Un'appassionata difesa dell'essere umano, oggi svalutato da una cultura che lo riduce a "parte di un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta". Rivolgendosi ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace - ricevuti in udienza lunedì mattina 3 dicembre, nella Sala del Concistoro - Benedetto XVI fa leva sulla dottrina sociale della Chiesa per riaffermare con vigore la verità sull'uomo, esaltandone il primato in quanto "costitutivamente trascendente" rispetto a tutti "gli altri esseri e beni terreni".
Chiara è la sua denuncia di una società dove, "sebbene la difesa dei diritti abbia fatto grandi progressi nel nostro tempo, la cultura odierna, caratterizzata, tra l'altro, da un individualismo utilitarista e un economicismo tecnocratico, tende a svalutare la persona. Questa viene concepita come un essere "fluido", senza consistenza permanente. Nonostante sia immerso in una rete infinita di relazioni e di comunicazioni, l'uomo di oggi paradossalmente appare spesso un essere isolato, perché indifferente rispetto al rapporto costitutivo del suo essere, che è la radice di tutti gli altri rapporti, quello con Dio".
Oggi l'essere umano "è considerato in chiave prevalentemente biologica o come "capitale umano", "risorsa"". E nonostante si continui a proclamare la dignità della persona, si vanno affermando nuove ideologie - e il Papa elenca quella "dei diritti sessuali e riproduttivi o quella di un capitalismo finanziario sregolato che prevarica sulla politica e destruttura l'economia reale" - che contribuiscono sempre più a considerare "il lavoratore dipendente e il suo lavoro come beni minori, e a minare i fondamenti naturali della società, specialmente la famiglia".
Dovere dei cristiani, afferma il Pontefice, è di impegnarsi in una "nuova evangelizzazione del sociale" che aiuti "a detronizzare gli idoli moderni, a sostituire l'individualismo, il consumismo materialista e la tecnocrazia con la cultura della fraternità e della gratuità, dell'amore solidale". Occorre "un'autorità" - ricorda citando la Pacem in terris di Giovanni XXIII - in grado di costruire una comunità mondiale "muovendo dall'amore per il bene comune della famiglia umana". Ciò significherebbe, aggiunge, sostituire l'idea di un "superpotere concentrato nelle mani di pochi, che dominerebbe su tutti i popoli, sfruttando i più deboli", con il concetto di un'autorità intesa soprattutto "come forza morale, facoltà di influire secondo ragione, ossia come autorità partecipata, limitata per competenza e dal diritto".
Il Papa conclude infine auspicando una seria riflessione sulla necessità di una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale. (Osservatore Romano)
Di seguito la Nota della Sala Stampa.
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Alle ore 11.45, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico
Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza i
partecipanti alla XXVII Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace. Di seguito il testo del discorso del Papa.
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra Assemblea Plenaria.
Saluto il Cardinale Presidente, che ringrazio per le cortesi parole
rivoltemi, come pure Monsignor Segretario, gli Officiali del Dicastero e
tutti voi, Membri e Consultori, convenuti per questo importante momento
di riflessione e di programmazione.
La vostra Assemblea si celebra nell’Anno della fede, dopo il Sinodo
dedicato alla nuova evangelizzazione, nonché nel cinquantesimo
anniversario del Concilio Vaticano II e – tra pochi mesi –
dell’Enciclica Pacem in terris del beato Papa Giovanni XXIII. Si tratta
di un contesto che già di per sé offre molteplici stimoli. La Dottrina
sociale, come ci ha insegnato il beato Papa Giovanni Paolo II, è parte
integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa (cfr Enc.
Centesimus annus, 54), e a maggior ragione essa va considerata
importante per la nuova evangelizzazione (cfr ibid., 5; Enc. Caritas in
veritate, 15). Accogliendo Gesù Cristo e il suo Vangelo, oltre che nella
vita personale, anche nei rapporti sociali, diventiamo portatori di una
visione dell’uomo, della sua dignità, della sua libertà e
relazionalità, che è contrassegnata dalla trascendenza, in senso sia
orizzontale sia verticale. Dall’antropologia integrale, che deriva dalla
Rivelazione e dall’esercizio della ragione naturale, dipendono la
fondazione e il significato dei diritti e dei doveri umani, come ci ha
ricordato il beato Giovanni XXIII proprio nella Pacem in terris (cfr n.
