domenica 1 aprile 2012

L'unzione di Betania

Di seguito il Vangelo di oggi, 2 aprile, Lunedi Santo, con qualche commento.


Gesù, aiutaci a diffondere il tuo profumo ovunque noi andiamo;
inondaci del tuo spirito e della tua vita;
prendi possesso del nostro essere così pienamente,
che tutta la nostra vita sia soltanto un' irradiazione della tua;
risplendi in noi e attraverso di noi;
che chiunque ci avvicini senta in noi la tua presenza;
chi viene a noi cerchi Te e veda soltanto Te;
resta con noi, così cominceremo a risplendere come risplendi Tu,
così da essere luce per gli altri;
la luce, Gesù, verrà tutta da Te, e nulla di essa sarà nostra proprietà;
sarai Tu ad illuminare attraverso di noi;
fa che noi Ti lodiamo nel modo che piace a Te,
effondendo la Tua luce su quanti ci stanno attorno;
che noi predichiamo di te, senza predicare,
ma con il nostro esempio, con la forza che trascina,
con il suadente influsso del nostro operare,
con l'evidente pienezza dell'amore di cui il nostro cuore trabocca.
Amen.

John Henry Newman



Gv. 12,1-11.

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. Equi gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: «Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

IL COMMENTO

Il Vangelo di oggi ci pone una domanda fondamentale. In questi giorni santi potrebbe suonare fuori luogo, ci stiamo preparando alla Pasqua, camminiamo con il Signore verso il Calvario per sperimentare con Lui la resurrezione. Eppure è una domanda che non possiamo eludere; coinvolge i nostri giorni, i pensieri e i sentimenti, le parole e le parole. Sfiora il nostro intimo. Pensiamo forse che consegnare la vita a Gesù sia sprecarla? Il tempo, le idee, la poesia, gli amori e le passioni, spesso tutto sembra sprecato, il risultato non compensa mai lo sforzo. Come scriveva Orazio, “Non domandarti – non è giusto saperlo – a me, a te quale sorte abbian dato gli dèi, e non chiederlo agli astri, o Leuconoe; al meglio sopporta quel che sarà: se molti inverni Giove ancor ti concede o ultimo questo che contro gli scogli fiacca le onde del mare Tirreno. Sii saggia, mesci il vino – breve è la vita – rinuncia a speranze lontane. Parliamo e fugge il tempo geloso: cogli l’attimo, non pensare a domani”. Il libro del Qoelet risuona con queste parole: "Ho visto tutte le cose che si fanno sotto il sole ed ecco tutto è vanità e un inseguire il vento... Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo durato a farle: ecco, tutto mi è apparso vanità e un inseguire il vento: non c'è alcun vantaggio sotto il sole.... Non c'è di meglio per l'uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche; ma mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio... Egli concede a chi gli è gradito sapienza, scienza e gioia, mentre al peccatore dà la pena di raccogliere e d'ammassare per colui che è gradito a Dio. Ma anche questo è vanità e un inseguire il vento!" (Qoelet).

Perchè siamo incatenati a questo pensiero che ci spegne la speranza tramutandola in idolatria di noi stessi, delle nostre libertà, dei nostri diritti, dei nostri progetti? Da dove ci viene questo sentimento di frustrazione, questo dubbio quando tutto sembra eclissarsi, speranze, progetti, desideri? Quando anche la missione, il servizio reso a Dio sembra dissolversi nel fallimento, quando non nell'incomprensione e nella persecuzione? Che cosa ci impedisce di vivere la vita come Maria? Sulla soglia di questa Settimana Santa, unica, diversa da tutte le altre, la Chiesa ci pone dinanzi una casa e tre figure. A Betania (casa dei poveri) la casa di Lazzaro (Dio aiuta), risuscitato dai morti; Maria (amata da Dio), che ha conosciuto e scelto la parte buona della vita; Giuda, intelligente ed avaro, prigioniero di se stesso e dei suoi averi, materiali e intellettuali; e Gesù, oggetto di discussioni, al centro di scelte decisive per la vita o la morte. Entriamo in un tempo speciale, la nostra vita può cambiare davvero. Gesù scende a casa nostra, suoi amici, poveri Lazzaro resuscitati dal Suo amore infinito. Scende in modo del tutto particolare in questi giorni, cerca il fondo del nostro cuore, vuole fare luce sui nostri desideri, sui lacci che ci impediscono la gioia vera e piena. Gesù è nostro ospite per liberarci, e non lo può fare se prima non ci illumina senza sconti su quel che agita le nostre menti e i nostri cuori.

