sabato 22 dicembre 2012

In difesa della cultura umana


Hanno suscitato molte reazioni nel mondo le affermazioni di Benedetto XVI, contenute nel suo discorso di ieri alla Curia Romana. Nel difendere la natura della famiglia tradizionale, Benedetto XVI ha definito in particolare la cosiddetta “teoria di genere” una antropologia segnata da una “profonda erroneità”. Su questo concetto Alessandro De Carolis ha chiesto un commento al vescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte:

R. – Credo che tutti gli italiani abbiano apprezzato la riflessione che ha fatto Benigni quando, commentando i principi fondamentali della Costituzione italiana – che sono veramente eccellenti – ha messo in luce con forza come, nell’articolo 2, si dice che la Repubblica “riconosce i diritti inviolabili della persona umana”. Questo “riconoscere” è un verbo molto importante, perché dice che questi diritti non sono inventati, ma sono radicati nella stessa natura umana. Ora, Papa Benedetto ha detto esattamente la stessa cosa riguardo alla famiglia, alla reciprocità maschile-femminile, alla procreazione degli esseri umani. In altre parole, egli ha detto: “Rispettiamo la verità scritta nell’essere delle cose, non pensiamo che la verità sull’uomo possa essere di volta in volta inventata a seconda degli interessi del momento o delle logiche più o meno utilitaristiche in gioco. Se si rinuncia a questo, ogni barbarie diventa possibile, perché ognuno può inventare l’idea di uomo che preferisce e su questa poi costruire il suo castello di carte, che però può tradursi, ahimè, a volte anche in drammatiche conseguenze pagate dalle stesse persone umane.

D. – Difendere Dio, ha detto ieri il Papa, è difendere l’uomo. Negarlo, dissolve la dignità dell’uomo stesso. Secondo lei, quanta coscienza c’è oggi di questo pericolo?

R. – Temo che questo, sul piano della coscienza diffusa, sia piuttosto oscurato, perché se si avesse più coscienza della profondità di ciò che è scritto come Verità nell’essere umano – ed è scritto dal suo Creatore – naturalmente ci sarebbe anche maggiore rispetto nel riconoscimento di questi inviolabili diritti e doveri dell’essere umano, di questa vocazione originaria che Dio ha scritto nel cuore umano. Certamente, richiamare questa verità in un momento storico in cui la crisi dei grandi sistemi ideologici ha prodotto una notevole frammentazione – e quindi un trionfo di solitudini, ciascuna con la pretesa di poter in qualche modo governare il tutto – diventa un messaggio controcorrente. Ma non sta scritto da nessuna parte che la Chiesa, e il Papa in particolare, debbano parlare per piacere agli uomini: bisogna parlare per piacere a Dio. E credo che il Papa lo faccia. Questo credo che sia al tempo stesso la sua grande forza e, agli occhi di certi media, la sua debolezza. Ma naturalmente, non per il giudizio di alcuni media o di alcune persone che creano le opinioni, noi dobbiamo ritenere che il Papa debba rinunciare a fare il suo dovere di testimone di Cristo, della sua verità, chiamato a confermare i fratelli nella fede.

D. – Volere accampare un diritto che arriva a sfidare la stessa logica non sembra un’operazione così innocente. Come si può fare nuova evangelizzazione in un contesto culturale che preme per negare, in fondo, l’idea di un Creatore perfino nei fondamenti della creatura uomo-donna?

R. – Io sono convinto che il bene abbia una forza irradiante e vada perciò proposto soprattutto per la testimonianza serena, convinta, in questo senso contagiosa. Credo che più che recriminare, sia necessario proporre: in fondo, questo è l’aspetto dominante del magistero di Papa Benedetto. Il grande “sì” di Dio è quello che egli ripete continuamente. Purtroppo, i media – nella loro recezione – spesso si fermano soltanto su delle inevitabili ricadute negative di questo messaggio, cioè su dei “no” che ne conseguono, come appunto il “no” a questa teoria del “genere”, riduttiva della struttura originaria dell’essere umano. Ma in realtà, il messaggio è quello positivo, ed è questo messaggio che poi, nel quotidiano contatto pastorale con la gente, noi dobbiamo e possiamo trasmettere. E devo dire che è recepito proprio nella misura in cui i testimoni siano credibili.

D. – Contro le derive della “civiltà dell’oblio”, come l’ha chiamata il Papa, Benedetto XVI ha indicato il baluardo della memoria e il Natale vicino ricorda che i cristiani hanno duemila anni da cui poter trarre valori e testimonianze…

R. – Certamente. Mi sembra che il comando biblico “Non dimenticare” sia un comando fondamentale. Lo esprimerei con una metafora cara ai medievali: noi siamo come nani sulle spalle dei giganti. Grazie a loro, guardiamo più lontano di loro. I giganti sono quelli che ci hanno preceduti. Se noi facciamo memoria di quanto ci ha preceduto – ed è fondamentalmente il grande dono della Rivelazione, la sua grande trasmissione nella comunione della Chiesa nel tempo – noi abbiamo un fondamento su cui poggiarci e da cui guardare in avanti, che ci apre veramente alla profezia e alla speranza.

