sabato 29 dicembre 2012

Cerca anche tu Gesù nel Tempio di Dio...

Cerca anche tu Gesù nel tempio di Dio, cercalo nella Chiesa, cercalo nei maestri che stanno dentro il tempio e non escono da lì. Se lo cerchi così, lo troverai.
Origene, Omelie su Luca, 18,3

   

OGGI 30 DICEMBRE CELEBRIAMO LA

SANTA FAMIGLIA DI GESÙ
MARIA E GIUSEPPE
Anno C - Festa

L'esempio di Nazaret
Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa  (Discorso tenuto a Nazaret, 5 gennaio 1964)
La casa di Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazaret! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all'intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazaret.
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazaret, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l'interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazaret ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com'è dolce ed insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazaret, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.
 
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Lc 2,16
I pastori si avviarono in fretta
e trovarono Maria e Giuseppe,
e il Bambino deposto nella mangiatoia.


Colletta

O Dio, nostro Padre, che nella santa Famiglia ci hai dato un vero modello di vita, f
a' che nelle nostre famiglie fioriscano le stesse virtù e lo stesso amore, perché, riuniti insieme nella tua casa, possiamo godere la gioia senza fine. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. 
  

Oppure:

O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell'aurora del mondo, divenisse membro dell'umana famiglia;
ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, e i figli crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome.

LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
  1 Sam 1,20-22.24-28
Samuele per tutti i giorni della sua vita è richiesto per il Signore.
 

Dal primo libro di Samuele
Al finir dell'anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, «perché - diceva - al Signore l'ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre».
Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un'efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch'io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.

Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 83
Beato chi abita nella tua casa, Signore.
 
Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
L'anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.
 
Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l'uomo che trova in te il suo rifugio
e ha le tue vie nel suo cuore.
 
Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi l'orecchio, Dio di Giacobbe.
Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato.
 Seconda Lettura  1 Gv 3,1-2.21-24
Siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!
 

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Pa­dre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi coman­damenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In que­sto conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
 
Canto al Vangelo   Cf At 16,14
Alleluia, alleluia.

Apri, Signore, il nostro cuore
accoglieremo le parole del Figlio tuo.
Alleluia.

  
  
Vangelo
  Lc 2,41-52
Gesù è ritrovato dai genitori nel tempio in mezzo ai maestri.
 

Dal vangelo secondo Luca
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Parola del Signore.