Per fare Pasqua occorre innanzi tutto cercare il lievito vecchio e farlo sparire. “Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio né con lievito di malizia e di perversità , ma con azzimi di sincerità e di verità” (1Cor 5,7-8). Nella Mishnà si legge: “Nella notte precedente il giorno 14 (di Nissan), si fa la ricerca del Hametz alla luce di un lumicino”. La parola hametz è usata per designare il pane fatto con il lievito (ossia, il pane che si mangia abitualmente), in opposizione a matzah, nome del pane non fermentato o pane azzimo. La proibizione di mangiare e conservare hametz durante Pesah è un precetto che troviamo nella Torah: "Nel primo mese, il giorno 14 del mese, alla sera, voi mangerete azzimi fino al 21 del mese, alla sera. Per sette giorni non si troverà lievito nelle vostre case, perché chiunque mangerà del lievito, sarà eliminato dalla comunità di Israele, forestiero o nativo del paese’ [Esodo 12,18-19]". Perché si proibisce il pane fermentato? Cos’è hametz? Nel sistema sacrificale del tempio, l’immolazione degli animali era accompagnata, nella maggioranza dei casi, da oblazioni o riti complementari. Dato che il lievito cambia il carattere naturale dell’oblazione, o la profana, tutte le offerte dovevano essere assolutamente pure; il fermentato (e la farina, se si inumidisce può fermentare) era considerato impuro, poiché risultava acido e hametz significa ‘acido’. Hametz e matzah sono lavorati con la stessa farina e con la stessa acqua e sono anche cotti nello stesso forno, ma esiste tra essi una minima differenza che li separa: il riposoHametz deve riposare. Dicono i cabalisti che, come la pasta si gonfia di aria e cresce e prende il sapore acido del fermento, anche l’uomo si gonfia di vuota vanità e adotta l’atteggiamento acido dello sciocco. Più appetitoso e gradevole della matzahhametz rappresenta l’istinto cattivo. Il lievito stabilisce una continuità tra il pane di oggi e quello di ieri, perché il lievito naturale è preso dalla pasta fermentata del giorno precedente. Il pane azzimo invece segna un nuovo inizio! Per questo Gesù desidera passare gli ultimi giorni della sua vita a casa dei suoi amici, immagine della Chiesa, per fare luce e verità e prepararli a qualcosa di nuovo e sorprendente. Per preparare i suoi alla Pasqua, all’evento decisivo, con la luce della sua Parola, che penetra sino alle zone più profonde dell’uomo, scovandone ache i più piccoli frammenti di hametz, il pane che mangiamo abitualmente, il pane di Giuda.

Comprendiamo allora che stiamo entrando in una settimana di liberazione, nella quale davvero potremo passare dalla morte di una vita schaicciata su noi stessi alla libertà di una vita donata e consegnata per amore. Vi è in ciascuno di noi lo spirito di Giuda; la sua arroganza, la sua intelligenza legata indissolubilmente all’avarizia, il suo capire sempre tutto e l’avere per tutto la soluzione ideale. L’intelligenza che piega la sua mente, il suo cuore e ogni sua azione su se stesso, in un’avarizia insaziabile che è, come diceva San Paolo, pura idolatria. Siamo come Giuda, vuoto di vanità e acido di sciocchezze, che se ne infischia di chiunque gli sia accanto, pur ostendando un’apparente interesse filantropico per poveri e bisognosi. Giuda che non sopporta lo spreco perchè lui "ha capito bene per che cosa vale la pena vivere, e spendere i soldi". Ha capito che l’unico che davvero importa è il proprio io e il proprio stomaco, e tutto il resto è spreco: tempo sprecato, denaro sprecato, affetto sprecato. E’ il nostro cuore avvelenato.