9). I diritti e i doveri, infatti, non hanno come unico ed esclusivo
fondamento la coscienza sociale dei popoli, ma dipendono primariamente
dalla legge morale naturale, inscritta da Dio nella coscienza di ogni
persona, e quindi in ultima istanza dalla verità sull’uomo e sulla
società. Sebbene la difesa dei diritti abbia fatto grandi progressi nel
nostro tempo, la cultura odierna, caratterizzata, tra l’altro, da un
individualismo utilitarista e un economicismo tecnocratico, tende a
svalutare la persona. Questa viene concepita come un essere «fluido»,
senza consistenza permanente. Nonostante sia immerso in una rete
infinita di relazioni e di comunicazioni, l’uomo di oggi paradossalmente
appare spesso un essere isolato, perché indifferente rispetto al
rapporto costitutivo del suo essere, che è la radice di tutti gli altri
rapporti, quello con Dio. L’uomo d’oggi è considerato in chiave
prevalentemente biologica o come «capitale umano», «risorsa», parte di
un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta. Se, da una
parte, si continua a proclamare la dignità della persona, dall’altra,
nuove ideologie - come quella edonistica ed egoistica dei diritti
sessuali e riproduttivi o quella di un capitalismo finanziario sregolato
che prevarica sulla politica e destruttura l’economia reale -
contribuiscono a considerare il lavoratore dipendente e il suo lavoro
come beni «minori» e a minare i fondamenti naturali della società,
specialmente la famiglia. In realtà, l’essere umano, costitutivamente
trascendente rispetto agli altri esseri e beni terreni, gode di un reale
primato che lo pone come responsabile di se stesso e del creato.
Concretamente, per il Cristianesimo, il lavoro è un bene fondamentale
per l’uomo, in vista della sua personalizzazione, della sua
socializzazione, della formazione di una famiglia, dell’apporto al bene
comune e alla pace. Proprio per questo, l’obiettivo dell’accesso al
lavoro per tutti è sempre prioritario, anche nei periodi di recessione
economica (cfr Caritas in veritate, 32).
Da una nuova evangelizzazione del sociale possono derivare un nuovo
umanesimo e un rinnovato impegno culturale e progettuale. Essa aiuta a
detronizzare gli idoli moderni, a sostituire l’individualismo, il
consumismo materialista e la tecnocrazia, con la cultura della
fraternità e della gratuità, dell’amore solidale. Gesù Cristo ha
riassunto e dato compimento ai precetti in un comandamento nuovo: «Come
io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34);
qui sta il segreto di ogni vita sociale pienamente umana e pacifica,
nonché del rinnovamento della politica e delle istituzioni nazionali e
mondiali. Il beato Papa Giovanni XXIII ha motivato l’impegno per la
costruzione di una comunità mondiale, con una corrispondente autorità,
proprio muovendo dall’amore, e precisamente dall’amore per il bene
comune della famiglia umana. Così leggiamo nella Pacem in terris:
«Esiste un rapporto intrinseco fra i contenuti storici del bene comune
da una parte e la configurazione dei Poteri pubblici dall’altra.
L’ordine morale, cioè, come esige l’autorità pubblica nella convivenza
per l’attuazione del bene comune, di conseguenza esige pure che
l’autorità a tale scopo sia efficiente» (n. 71). La Chiesa non ha certo
il compito di suggerire, dal punto di vista giuridico e politico, la
configurazione concreta di un tale ordinamento internazionale, ma offre a
chi ne ha la responsabilità quei principi di riflessione, criteri di
giudizio e orientamenti pratici che possano garantirne l’intelaiatura
antropologica ed etica attorno al bene comune (cfr Enc. Caritas in
veritate, 67). Nella riflessione, comunque, è da tenere presente che non
si dovrebbe immaginare un superpotere, concentrato nelle mani di pochi,
che dominerebbe su tutti i popoli, sfruttando i più deboli, ma che
qualunque autorità deve essere intesa, anzitutto, come forza morale,
facoltà di influire secondo ragione (cfr Pacem in terris, 27), ossia
come autorità partecipata, limitata per competenza e dal diritto.
Ringrazio il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace perché,
assieme ad altre istituzioni pontificie, si è prefissato di approfondire
gli orientamenti che ho offerto nella Caritas in veritate. E ciò, sia
mediante le riflessioni per una riforma del sistema finanziario e
monetario internazionale, sia mediante la Plenaria di questi giorni e il
Seminario internazionale sulla Pacem in terris del prossimo anno.
La Vergine Maria, Colei che con fede ed amore ha accolto in sé il
Salvatore per donarlo al mondo, ci guidi nell’annuncio e nella
testimonianza della Dottrina sociale della Chiesa, per rendere più
efficace la nuova evangelizzazione. Con questo auspicio, ben volentieri
imparto a ciascuno di voi la Benedizione Apostolica.