COMMENTI

1. Congregazione per il Clero.
«Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso» (Lc 2,49-50).
Il Mistero della vita di Cristo nel quale la Chiesa, oggi, ci introduce, non è anzitutto un modello di obbedienza agli uomini – un’obbedienza che i genitori possano pretendere dai loro figli –, né tantomeno si tratta della descrizione di una qualche incomprensione familiare, nella quale, la Beata Vergine Maria e S. Giuseppe avrebbero subìto un inspiegabile dispetto adolescenziale del dodicenne Gesù. Non vi sarebbe nulla di più banalizzante e lontano dalla reale profondità di questo Mistero.
Nel brano evangelico ascoltato, piuttosto, splende, in modo singolare, il Mistero dell’Incarnazione, è presentato – non soltanto alle giovani generazioni, ma ad ogni uomo – il modello della vera obbedienza ed è offerta la profezia della vittoria ultima e definitiva di Cristo.
Anzitutto, splende il Mistero dell’Incarnazione. Intrattenendosi con i maestri del Tempio e rispondendo in modo misterioso alla domanda di Maria e di Giuseppe – «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,48), il dodicenne Gesù offre un segno, un raggio, della sua Divinità. Il Verbo Eterno, infatti, facendosi uomo, non ha smesso di essere Dio e, percorrendo le età della nostra vita, non è andato in cerca della propria vocazione, come tutti noi abbiamo avuto o abbiamo bisogno di fare. Egli, fin dal primo istante del concepimento, conosceva la sua Missione e vedeva il Padre faccia a faccia, immergendo la santissima Umanità, assunta da Maria, in questa conoscenza diretta del Padre: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».
Dalla realtà dell’Incarnazione – Gesù dodicenne, cioè, è l’Eterno Figlio del Padre –, si può intuire l’abisso di splendore che si cela nelle parole che seguono: «Venne a Nazareth e stava loro sottomesso». L’obbedienza di Cristo a Maria e Giuseppe non è, anzitutto, obbedienza di un uomo all’uomo, ma obbedienza del Figlio di Dio fatto uomo a Dio Padre, obbedienza della Sua santa Umanità alla missione che il Padre Gli ha affidato, quella di farsi uomo, condividere in tutto, eccetto che nel peccato, la nostra condizione umana, fino a morire per noi sulla Croce, per poi risorgere vittorioso.
Questo grande Mistero offre oggi l’occasione per due considerazioni.
La prima: facendosi uomo, Cristo ha deciso di nascere da una vera famiglia umana. Pur essendo stato concepito, per opera dello Spirito Santo, nel grembo di Maria Vergine, Egli vuole che la Madre abbia un vero sposo, a garanzia dell’onestà di Lei, e così, nel medesimo tempo, non priva se stesso di un vero padre umano. Cristo, nascendo, benedice la famiglia, quale unico luogo degno per il sorgere della vita. Egli, fin dal primo istante della sua vita, non “salta” la nostra umanità, ma la percorre ed assume interamente, benedicendo ed illuminando quanto vi è, in essa, di più vero, nobile e giusto, prima di tutto, la stessa vita umana e la famiglia.
In secondo luogo, abbiamo detto che, obbedendo a Maria e Giuseppe, Cristo obbedisce al Padre e introduce anche la nostra umanità nella vera obbedienza a Dio. Egli, che è vero Dio, obbedisce all’Eterno Padre vivendo fino in fondo le vicende della Famiglia di Nazareth, le vicende della sua famiglia. Questo è mirabile, per noi, perché nel contemplare Cristo obbediente, riconosciamo quanto infinitamente ci ami, ma non solo. Con la sua incarnazione e obbedienza, Cristo introduce nel mondo un nuovo modo di rapportarsi con Dio. Da quando Cristo si è fatto uomo nella Famiglia di Nazareth, infatti, l’uomo obbedisce a Dio, fa la sua Volontà, anzitutto accogliendo e vivendo fino in fondo le circostanze nelle quali si trova e i compiti che il suo stato di vita gli impone: la famiglia, il matrimonio, le relazioni amicali e non, il lavoro, fino all’accoglienza, quando Dio vuole, della vocazione soprannaturale a consacrarsi interamente a Lui, nel Sacerdozio, o nella vita consacrata.
Infine, ci è data la profezia della vittoria ultima e definitiva. Nell’angoscia di Maria e Giuseppe è anticipato lo sconcerto, la desolazione e lo smarrimento dei tre giorni di Cristo nel sepolcro. Ma Egli non è smarrito, non ci ha deluso, né mai ci delude, Cristo, anche nei momenti più bui, non cade in balia degli uomini, ma “si occupa delle cose del Padre suo”.
Colei che veniva così educata dal Figlio all’attesa della Risurrezione e Colui che è lo Sposo castissimo ed il Patrono della Chiesa, Maria Santissima e San Giuseppe, ci guidino sempre più nel Mistero del Dio Bambino, proteggano le nostre famiglie e ci ottengano un cuore davvero obbediente a Dio. In questa obbedienza sta la nostra pace.