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Traggo l'articolo seguente da "L'Osservatore Romano" di oggi, 23 dicembre, a firma di Lucetta Scaraffia.


Il discorso di Benedetto XVI per gli auguri natalizi alla Curia è un esempio perfetto di stile ratzingeriano. Insieme alle note più propriamente religiose — come l’invito a seguire Gesù che dice «venite e vedrete» rivolto a chiunque, interiormente, stia percorrendo una ricerca e un cammino verso il Signore — gran parte del testo è stato dedicato a temi che coinvolgono la società in generale, e gli argomenti usati appaiono ragionevoli, validi per tutti, credenti e non credenti. Sono soprattutto i temi sottesi alla questione della famiglia che, in realtà, non è solo «una determinata forma sociale», ma «la questione dell’uomo stesso».
Infatti, le trasformazioni che la società postmoderna sta realizzando nei rapporti fra le persone, e in particolare sulla famiglia, non consistono solamente nell’allargamento dei diritti, nell’ampliamento della sfera della libertà di scelta, ma rappresentano una ferita alle dimensioni essenziali dell’esperienza umana. Perché ciò che è in discussione, quando si parla di matrimoni omosessuali, o della cancellazione della differenza dei sessi con l’imposizione della categoria del gender, è la visione stessa dell’essere umano, la concezione complessiva di umanità. E su questi temi il Papa interviene, guidando la Chiesa a prendere posizioni nette, coraggiose e impegnate sul piano intellettuale, dal momento che egli è profondamente consapevole del fatto che «chi difende Dio difende l’uomo».
Benedetto XVI, più di ogni altro Pontefice dei tempi moderni, sa bene che è necessario condurre anche una battaglia intellettuale per difendere un’idea di essere umano corrispondente alla realtà, alla verità, e che questa lotta va sostenuta insieme con tutti gli alleati possibili. E gli alleati ci sono: molti intellettuali laici, ma anche rappresentanti di altre religioni con i quali il dialogo — ripete ancora una volta il Papa — deve partire proprio da questioni culturali, e non dalle insolubili differenze teologiche.
Un dialogo che verte quindi intorno al condiviso senso di responsabilità nei confronti del destino umano. Proprio come quello che, nel suo discorso, Benedetto XVI intreccia con il gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim, autore di una riflessione sul matrimonio omosessuale definita dal Papa non solo convincente dal punto di vista delle argomentazioni, che ampiamente condivide, ma addirittura «toccante». Egli si schiera quindi insieme a lui per salvare l’umanità da se stessa, dai pericoli che sta correndo nel seguire insensate e pericolose utopie.
Non è la prima volta che un Pontefice mette in guardia i contemporanei dai pericoli che le ideologie da loro abbracciate comportano, e che essi non vedono. Basti pensare alle denunce di Pio XI nei confronti dell’eugenetica, allora sostenuta da quasi tutti gli scienziati, anche cattolici: denunce poi confermate dalle terribili forme di selezione messe in pratica, non solo da parte del regime nazista.
E come dimenticare a questo proposito le parole del vescovo tedesco von Galen contro l’operazione t4 voluta da Hitler per sterminare i malati mentali, nel silenzio di tutti gli altri Paesi? Poi, negli anni successivi, le denunce contro l’utopia comunista, considerata pericolosa da Pio XII non solo per i suoi aspetti di persecuzione religiosa, ma per gli effetti sulla condizione umana.
Si tratta di una difesa della cultura umana per quanto ha prodotto di più alto, spesso, ma non sempre, per ispirazione religiosa. Una difesa che si riallaccia all’esperienza iniziata dalla Chiesa antica che ha voluto e saputo trasmettere e conservare la cultura classica — anche se pagana — per difendere le creazioni più importanti dell’intelletto umano e offrire gli elementi su cui è stata poi costruita la civiltà occidentale.
In questa antica e nobile tradizione si iscrive la voce di Benedetto XVI, capace di assumersi la responsabilità più alta: quella di essere la coscienza dell’umanità, di difendere la dignità dell’essere umano quale è stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza, restituendo così alla Chiesa il suo grande ruolo culturale e morale. La vera novità sta nel riconoscere e nel valorizzare tutti gli alleati che incontra in questa battaglia e impostare su questa novità il dialogo fra le religioni, perché Papa Ratzinger sa che «questi sforzi possono avere anche il significato di passi comuni verso l’unica verità».