Ma oggi Gesù scende proprio lì, per guarirci, per liberarci, per donarci il cuore di Maria. E’ lei l’immagine della nostra vocazione, un profumo sparso per Cristo. Molto di più, essere in ogni istante, lo stesso profumo di Cristo sparso nella casa, la Chiesa, la nostra vita, perchè se ne possa gustare la fragranza di gioia e di pace in tutto il mondo. Sprecare la vita per Cristo. Sprecare il tempo, sprecare il denaro, sprecare ogni affetto, ogni sguardo. Lui ha sprecato sino all’ultima goccia la sua vita per noi. E non è stato spreco, è stato il guadagno più bello, la nostra salvezza. In questo “spreco” possiamo gettare e sprecare la nostra vita, in Lui, il nostro guadagno più bello.

Nei paralleli sinottici Gesù loda il gesto di Maria e dice che ha fatto un’opera bella. Ecco, la nostra vita ci è data per essere un’opera bella, la bellezza che Dio aveva visto nella creazione, riflesso del suo volto e del suo cuore. La nostra vita allora è un riflesso della bellezza che salverà il mondo, il volto di Gesù. Un volto sprecato, senza apparenza né bellezza umana per attirare gli sguardi, sozzo dei nostri delitti, consegnato alla peggiore delle morti. Il volto più bello del più bello tra i figli dell’uomo, profumo crocifisso di un amore che vince la morte. Ecco la bellezza che oggi ci raggiunge, ci cerca, ci ama. In essa, in questa bellezza sprecata per amore, possiamo sprecare la nostra vita. In essa vi è la libertà che ci strappaal lievito vecchio di Giuda, ipocrita, idolatra e destinato alla morte e alla corruzione. Il lievito del mondo che ci impedisce di essere felici, di amare.

L'opera bella di Maria è stata un'opera profetica, compiuta in vista della sepoltura di Gesù. Maria ha compreso laddove i discepoli non riuscivano a comprendere; Maria ha accettato ciò che i discepoli avevano respinto: la morte crocifissa del loro Maestro. Maria credeva, come davanti alla morte di suo fratello, e per questo ha onorato quel corpo che avrebbe dato vita eterna ad ogni carne. L'opera bella è dunque un'opera che accoglie ed entra con Cristo nell'assurdo della Croce, che rende onore alla sofferenza rinvenendovi i bagliori dell'alba di risurrezione. Maria non spreca, ama. E amare non è altro che ungere con quanto si ha di più prezioso, con la propria vita la vita di Cristo, il suo corpo in ogni corpo, la sua sofferenza in ogni sofferenza. L'opera bella è condividere sino in fondo il dolore di Cristo, il dolore di ogni uomo. L'opera bella è l'amore che com-patisce, che fa sua la passione di Cristo incarnata nella passione di ogni uomo. Maria unge, riveste di onore, il Profeta, il Re, il Sacerdote, il Messia sofferente e morente. Non vi è sacerdozio, non vi è regno, non vi è profezia se non sono segnate dalle stigmate della Croce. E' la storia della Chiesa, di ciascuno di noi, e non può essere diversamente. Occorre che il vaso dell'unguento si rompa perchè il profumo si spanda e riempia la casa. Occorre la lancia che ha trafitto il costato di Cristo, la spada che ha trapassato l'anima della Vergine Maria. Lo spreco apparente della nostra vita che, come una lama, ci spezza il cuore, costituisce invece il culmine della nostra vita, il momento più fecondo, laddove splende l'opera bella e si spande la fragranza dei doni ricevuti da Dio: l'amore crocifisso, la compassione incarnata sino a sperimentare lo stesso dolore di Cristo, quello di ogni uomo, anche del nemico.