2. OMELIA DI MONS. CARLO CAFFARRA


La prima lettura ci dona un grande insegnamento, e di drammatica attualità. Essa inizia con la constatazione di un fatto comune: «Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele».
Ma questa donna ne dà l’interpretazione più profonda: «dal Signore l’ho impetrato». L’esistenza di questo bambino non trova la sua spiegazione ultima nel concorso di leggi biologiche, ma in una decisione gratuita del Signore: è un dono fatto dal Signore ad una donna che glielo chiedeva come grazia.
La conseguenza che Anna deriva da tutto questo è la seguente: «il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch’io lo do in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore».
Questo bambino, la sua persona non può essere considerata semplicemente frutto del grembo di sua madre, una sorta di sua proprietà esclusiva. Ella la cede per sempre al Signore. Questa stupenda pagina ha una profonda analogia colla narrazione evangelica.
Il momento centrale del racconto è costituito dal dialogo fra Gesù, dodicenne, perduto e ritrovato nel Tempio, e sua Madre Maria.
Fermiamo la nostra attenzione sulla risposta di Gesù: «perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Gesù in primo luogo si stupisce di fronte ad un fatto che come Maria e Giuseppe, anche noi riteniamo normale: avendo perduto il figlio, non possono che mettersi a cercarlo con grande angoscia. Quale è la ragione delle stupore di Gesù? È qui che tocchiamo il nucleo centrale della pagina evangelica.
Gesù si trova là dove deve, non può non essere: «nelle cose del Padre». Egli rivela chi è il suo vero Padre. Non è Giuseppe. È un Altro, Dio stesso. “A Lui io appartengo” è come se Gesù dicesse “non posso trovarmi come figlio che nella casa del Padre mio”. E Gesù usa un verbo molto forte: «devo». Nei Vangeli viene usata questa parola quando si parla di una disposizione del Padre nei confronti di Gesù, alla quale Egli obbedisce. Gesù rivela quindi un’appartenenza ben più forte che quella che lo lega a Maria, e ovviamente a Giuseppe.
Vi dicevo che l’insegnamento su cui convergono la prima lettura e la pagina evangelica è di drammatica attualità. Per molte ragioni, sulle quali ora non posso dilungarmi molto, ma che devo almeno accennare.
È convinzione di molti ormai che il figlio non può essere semplicemente “aspettato”, ma deve essere “voluto”. Certamente dietro a questo cambiamento di prospettiva ci può essere quell’attitudine che anche la Chiesa raccomanda quando parla di procreazione responsabile. Ma normalmente ormai non è di questo che si tratta. E il rapporto del genitore col figlio “voluto” è profondamente diverso dal rapporto col figlio “venuto” [desumo questo vocabolario assai felice da A. Polito, Contro i papà, Rizzoli, Milano 2012].
La diversità consiste nel fatto che il figlio “voluto” rischia di essere considerato non comequalcuno, ma come qualcosa di cui ormai ho bisogno per il mio benessere psicologico. Il passaggio poi alla visione coerente del figlio come “proprietà” è, in questa logica, un rischio assai reale. Esattamente il contrario di quanto ci dice oggi la parola di Dio.
La conseguenza più grave di questo profondo cambiamento culturale nel rapporto genitori-figlio è che la coppia si attribuisce l’autorità di dare un giudizio sul diritto o non all’esistenza del figlio concepito, ma non voluto. Si è così legittimata anche la soppressione del medesimo, sulla base dell’ideologia “a favore della scelta” [pro-choice].
Ma nello stesso tempo – e si tratta solo di una contraddizione apparente con ciò che ho appena detto – se il rapporto giusto è solo col figlio “voluto”; se egli diventa qualcosa di necessario per la propria felicità, viene logicamente legittimata ogni tecnica che possa produrre il figlio voluto. E il prodotto è a disposizione del produttore.
Cari fratelli e sorelle, desidero concludere attirando la vostra attenzione su un particolare del racconto evangelico. Parlando di Maria e Giuseppe, l’evangelista dice: «essi non compresero ciò che aveva detto loro» e di Maria aggiunge: «sua madre custodiva tutte queste parole nel suo cuore».
Potete costatare il cammino della fede di Maria. Ella non è ancora in grado di penetrare nel senso delle parole di Gesù; ma ella non per questo le rifiuta. Al contrario le custodisce nel suo cuore, le medita, fino ad esserne pienamente illuminata.
In una cultura in cui l’origine di una nuova persona umana non è più compresa nel suo significato più profondo, non dono di Dio ma frutto casuale di leggi biologiche sempre più sottoposte al dominio tecnico dell’uomo, custodite nel cuore la Parola che oggi vi è detta, e così sarete veri testimoni della verità dell’uomo.



