, in municipio. Ma bastava leggere le pubblicazioni LGBT per sapere che, vinta la battaglia con lo Stato, la loro lobby e i loro avvocati si preparavano a combattere quella successiva, con le Chiese e comunità religiose, per obbligare preti e pastori a «sposarli».
Due giorni dopo la data del 15 ottobre, il 17 ottobre, due omosessuali hanno preso contatto con i coniugi Donald ed Evelyn Knapp, pastori della Chiesa del Vangelo Quadrangolare nella ridente cittadina di Coeur d’Alene, Idaho. Che la cittadina sia ridente non è una semplice nota di colore. Gode di una straordinaria posizione su un lago che offre numerosi angoli pittoreschi e romantici, e subito alle spalle ci sono alte montagne coperte dalla neve per parecchi mesi. Celebrata da tante canzoni, Coeur d’Alene è una meta amata dai turisti, ma soprattutto da un tipo di turista particolare. A Coeur d’Alene si va per sposarsi, e per farsi fotografare vestiti da sposi con lo sfondo dei suoi panorami mozzafiato. Una causa relativa a matrimoni a Coeur d’Alene ha dunque tutte le carte in regola per diventare un caso nazionale. Quanto alla Chiesa del Vangelo Quadrangolare, è una delle maggiori denominazioni del protestantesimo pentecostale, presente tra l’altro anche in Italia. Per chi fosse stupito dall’aggettivo «quadrangolare» e pensasse a dottrine bizzarre, precisiamo che il nome della comunità fa riferimento ai quattro Vangeli e ai quattro ruoli di Gesù Cristo che salva, battezza nello Spirito Santo (dopo tutto si tratta di pentecostali), guarisce e regna.
I coniugi Knapp sono anziani pastori di questa comunità – stanno per celebrare le loro nozze d’oro, giacché sono sposati da quarantasette anni – molto conosciuti e rispettati a Coeur d’Alene. La Chiesa del Vangelo Quadrangolare rifiuta il «matrimonio» omosessuale, come tantissime altre Chiese e comunità religiose. Quando dunque ricevono la richiesta di «sposare» due uomini, i due pastori rifiutano in nome della loro dottrina. A questo punto scende in campo il sindaco Steve Widmyer, il quale fa parte di un partito indipendente di sinistra, Balance North Idaho, che a sorpresa ha sconfitto sia i repubblicani, egemonici dello Stato, sia i democratici in diverse elezioni comunali celebrate nel 2013. Che sia il sindaco a muoversi induce a riflettere, perché si tratta di una strategia ormai internazionale degli attivisti LGBT: contare sulla politica e sulla magistratura, ma corteggiare e cercare di fare intervenire anche i sindaci, come avviene in Italia in modo spettacolare in questi giorni con primi cittadini che violano la legge e sfidano i prefetti trascrivendo «matrimoni» omosessuali celebrati da italiani all’estero.
In molti Stati americani i sindaci hanno poteri di polizia e possono effettivamente mandare in prigione chi viola i loro ordini. Il sindaco ha dunque fatto notificare ai coniugi Knapp un ordine che ingiunge loro di celebrare subito il «matrimonio» fra i due omosessuali. Diversamente dovranno pagare una multa di mille dollari per ogni giorno di ritardo nella celebrazione del «matrimonio». Inoltre saranno arrestati e sconteranno 180 giorni di carcere, sempre per ogni giorno di ritardo. Come il sindaco – che dev’essere più forte in matematica che in tema di libertà religiosa – ha spiegato, questo significa che se i due anziani pastori dovessero mantenere il loro rifiuto per un mese, cioè trenta giorni, dovrebbero poi pagare trentamila dollari di multa e rimanere in prigione quattordici anni, dunque verosimilmente trascorrere in galera tutto il tempo che resta loro da vivere.
Il sindaco sostiene che in tutto questo non c’è nessuna violazione della libertà religiosa, perché – a differenza di quanto avviene nella Chiesa Cattolica, ma con modalità comuni a molte denominazioni protestanti – i matrimoni nella comunità dei pastori Knapp non sono gratuiti, ma sottoposti al pagamento di una quota fissa. Inoltre, a richiesta, la chiesa si occupa anche dei fiori e della musica e, per regolarità fiscale, emette una fattura che parte da una società appositamente costituita. Si potrebbe pensare che questo metta al riparo almeno i cattolici, ma è evidente che la lobby LGBT vuole costruire un caso pilota: dopo di che sosterrà che anche nella Chiesa Cattolica chi si sposa normalmente fa un’offerta, che costituisce un pagamento mascherato, e naturalmente se li vuole paga i fiori e la musica.