Il nardo infatti è un'essenza che si origina ad altissime quote. E' dal Cielo che Maria e ciascuno di noi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo nel Battesimo. Il nardo è immagine delle grazie delle quali Dio ci ricolma perchè in noi si dia la vita nuova, la Vita celeste dalla quale si spande il profumo delle opere che mostrano la vittoria sulla morte di Cristo. "Siano rese grazie a Dio che sempre ci fa trionfare in Cristo e che per mezzo nostro spande dappertutto il profumo della sua conoscenza. Noi siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo" (2 Cor 2, 14-15). Ed il Vangelo ci dice che si trattava di vero nardo, autentico, non adulterato, degno di fede, secondo il significato dell'originale greco. Pistikis deriva da pistis, ed è la stessa radice che designa la fede. Il vero nardo è dunque il segno dello Spirito autentico, che ispira opere di fede degne di fede; il nardo con cui Maria unge i piedi di Gesù è il profumo autentico della sua vita fedele alla vocazione ricevuta, la fragranza della fede che si incarna in opere belle che vincono l'olezzo della corruzione e della morte. Quel nardo, la vita nuova irrorata di Spirito Santo che compie le opere belle della fede, è un segno che mostra l'amore di Dio che dalle altezze è disceso tra gli uomini, profumo squisito del Cielo che ha preso dimora sulla terra.

Il Targum del Cantico dei Cantici mette in relazione il nardo con il Paradiso: "I tuoi giovani sono pieni di opere buone... I loro odori sono come quelli dei begli alberi del giardino dell'Eden, come il cipresso ed il nardo... ". La Letteratura ebraica extra biblica ha ravvisato nella Torah il profumo della vita e dell'immortalità. Il Primo Libro di Enoc ha descritto l'albero della vita come un albero profumato che emana fragranza più fragrante di ogni altra. La Legge ed i suoi precetti sono, per la tradizione rabbinica, come un profumo dall'aroma inconfondibile che salgono davanti a Dio. Lo studio della Torah che sostituisce i sacrifici è anch'esso paragonato ad un profumo gradito a Dio. In questo orizzonte si comprende il gesto di Maria. Riconosce dinanzi a sé il Messia, il nuovo tempio, Dio stesso. A Lui tributa l'autentico e fedele sacrifico, lo studio che compie la Torah della vita, l'amore profumato della sposa adornata delle opere sante del Paradiso, segno dell'intima comunione che l'ha trasformata nello Sposo stesso. E' l'amore il cuore di questa pagina del Vangelo, l'amore della sposa che, nella notte del dolore, dello sconforto, del fallimento, nella notte della Croce si consegna all'Amato consegnatosi a lei: "O notte che guidasti, O notte grata più dell’alba chiara; O notte che legasti Amato con amata,Amata nell’amato trasformata!" (San Giovanni della Croce, La notte oscura).

Lasciamo allora che Gesù entri oggi nella nostra casa, la famiglia, la storia, la vita che ci è donata. Lasciamo che ci attiri a sé, ci liberi da noi stessi, perchè possiamo sprecare, donare tutto di noi, le cose più preziose, i nostri segreti, le nostre intimità, i nostri desideri, i nostri dolori, le nostre ansie, i nostri sogni, le nostre speranze, ogni goccia dei nostri giorni, ogni sguardo, pensiero, palpito del cuore, tutto di noi a Cristo che ha dato tutto se stesso per noi. "Ora, nell’offerta del Figlio, si rivela, come già nell’unzione di Betània, una smisuratezza che ci ricorda l’amore generoso di Dio, la “sovrabbondanza” del suo amore. Dio fa generosamente offerta di se stesso. Se la misura di Dio è la sovrabbondanza, anche per noi niente dovrebbe essere troppo per Dio" (J. Ratzinger, Via Crucis 2005).