3. Raniero Cantalamessa

Il dono di un padre e di una madre per i bambini del mondo

"Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". In queste parole di Maria vediamo menzionati tutti e tre le componenti essenziali di una famiglia: il padre, la madre, il figlio. Non possiamo quest'anno parlare della famiglia senza toccare il problema che in questo momento più agita la società e preoccupa la Chiesa: l'annunciata discussione parlamentare sul riconoscimento delle coppie di fatto.

Non si può impedire che lo stato cerchi di dare una risposta a situazioni nuove presenti nella società, riconoscendo alcuni diritti civili a persone anche dello stesso sesso che hanno deciso di mettere insieme le proprie vite. Quello che preme soprattutto alla Chiesa ? e che dovrebbe premere a tutte le persone interessate al bene futuro della società ? è che questo non si traduca in un indebolimento dell'istituto familiare, già tanto minacciato nella cultura moderna.

Si sa che il modo migliore di estenuare una realtà o una parola è quello che dilatarla e banalizzarla, facendole abbracciare cose diverse e tra loro contraddittorie. Questo avviene se si equipara la coppia omosessuale al matrimonio tra l'uomo e la donna. Il senso stesso della parola "matrimonio" ? dal latino ufficio della madre (matris) ? rivela l'insensatezza di tale progetto.

Non si vede, oltre tutto, il motivo di questa equiparazione, potendosi salvaguardare i diritti civili in questione anche in altri modi. Non vedo perché questo dovrebbe suonare un limite e un'offesa alla dignità delle persone omosessuali che tutti oggi sentiamo il dovere di rispettare e amare e di cui, in alcuni casi, conosco personalmente la rettitudine e la sofferenza.

Quello che stiamo dicendo vale a maggior ragione per il problema dell'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali. L'adozione da parte di coppie omosessuali è inaccettabile perché è una adozione a esclusivo beneficio degli adottanti, non del bambino, che potrebbe benissimo essere adottato da coppie normali di papà e mamma. Ce ne sono tante che aspettano da anni.

Le donne omosessuali hanno anche loro, si fa notare, l'istinto della maternità e vogliono soddisfarlo adottando un bambino; gli uomini omosessuali sperimentano il bisogno di vedere crescere una giovane vita accanto a loro e vogliono soddisfarlo adottando un bambino. Ma quale attenzione si presta ai bisogni e ai sentimenti del bambino in questo caso? Egli si troverà ad avere due madri, o due padri, anziché un padre e una madre, con tutte le complicazioni psicologiche e di identità che questo comporta, dentro e fuori casa. Come vivrà il bambino, a scuola, questa situazione che lo rende così diverso dai compagni?

L'adozione è stravolta nel suo significato più profondo: non è più un dare qualcosa, ma un cercare qualcosa. Il vero amore, dice Paolo, "non cerca il proprio interesse". È vero che anche nelle adozioni normali, i genitori adottanti cercano, a volte, il loro bene: avere qualcuno su cui riversare il loro amore reciproco, un erede delle loro fatiche. Ma in questo caso il bene degli adottanti coincide con il bene dell'adottato, non si oppone ad esso. Dare in adozione un bambino a una coppia omosessuale, quando sarebbe possibile darlo a una coppia di genitori normali, non è, obbiettivamente parlando, fare il suo bene, ma il suo male.