Evangelicamente convinti che si debba obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, i due pastori hanno rifiutato di «sposare» gli omosessuali, dichiarando che preferiscono andare in prigione. Fortunatamente, come sanno i lettori di questa testata, negli Stati Uniti esiste una grande e agguerrita organizzazione di giuristi e avvocati che si battono per la causa della libertà religiosa, della vita e della famiglia, l’Alliance Defending Freedom, molto temuta dalla lobby LGBT perché ha vinto il 75% delle cause in cui ha partecipato. Nello scorso mese di luglio, abbiamo pubblicato un’intervista esclusiva con il suo presidente, il cattolico Alan Sears, che di interviste non ne concede molte. L’Alliance Defending Freedom ha capito la posta nazionale in gioco nel caso di Coeur d’Alene e ha preso in mano il caso dei coniugi Knapp, notificando alla città dell’Idaho un atto di citazione, che ha anche reso pubblico, il quale ha già avuto come primo risultato quello di bloccare l’esecuzione dell’ordine del sindaco, per cui per il momento i due pastori pentecostali non andranno in prigione. La battaglia legale si annuncia lunga, e decisiva per la libertà religiosa negli Stati Uniti. Ha un parallelo in una grande città, Houston, in Texas, dove una strabiliante ordinanza del sindaco – come si vede, è proprio il momento dei sindaci – ha chiesto a una serie di pastori «sospetti» di registrare, far trascrivere e trasmettere al comune i testi di tutte le loro prediche dove si menzioni l’omosessualità, in modo che possa verificare se sono passibili di incriminazione secondo le leggi sull’omofobia. Anche qui, i pastori sono difesi dall’Alliance Defending Freedom.
Da noi non succederà? «Illusione, dolce chimera sei tu», cantava tanti anni fa Claudio Villa. Potreste preferire la versione di Aurelio Fierro, ma le cose non cambierebbero. Le lobby gay hanno già annunciato che dopo gli Stati anche le Chiese dovranno essere obbligate a «non discriminare» e a «sposare» gli omosessuali. Impossibile nei Paesi dove la Costituzione protegge la libertà religiosa? Ma in teoria nessuno Stato la protegge di più degli Stati Uniti, e guardate che cosa succede. Quanto all’Europa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci ha spiegato nel caso «Ladele» del 2013 relativo a una funzionaria di stato civile cristiana inglese che non voleva celebrare un’unione civile fra due persone dello stesso sesso, che il diritto degli omosessuali a non essere discriminati prevale sulla libertà religiosa. L’appello è stato rigettato e la sentenza è definitiva.
I preti in Italia sono protetti dal Concordato? Forse pensava lo stesso anche il cardinale Fernando Sebastián quando rilasciava con tranquillità un’intervista dove affermava che gli atti omosessuali sono una «forma deficiente» di espressione della sessualità. È vero, poteva usare un’altra parola: ma non voleva offendere, spiegava che «deficiente» significa etimologicamente mancante di qualcosa. Ma dopo tutto, avrà pensato, in Spagna c’è il Concordato, e io non sono neppure un semplice prete, sono appena stato nominato cardinale, sono amico del popolarissimo Papa Francesco e ho 84 anni. Il 6 febbraio 2014 il cardinale Sebastián è stato iscritto sul registro degli indagati per incitamento alla discriminazione degli omosessuali e omofobia. Rischia due anni di prigione. Non so voi, ma io comincerei a preoccuparmi.

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Nulle le "nozze" del sindaco Marino Parola di giudice non sospetto
di Alfredo Mantovano

Nella vulgata mediatica Ignazio Marino è il paladino dei diritti, il ministro Alfano e il prefetto di Roma incarnano invece la burocrazia più ottusa, cieca di fronte alle forme contemporanee di manifestazione dell’amore, così ripiegata su sé stessa da compiere l’atto di prevaricazione di cancellare le trascrizioni nei registri dello stato civile della Capitale. Esponenti di associazioni Lgbt impartiscono in queste ore sofisticate lezioni di diritto civile e di diritto amministrativo, e spiegano che solo il giudice potrebbe – se ne ravvisasse le condizione – disporre la cancellazione, non certo una autorità amministrativa, sì che il combinato della circolare del ministro e della iniziativa del prefetto non avrebbero altro significato che quello di un “marketing politico”. A differenza del suo collega di Bologna, Marino non attribuisce all’iniziativa un valore meramente simbolico, ma annuncia di andare oltre; per esempio, vuol riconoscere i congedi parentali ai componenti di una coppia da considerare “sposata” a seguito della trascrizione (immagino solo per i dipendenti del Comune di Roma che fruiscano del nuovo servizio: per gli altri, in virtù di quale competenza?).