Fratelli di Cristo che, come scriveva il beato John Henry Newman, possano “diffondere ovunque il profumo di Cristo, affinché tutta la loro vita sia soltanto un’irradiazione della sua” (J. H. Newman, Irradiare Cristo)Ai piedi del Signore, nell'intimità di una vita completamente consegnata al suo amore, possiamo dare quanto di meglio vi è in noi, la Grazia dello Spirito santo ricevuta nel Battesimo di cui l'olio ne è segno. Maria è discesa nel fonte battesimale, è lì, ai piedi di Cristo - il luogo della Verità - scoprire chi siamo nel contemplare quei piedi che sono discesi sino all'intimo delle nostre povertà. Ai suoi piedi, come un profumo soave e molto costoso, lo Spirito santo diffonde i suoi doni abbondanti: gioia, pace, zelo, dominio di sè, pazienza, i segni di una vita bella, buona, giusta. "Un po’ come è la “forma” per l’atleta e l’ispirazione per il poeta: uno stato in cui si riesce a dare il meglio di sé" (P. Cantalamessa, Ministri della nuova alleanza dello Spirito, II Predica di Avvento, 11 dicembre 2009).

Maria, come ciascuno di noi, in ginocchio ai piedi di Gesù, diviene la Sposa più felice di questo mondo. A Lui dare il meglio di sè stessi, per amore, per puro amore. A sei giorni dal compimento dell'amore più grande, il vangelo di oggi, come un'overture, ci prepara al compimento della sinfonia. Come recita il Cantico dei Cantici, "Mentre il re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo" (Ct. 1,12). Il famoso Rabbi Juda ben Ilai, verso il 150, dava la seguente esegesi del versetto citato: "Mentre il Re dei re, il Santo - benedetto egli sia ! - sedeva alla sua mensa nel firmamento, Israele emise la sua fragranza davanti al monte Sinai e disse : Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo e lo ascolteremo (Es 24,3.7)" (Cantica Rabah 1,12.1). L'amore della sposa che si fa obbedienza, ascolto umile che assorbe il potere della Parola di Gesù, sino a vederla compiersi in lei. E’ il Cielo, è la gioia, è la pasqua. E’ l’amore nel quale e per il quale siamo nati. Altro che spreco, è il guadagno più grande, più bello, che nessuno potrà mai toglierci, l’amore infinito di Dio in Cristo Gesù. Esso riempie la casa del suo profumo, la colma, secondo l'originale greco: solo l'amore dà pieno compimento alla casa, alla nostra vita, alla famiglia, alla Chiesa. "Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi, profumo olezzante è il tuo nome, per questo le giovinette ti amano" (Ct. 1,2).

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Da “Tre donne e il Signore” di Hans Urs Von Balthasar
Maria dà il tutto che possiede,s e stessa, sotto la figura del nardo


Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e la casa si riempì del profumo dell’unguento ». Improvvisamente Maria interrompe questa comune festa tra amici. Essa esce dalla sua contemplazione per porre un'azione che non è comune, di tutti i giorni, ma un'azione del puro servizio, prestato non ad uomini ma a Dio.
Questo servizio non è in linea col servizio di Marta, la quale provvede al corporale. Infatti, Maria provvede ora al compimento di qualcosa che è promesso, Provvede a ciò con la sicurezza dei contemplativi. Essa compie qualcosa che a tutti coloro che non sono contemplativi, appare del tutto sconnesso e discontinuo,; e infatti la connessione del suo gesto risulta unicamente all'interno della contemplazione del Signore. Se prima, quando sedeva ai suoi piedi, si trovava in mezzo alla corrente del suo amore, piangendo dall’amore per l'amore, essa si trova ora nel medesimo amore, ma qui questa corrente, che va dal Padre al Padre, si apre un letto nuovo, attende un impulso nuovo, impulso che il Figlio in quanto uomo deve ricevere dall'uomo-Maria all'interno della vita della contemplazione. La contemplazione della croce deve e sere messa in azione dalla contemplazione di Maria mediante l'atto dell'unzione che nasce da essa.
Qui viene mostrato un nuovo volto dell'amore. Maria aveva scelto la parte migliore, desiderando vivere unicamente dell'amore dei Signore che liberamente dispone. E adesso, dalla sua prima scelta lei sceglie ancora una volta la parte migliore, dirigendo con decisione l'amore del Figlio, amore che lo ha fatto diventare uomo, sulla strada del suo ritorno al Padre.
Ascoltando le parole,di Gesù, essa è stata introdotta a tal punto nei divini misteri trinitari che adesso riceve come direttamente dal Padre la sua direttiva per l'azione, per agire nel nome del Padre nel Figlio, per presentare in modo nuovo al Padre il Figlio nel sua missione, così come il Figlio le aveva già mostrato il Padre e lo Spirito all'interno della sua scelta d'amore. In lei il lasciare-disporre è progredito a tal punto che adesso, superando il Figlio, lascia che avvenga in se stessa la volontà del Padre, per far nuovamente risplendere da qui il centro del Figlio. E’ un modo nuovo della rivelazione della vita consustanziale, trinitaria, nel mondo. Ciò che una divina persona dispone è proprio quello che l'altra si aspetta, anche se non lo esprime direttamente.
Ora Maria porta il nardo e con esso cosparge i piedi di Gesù. Come prima sedeva ai piedi di Gesù, così ora rivolge il suo gesto ai piedi. Ha bisogno per far questo di profumo vero, prezioso, nel quale viene simboleggiato tutto il prezzo che possiede per Dio l'anima donata a Dio. Il Signore conduce una vita di povertà, eppure le sue esigenze non sono quelle della povertà. A meno che povertà non significhi: tutto! subito! Vi è una liberalità che appartiene alla povertà cristiana. Il ricco non viene a capo dei dare - se vuole dare -, egli possiede tanto, una cosa fa vedere l'altra che si potrebbe ancora dare. I suoi giorni non so come non bastano per offrire al Signore tutti i suoi beni... Il povero, che non ha nulla o quasi nulla, è ben presto al termine del suo dare. Se vuole dare, deve dare subito tutto. Possiede così poco che non vale la pena suddividerlo. Il poco però che egli ha e dà, possiede per il Signore il profumo del prezioso nardo. Infatti, esso possiede il profumo del tutto. Una sola cosa è necessaria. Maria dà questa sola cosa, il tutto che possiede, se stessa; sotto la figura del nardo vi è anche tutto quello che lei ha, è qualcosa di prezioso, simboleggia tutto il possesso.


L'insegnamento di Benedetto XVI

Fin dalla prima ora della sua bimillenaria esistenza, la Chiesa ha conosciuto il tradimento al suo interno. Gesù era inviso alla maggioranza della classe dirigente ebraica del suo tempo, ma se essa trova infine il modo di catturarlo e mandarlo a morte è grazie al tradimento di uno della cerchia degli Apostoli. E’ Giuda Iscariota che consegna Cristo ai suoi nemici. E Giuda, scrivono i Vangeli, era “uno dei Dodici”. All’udienza generale del 18 ottobre 2006, concludendo la sua personale galleria di ritratti degli Apostoli, Benedetto XVI affronta la storia dell’uomo il cui nome, osserva all’inizio, “suscita tra i cristiani un’istintiva reazione di riprovazione e di condanna”. In quell’udienza, il Papa si pone le due domande che, quando si parla di Giuda, tutti si pongono: perché Gesù lo chiamò con sé? E perché decise di tradire chi lo aveva scelto? Il “mistero della scelta rimane”, afferma Benedetto XVI. E pur avanzando “ipotesi”, anche le ragioni contingenti del tradimento – delusione verso un leader non politico, pura e semplice avidità di denaro – non sono più chiare:
“In realtà, i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che ‘il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo’ (…) In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno”.