Il brano evangelico della festa termina con un quadretto di vita familiare che lascia intravedere tutta la vita di Gesù dai dodici ai trent'anni: "Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini". Che la Vergine ottenga a tutti i bambini del mondo il dono di potere, anch'essi, crescere in età e grazia circondati dall'affetto di un papà e di una mamma
4. Enzo Bianchi
Nel tempo che va dalla notte di Natale fino alla festa dell’Epifania noi ascoltiamo brani evangelici che ci narrano la nascita di Gesù a Betlemme e l’andare verso di lui da parte dei pastori, i poveri di Israele (cf. Lc 2,15-20), e dei magi, i sapienti delle genti (cf. Mt 2,1-12). In questa domenica, però, sostiamo su un altro aspetto del mistero della venuta di Gesù nella carne: la chiesa ci chiede di fare memoria dei genitori di Gesù, di questa famiglia in cui Gesù è nato, è stato allevato ed è cresciuto.
Va detto con chiarezza che questa famiglia è di fatto una realtà unica e non ripetibile nella storia: c’è una donna, Maria, che diviene madre di un figlio nonostante la sua verginità e lo concepisce nella forza dello Spirito santo (cf. Lc 1,31-35); c’è Giuseppe che è padre di Gesù secondo la Legge, è suo padre perché lo ha educato; c’è Gesù, questo Figlio che solo Dio, il Padre, poteva dare agli uomini, un Figlio unico in tutti i sensi… Siamo dunque di fronte a una famiglia unica, non certo imitabile nella sua vicenda! Ma che cosa da essa si può cogliere di esemplare per le nostre famiglie, le quali, soprattutto oggi, vivono una situazione di crisi, contraddette come sono dalla cultura, dai comportamenti, dai «modelli» della vita odierna? C’è un messaggio per le nostre famiglie in questo brano del vangelo? Sì, perché, a prescindere dall’assoluta singolarità della sua vicenda, le gioie e le sofferenze sperimentate dalla famiglia di Nazaret sono umanissime, e quindi riguardano ogni forma di famiglia e di vita comune…
Certo, siamo di fronte a una famiglia ebrea, a unafamiglia credente che cerca di essere obbediente alle esigenze della Legge: per questo Maria e Giuseppe educano Gesù nella fede dei padri, gli trasmettono la conoscenza del «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (Es 3,6; Lc 20,37) e gli insegnano a pregare questo Dio invisibile eppure presente nella fede. In tale opera di trasmissione della fede, quando Gesù compie dodici anni e diventa «figlio del comandamento» (bar mizwah) essi lo portano al tempio di Gerusalemme, durante la festa di Pasqua. Nel viaggio di andata tutto va per il meglio, ma mentre stanno tornando a Nazaret i genitori si accorgono che Gesù è scomparso. È fuggito? L’hanno perso? Chi dei due doveva fare più attenzione? È così che Maria e Giuseppe, angosciati per l’accaduto, fanno ritorno a Gerusalemme, nella speranza di trovarlo. Per tre lunghissimi giorni ha luogo la ricerca di Gesù, una ricerca che poteva dar luogo a incomprensioni e ad accuse reciproche tra i due coniugi. Quando infatti siamo angosciati e la sofferenza ci assale, siamo anche tentati di opporci tra di noi e di riversare le colpe su chi ci sta accanto: non è forse questo il dramma di tanti coniugi?
Ed ecco finalmente il ritrovamento: Gesù è nel tempio, seduto in mezzo ai rabbini, intento ad ascoltarli e a porre loro domande. E si faccia attenzione: Gesù non è qui per insegnare, è semplicemente un ragazzo già capace di essere discepolo, grazie all’ascolto di quelli che, per la loro assiduità alla Parola di Dio contenuta nella Scrittura, sono «dottori», maestri nell’interpretazione della Legge. I suoi genitori, al vederlo, sono colti da stupore e Maria gli dice con tono di rimprovero: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo!». Ma Gesù le risponde: «Non sapevate che io devo stare presso il Padre mio?», ovvero: non sapevate che la mia casa è il Tempio, là dove abita la Presenza di Dio, e che io devo stare presso il Padre? Maria e Giuseppe, però, non comprendono tale affermazione e, pur lieti di aver ritrovato Gesù, portano nel cuore l’oscurità di queste sue parole, che li obbligano ad accettare anche l’enigma nella vita del loro figlio, ad ammettere di non conoscerlo pienamente. Luca annota in ogni caso che Maria, come suo solito, «conservava tutti questi eventi nel suo cuore» (cf. Lc 2,19), cercando di leggerli nella fede…
In questa famiglia Gesù «cresce in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini» (cf. 1Sam 2,26) e, come tutti i ragazzi, conosce il cammino verso la maturità e la pienezza della vita. I suoi genitori, responsabili in parte della sua crescita, dovranno un giorno accettare la separazione di Gesù da loro, la rottura (cf. Lc 8,19-21): saranno ore dolorose e difficili da comprendere, eppure ore pasquali… Sì, la famiglia di Gesù è unica e non assomiglia a nessuna famiglia umana, ma ciò che essa ha vissuto è umano, umanissimo, e in quanto tale riguarda ogni tipo di famiglia e di vita comune!
COMMENTI DEI PADRI
«Compiuti i dodici anni, [Gesù] rimane a Gerusalemme. I suoi genitori, non sapendo dove fosse, lo cercano preoccupati e non lo trovano. Lo cercano fra i parenti, lo cercano fra i compagni di viaggio, lo cercano tra i conoscenti; ma non lo trovano con nessuna di queste persone. Sono i genitori che cercano Gesù, è il padre adottivo, quello stesso che lo aveva accompagnato e protetto in Egitto; eppure, malgrado tante ricerche, non lo trovano subito.