Peccato che, a legislazione italiana invariata, e perfino nel quadro dei principi di diritto in vigore nell’Unione europea, il peso giuridico degli atti che si sono svolti sabato scorso al Campidoglio, protagonisti il sindaco e una quindicina di coppie di persone dello stesso sesso, semplicemente non esistono. Questa valutazione, prima che dal ministro dell’Interno e dal prefetto Pecoraro, proviene dalla Corte di Cassazione, cioè dal giudice che, in base al nostro ordinamento, è chiamato a stabilire la corretta applicazione del diritto. E non da una sezione qualsiasi della Corte, ma dalla 1^ sezione civile, quella che si occupa specificamente di diritto di famiglia. Si può anche ignorare la puntuale ricostruzione del quadro giuridico di riferimento operata nelle ultime settimane prima dal Tribunale di Milano e dalla Corte di appello di Firenze (quest’ultima ha annullato la famosa pronuncia del Tribunale di Grosseto), ma la Cassazione no: soprattutto quando il presidente del collegio giudicante è la dottoressa Gabriella Luccioli, un magistrato che non ha mai nascosto la sua appartenenza ideale, autrice di sentenze “evolutive” sulle convivenze, e della decisione-chiave riguardante il caso di Eluana Englaro, impegnata in seminari e convegni orientati a introdurre nel nostro ordinamento il matrimonio fra persone dello stesso sesso.
La 1^ sezione civile della Cassazione, presieduta dalla Luccioli, con la sentenza n. 4184 del 4 novembre 2011/15 marzo 2012 (clicca qui), affronta il caso di due cittadini italiani che nel 2002 contraggono matrimonio a L’Aja, in Olanda, e nel 2004 rivolgono istanza al sindaco di Latina, luogo di loro residenza, perché trascriva il relativo atto. Il sindaco rifiuta, i due ricorrono in Tribunale, poi anche della Corte di appello di Roma, e la causa finisce in Cassazione. Quest’ultima conferma tutte le precedenti decisioni – sia quella del sindaco sia le sentenze di merito che danno torto ai due – con una lunga sentenza, che ricorda come «la diversità di sesso dei nubendi è (…) requisito minimo indispensabile per la stessa “esistenza” del matrimonio civile come atto giuridicamente rilevante (…). Questo requisito - pur non previsto in modo espresso né dalla Costituzione, né dal codice civile vigente (…), né dalle numerose leggi che, direttamente o indirettamente, si riferiscono all’istituto matrimoniale - sta tuttavia, quale “postulato” implicito, a fondamento di tale istituto, come emerge inequivocabilmente da molteplici disposizioni di tali fonti e, in primo luogo, dall’art. 107, primo comma, cod. civ. che, nel disciplinare la forma della celebrazione del matrimonio, prevede tra l’altro che l’ufficiale dello stato civile celebrante “riceve da ciascuna delle parti personalmente, l’una dopo l’altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie” (…). L’inequivocabile corrispondenza di tali parole “marito” e “moglie” - utilizzate dal legislatore in modo assolutamente prevalente rispetto ad altre espressioni di analogo significato -, rispettivamente, con la parte maschile e con la parte femminile dell’atto (e del rapporto) matrimoniale è attestato anche da numerose disposizioni del diritto vigente». 
