sabato 2 aprile 2016

Il cammino della misericordia divina. Sguardo che tutto cambia



(Nataša Govekar) Che la misericordia non sia solo un bel sentimento, bensì mistero di un drammatico rapporto tra Dio e l’uomo, lo possiamo comprendere anche da quella figura che da mesi ci accompagna dappertutto. Si tratta del logo del Giubileo della misericordia, che nasce come una stilizzazione della Discesa agli inferi o Anastasis, un soggetto iconografico familiare a tutti i fedeli tra il ix e il xiii secolo, e custodito poi dall’Oriente cristiano. 
In questa immagine pasquale, è evidente che Cristo non risuscita dalla morte da solo ma insieme a tutta l’umanità, ad Adamo ed Eva. Non risorge uscendo dal sepolcro bensì sprofondando nell’abisso, penetrando negli inferi e raggiungendo tutti i morti, per farli partecipi della sua vittoria sulla morte. Questa è l’ultima tappa di un lungo percorso con il quale il Figlio di Dio si identifica con Adamo e che culmina con l’entrata nella sua tomba. Dio si è incarnato perché l’uomo potesse vivere della vita divina. In tutte le rappresentazioni di questo tipo, il Figlio di Dio disceso agli inferi raggiunge Adamo ed Eva, i primi sepolti, e prendendoli per il polso ridona loro il battito della vita. Ed è nello sguardo che si scambiano il vecchio Adamo e quello nuovo che si rivela lo scopo di tutta questa discesa. Come canta uno degli inni di sant’Efrem il Siro, Cristo va in cerca della Sua “immagine inabissata”: «Tu sei disceso nell’Ade /per cercare la tua immagine inabissata; /come un povero ed un mortale /tu sei disceso /e hai scandagliato l’abisso dei morti. /La tua misericordia è stata confortata/ nel vedere Adamo ricondotto all’ovile». È questa la misericordia: tutto ciò che Dio fa per coprire la distanza che ci separa da Lui. Un abisso insuperabile, causato dal peccato e dalla morte, impedisce all’uomo di incontrare Dio che proprio per colmarlo scende in Gesù Cristo, assumendo la nostra natura, portando sulla croce il nostro peccato e distruggendo la morte con la sua morte. Dal punto di vista della morte, questa discesa è avvertita come un inganno, “l’inganno divino”, come lo chiamavano i Padri. Il Verbo di Dio si incarna e così inganna la morte. Siccome la morte non poteva inghiottire il Verbo senza il corpo, né gli inferi accoglierlo senza la carne, egli nacque dalla Vergine per poter scendere mediante il corpo nel regno dei morti, dice ancora Efrem nel suo Discorso sul nostro Signore. Nel momento in cui in questo regno entra la vita stessa, la morte è sconfitta. Dal punto di vista dell’uomo, questo cammino di misericordia è invece percepito come salvezza. Adamo ed Eva, immagine dell’umanità intera, si trovano nella tomba, dove si sono rifugiati dopo il peccato; avendo creduto al sussurro del serpente che presentava Dio come geloso e cattivo, non potevano che fuggire da lui. Ma Dio non può dimenticare l’uomo e si incammina dietro di lui. Nemmeno il nascondiglio più oscuro può resistere al suo amore: «Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti» (Salmo 139, 7-8). Per quanto peccatore possa essere, nel fondo del cuore dell’uomo c’è sempre una nostalgia di Dio. Una specie di “memoria teologica” fa sì che Adamo riconosca il passo del Signore mentre scende a prenderlo. «La voce dei piedi di uno odo, che da noi sta entrando. Se solo si degnasse di venire qui, noi saremmo liberati dal carcere: se solo lo vedessimo con noi, noi saremmo redenti dall’Ade» (Pseudo-Epifanio, Omelia nel grande e santo sabato). Adamo non ha dimenticato il rumore dei passi del Signore (cfr. Genesi 3, 10) e ormai non teme più di incontrarlo. Il suo ritrovamento avviene nel punto più basso ed è da qui che comincia la risalita, il ritorno al Padre. Tutta la strada percorsa dal Signore ha infatti questo come scopo. Gli antichi padri e gli artisti cristiani hanno cercato di esprimere il mistero della redenzione proprio con questo movimento di discesa e risalita. Nell’antica immagine del Buon pastore, la pecorella perduta e ritrovata non a caso guarda verso l’alto, verso il cielo, verso il Padre. Nel primo inno di risurrezione di sant’Efrem, si legge: «Il Pastore di tutto è disceso /a cercare Adamo, la pecora che si era perduta; /sulle sue spalle l’ha portata, alzandola. /Egli era un’offerta per il padrone del gregge. /Benedetta sia la sua discesa!». L’immagine del logo si presenta quindi come una sintesi della Discesa agli inferi e del Buon pastore che va a cercare e si carica sulle spalle la pecorella smarrita. Seguendo l’ispirazione patristica, il logo rappresenta la pecorella come Adamo che, a causa del peccato, si nasconde davanti a Dio nella tomba, ma viene ritrovato da Cristo. Il Padre che ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito (Giovanni 3, 16) vuole infatti raggiungere con il Suo amore l’uomo ribelle, smarrito, morto. L’incontro tra Adamo e Cristo, il nuovo Adamo, è un incontro di sguardi che si fondono fino a diventare un solo occhio. Dio nel suo Figlio impara a guardare anche con l’occhio di Adamo — impara a vivere la condizione umana fino in fondo — e Adamo impara, in potenza della misericordia divina, a vedere se stesso, gli altri e il mondo con gli occhi di Dio. Se solo lo vedessimo con noi, noi saremmo redenti… L’uomo di per sé non può fare nulla, la salvezza è un dono con il quale egli viene raggiunto. Può tuttavia alzare gli occhi, può riconoscere in mezzo alle tenebre il volto redentore, può dire il suo amen. Ecco come il lungo cammino percorso dal Figlio di Dio si concentra in un solo sguardo, che ha il potere di cambiare tutto. In Adamo, Cristo incontra ciascuno di noi e rompe la nostra solitudine. «A te infatti non era nascosta la mia persona in Adamo: sepolto e corrotto tu mi rinnovi, o amico degli uomini», recita la liturgia bizantina del santo e grande sabato. La vita dell’uomo cambia proprio quando è toccata dalla misericordia di Dio. L’uomo diventa ciò che contempla e per questo motivo è così importante dove è rivolto il nostro sguardo. Se l’uomo non contempla la risurrezione di Cristo e la propria risurrezione in Lui, rimane prigioniero della paura della morte (cfr. Ebrei 2, 15). Contemplando il suo volto invece l’uomo scopre ciò che è chiamato ad essere: figlio nel Figlio. In potenza di questo sguardo Adamo scopre la sua somiglianza con il nuovo Adamo, il Signore; scopre la bellezza della sua vocazione, di essere figlio dello stesso Padre. Questo sguardo, questo incontro ha il potere di trasformare ogni situazione umana in un cammino di figliolanza. Tutta la scena è infatti avvolta da una mandorla con tre colori concentrici, che si estendono dal più scuro al più chiaro, perché in Cristo le tenebre sono vinte dalla luce, e in lui l’uomo può conoscere ciò che di Dio non potrebbe mai conoscere. Si può diventare misericordiosi come il Padre solo a partire da qui, dalle porte dei nostri inferi che si trasformano in una via di comunione solo grazie all’incontro con Cristo.

L'Osservatore Romano