Gesù, infatti, non lo si trova fra i parenti e gli amici secondo la carne, non lo si trova tra quelli che si uniscono a Lui fisicamente. Il mio Gesù non può essere trovato nella folla.

Apprendi dove lo trovano coloro che lo cercano, in modo che anche tu – cercandolo insieme a Giuseppe e Maria – possa trovarlo. Avendolo cercato, dice l’evangelista, lo trovarono nel tempio (Lc 2, 46). Non lo trovarono in un posto qualsiasi, ma nel tempio; e neppure semplicemente nel tempio, main mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava  (ibid.). Cerca anche tu Gesù nel tempio di Dio, cercalo nella Chiesa, cercalo nei maestri che stanno dentro il tempio e non escono da lì. Se lo cerchi così, lo troverai.

D’altra parte, se qualcuno afferma di essere un maestro e non possiede Gesù, è maestro solo di nome; e Gesù, Verbo e Sapienza di Dio, non si fa trovare accanto a lui. Lo trovano mentre è seduto in mezzo ai dottori; e non solo è seduto, ma li interroga e li ascolta. Anche ora Gesù è in mezzo a noi, ci interroga e ci ascolta. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore (Lc2, 47). Perché? Non certamente per le sue domande, anche se erano straordinarie, ma per le sue risposte. Interrogava i dottori, e quando essi non riuscivano a dare risposta a qualche sua domanda, Egli stesso dava la risposta. Ma le sue risposte non erano basate sull’abilità nel discutere, ma sulla sapienza della Sacra Scrittura. Anche tu, dunque, lasciati istruire dalla Legge divina».

Origene (III secolo)
Omelie sul Vangelo di san Luca 18, 2-4.
* * * 
«Non si può ignorare la modestia della Vergine Maria. Aveva dato alla luce Cristo; un angelo le si era avvicinato e le aveva comunicato: Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo (Lc 1, 31-32). Pur avendo meritato di partorire il Figlio dell’Altissimo, era molto umile; neppure si antepose al marito nel modo di parlare. Non dice: “io e tuo padre”, ma: tuo padre e io. Non tenne conto della dignità del suo seno, ma della gerarchia coniugale.