La Corte fa qualche esempio, che non riporto per brevità, ma poi risale alla ininterrotta tradizione giuridica italiana. Prende le mosse dalla «definizione del matrimonio data dai giuristi romani classic»e la arricchisce con la «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948» per la quale «Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione» (art. 16, paragrafo 1); analoga previsione è contenuta nell’art. 23, paragrafo 2, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato e aperto alla firma a New York il 19 dicembre 1966 e reso esecutivo con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, secondo cui «Il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia è riconosciuto agli uomini e alle donne che abbiano l’età per contrarre matrimonio». Tutto ciò, «benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta», come nota la Corte costituzionale nella (…) sentenza n. 138 del 2010, a proposito del dibattito svoltosi nell’Assemblea costituente sul futuro art. 29 della Costituzione, concludendo sul punto che tale norma costituzionale «non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto» (…). E il richiamo a tale “tradizione” è significativamente contenuto più volte anche nella sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di poco successiva a quella della Corte costituzionale (…). La diversità di sesso dei nubendi è, dunque, richiesta dalla legge per la stessa identificabilità giuridica dell’atto di matrimonio. Proprio di qui la conseguenza, condivisa dalla giurisprudenza di questa Corte e dalla prevalente dottrina, che l’atto mancante di questo requisito comporta la qualificazione di tale atto secondo la categoria non della sua validità, ma della sua stessa esistenza. Categoria, questa dell’inesistenza (…), che consente, sul piano pratico, di impedire il dispiegamento di qualsiasi effetto giuridico dell’atto di matrimonio, sia pure meramente interinale, a differenza dell’atto di matrimonio nullo che, invece, tali effetti può, quantomeno interinalmente, produrre (…). Categorizzazione, inoltre, del tutto coerente con la premessa che l’atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, mancando di un requisito indispensabile per la sua stessa identificabilità come tale secondo la fattispecie astratta normativamente prefigurata, non è previsto dall’ordinamento e quindi, in questo senso, “non esiste”. Pertanto - sul piano delle norme, di rango primario o sub-primario, applicabili alla fattispecie in prima approssimazione -, alla specifica questione, consistente nello stabilire se due cittadini italiani dello stesso sesso, i quali abbiano contratto matrimonio all’estero, siano, o no, titolari del diritto alla trascrizione del relativo atto nel corrispondente registro dello stato civile italiano, deve darsi, in conformità con i su menzionati precedenti di questa Corte, risposta negativa».
La Cassazione ha cura di sottolineare «che, nella specie, l’intrascrivibilità di tale atto dipende non già dalla sua contrarietà all’ordine pubblico, (…), ma dalla previa e più radicale ragione, riscontrabile anche dall’ufficiale dello stato civile in forza delle attribuzioni conferitegli (…), della sua non riconoscibilità come atto di matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano». Nella sentenza non ci si limita a questo: si considera la giurisprudenza formatasi in sede europea e si ricordano le pronunce della Corte costituzionale e della stessa Cassazione di riconoscimento di diritti ai componenti di una unione omosessuale; quest’ultima è ricompresa nelle “formazioni sociali” menzionate dall’articolo 2 della Costituzione. La conclusione però non muta: «il diritto fondamentale di contrarre matrimonio non è riconosciuto dalla nostra Costituzione a due persone dello stesso sesso». Né valgono i richiami alla Carta europea dei diritti dell’uomo, poiché la materia della «trascrivibilità, o no, nei registri dello stato civile italiano di un atto di matrimonio di cittadini italiani dello stesso sesso celebrato all’estero è del tutto estranea alle materie attribuite alla competenza dell’Unione Europea ed inoltre è priva di qualsiasi legame, anche indiretto, con il diritto dell’Unione».
Quand’anche si ritenga che l’interpretazione data di recente dalla Cedu del “diritto” al matrimonio fra persone dello stesso sesso abbia fatto cadere il presupposto della diversità di sesso quale condizione per l’esistenza del matrimonio medesimo, secondo la Cassazione che l’effetto sarebbe far dipendere «l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali (…) non più dalla loro “inesistenza” (…), e neppure dalla loro “invalidità”, ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano». Ma l’intrascrivibilità resta.

 Se l’atto di matrimonio, come conclude la Cassazione, non è trascrivibile quando riguarda persone dello stesso sesso, tutti gli atti amministrativi conseguenti, in primis il riconoscimento del congedo parentale fondato su tale atto, saranno inesistenti, o nella migliore delle ipotesi inidonei a produrre effetti, comunque arbitrari. Per questo l’intervento del prefetto, sollecitato dal ministro dell’Interno, è tutt’altro che formalistico e privo di competenza: nel rispetto dell’autonomia degli enti territoriali, il Viminale ha un proprio dipartimento – quello degli enti locali – che svolge le funzioni di garante della legalità degli stessi; quando emerge una palese violazione di legge, essi hanno il dovere di rimuoverla e di impedirne conseguenze ulteriori.
Ignazio Marino ricorda spesso, fra le perle del suo curriculum, una pubblicazione scritta insieme col cardinale Carlo Maria Martini. Altri ne apprezzeranno il valore religioso; è certo che, come lo stesso Marino ha provato a fare durante la cerimonia di trascrizione di sabato 18, evocare la memoria del co-autore che non c’è più a sugello della sua iniziativa non può trasformarsi in una patente per calpestare le leggi dello Stato. Parola dei giudici della Cassazione: anche quelli con cui il sindaco scriverebbe volentieri un nuovo libro insieme.