La risposta del Signore Gesù – conveniva che io mi occupassi delle cose del Padre mio (cfr. Lc 2, 49) – non vuol dire che la paternità di Dio escluda quella di Giuseppe. Che prove abbiamo? La stessa Scrittura afferma testualmente: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso (Lc 2, 49-51). Non dice: “Stava sottomesso a sua Madre” o “Le stava sottomesso”, mastava loro sottomesso. A chi? Non lo era ai genitori? L’uno e l’altro erano genitori, e a questi Egli era sottomesso, nello stesso modo in cui si era degnato di essere Figlio dell’uomo. Però essi erano genitori nel tempo, Dio lo era fin dall’eternità. Essi erano genitori del Figlio dell’uomo, il Padre lo era del suo Verbo e della sua Sapienza, era Padre del suo Potere, attraverso il quale fece tutte le cose».

Sant’Agostino (IV-V secolo)
Sermone 51, 18-20.
* * *
La voce dei santi
«Figuriamoci che angoscia e che pena dovette provare l’afflitta Madre durante i tre giorni in cui cercò da tutte le parti il Figlio adorato. Avete visto l’amato del mio cuore? (Ct 3, 3), avrà esclamato con la Sposa dei Cantici. Però nessuno sapeva darle una risposta. Stanca e affaticata, Maria, che non riusciva a trovare la guida del suo cuore, poteva dire con più tenerezza di Ruben quando non trovava suo fratello Giuseppe: il ragazzo non c’è più, dove andrò io? (Gn 37, 30). Il mio Gesù non appare da nessuna parte; non so che cos’altro devo fare per trovarlo; ma dove andrò senza il mio tesoro? Durante quei tre giorni visse immersa nel pianto, e poteva ben a ragione ripetere le parole di Davide: Le lacrime sono mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: dov’è il tuo Dio? (Sal 41 (42), 4).
Era così grande l’afflizione di Maria, che quelle tre notti non poté dormire e pregava con brucianti lacrime l’Eterno Padre perché le restituisse il Figlio. Spesso, come osserva san Bernardo, si rivolgeva al suo amato Gesù, ripetendo le parole della Sposa dei Cantici: Dimmi [...] dove vai a pascolare il gregge, dove lo fai riposare al meriggio (Ct 1, 7). Figlio mio, dimmi dove sei, affinché non ti vada cercando invano e alla ventura».

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (XVIII secolo)
Le glorie di Maria
* * *
«Cristo è un bambino. Quale dolore per sua Madre e per san Giuseppe, quando – di ritorno da Gerusalemme – non lo ritrovano tra i parenti e gli amici! E che gioia quando lo scorgono, già da lontano, mentre istruisce i maestri d’Israele! Ma fate attenzione alle parole, apparentemente dure, che escono dalle labbra del Figlio, nel rispondere a sua Madre: Perché mi cercavate? (Lc 2, 49).

Non era ragionevole che lo cercassero? Le anime che sanno che cosa significa perdere Cristo e ritrovarlo, possono capirlo... Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? (ibid.). Non sapevate forse che io devo dedicare totalmente il mio tempo al Padre celeste?

Ecco il frutto dell’orazione di oggi: persuaderci che il nostro cammino sulla terra – in ogni occasione e in ogni tempo – è per Iddio, è un tesoro di gloria, un’immagine del Cielo; è, in mano nostra, una cosa preziosa che dobbiamo amministrare, con senso di responsabilità di fronte agli uomini e di fronte a Dio: senza che, per far ciò, sia necessario cambiare di stato, bensì nel bel mezzo della strada, santificando la propria professione o il proprio mestiere; santificando la vita di famiglia, le relazioni sociali, e ogni altra attività in apparenza esclusivamente terrena [...].
Rivolgiti con me alla Madre di Cristo: Madre nostra, che hai voluto crescere
Gesù, che hai visto mettere a frutto il suo passaggio tra gli uomini, insegnami a impiegare i miei giorni al servizio della Chiesa e delle anime; insegnami ad ascoltare nel più intimo del cuore, come un affettuoso rimprovero, Madre buona, ogni volta che ce ne sia bisogno, che il mio tempo non mi appartiene, perché è del Padre nostro che è nei Cieli».

San Josemaría Escrivá (XX secolo)
Amici di Dio, nn. 53-54.