Ciò non vuol dire che Giuda abbia semplicemente ceduto a una forza soprannaturale che, per quanto malefica, era preponderante rispetto alla sua volontà. Vuol dire esattamente il contrario. Il punto nevralgico il Papa lo tocca sei mesi prima, il 13 aprile, all’omelia della Messa del Giovedì Santo: Giuda, dice, rompe gli indugi mentre si trova nel Cenacolo, poco dopo che Gesù, in un atto di suprema umiltà, gli ha lavato i piedi pur sapendo che, in quell’uomo, la vera sporcizia è annidata altrove:

“È la superbia che non vuole confessare e riconoscere che abbiamo bisogno di purificazione. In Giuda vediamo la natura di questo rifiuto ancora più chiaramente. Egli valuta Gesù secondo le categorie del potere e del successo (…) l'amore non conta. Ed egli è avido: il denaro è più importante della comunione con Gesù, più importante di Dio e del suo amore. E così diventa anche un bugiardo, che fa il doppio gioco e rompe con la verità; uno che vive nella menzogna e perde così il senso per la verità suprema, per Dio”.
Se Pietro, il primo degli Apostoli, che baratta inizialmente la propria incolumità con lo strazio inflitto al suo Maestro, sa trovare lacrime amare di vergogna e di pentimento per la sua debolezza, Giuda – prosegue Benedetto XVI – è l’evidenza di un uomo che “si indurisce”, che pur pentendosi non sa tornare sui suoi passi, e “butta via la vita distrutta”. La sua è la disperazione che degenera in “autodistruzione”:

“E’ per noi un invito a tener sempre presente quanto dice san Benedetto alla fine del fondamentale capitolo V della sua ‘Regola’: ‘Non disperare mai della misericordia divina’. In realtà Dio ‘è più grande del nostro cuore’, come dice san Giovanni. Teniamo quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia e di perdono”.
Su un “gesto inescusabile” come quello di Giuda Dio poi costruisce un passaggio-chiave del suo progetto di redenzione del mondo. Nella sua “superiore conduzione degli eventi”, chiarisce il Papa, il tradimento conduce alla morte di Gesù, che “trasforma” un “tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre”.

I minuti restanti di quell’udienza generale del 2006 Benedetto XVI li dedica a Mattia, l’uomo che “fu associato agli undici Apostoli” al posto di Giuda. Di lui, riferisce il Papa, “non sappiamo altro, se non che anch’egli era stato testimone di tutta la vicenda terrena di Gesù, rimanendo a Lui fedele fino in fondo”. Una fedeltà culminata in una nomina a discepolo, che lo ricompensa per la sua lealtà e compensa il tradimento di Giuda. Conclusione che vale un inequivocabile insegnamento per le vicende della Chiesa di oggi:

“Ricaviamo da qui un’ultima lezione: anche se nella Chiesa non mancano cristiani indegni e traditori, spetta a ciascuno di noi controbilanciare il male da essi compiuto con la nostra limpida testimonianza a Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore”.

Omelia del 29 marzo 2010

Il Vangelo poc’anzi proclamato ci conduce a Betania, dove, come annota l’Evangelista, Lazzaro, Marta e Maria offrirono una cena al Maestro (Gv 12,1). Questo banchetto in casa dei tre amici di Gesù è caratterizzato dai presentimenti della morte imminente: i sei giorni prima di Pasqua, il suggerimento del traditore Giuda, la risposta di Gesù che richiama uno degli atti pietosi della sepoltura anticipato da Maria, l’accenno che non sempre lo avrebbero avuto con loro, il proposito di eliminare Lazzaro in cui si riflette la volontà di uccidere Gesù. In questo racconto evangelico, c’è un gesto sul quale vorrei attirare l’attenzione: Maria di Betania "prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli" (12,3). Il gesto di Maria è l’espressione di fede e di amore grandi verso il Signore: per lei non è sufficiente lavare i piedi del Maestro con l’acqua, ma li cosparge con una grande quantità di profumo prezioso, che – come contesterà Giuda – si sarebbe potuto vendere per trecento denari; non unge, poi, il capo, come era usanza, ma i piedi: Maria offre a Gesù quanto ha di più prezioso e con un gesto di devozione profonda. L’amore non calcola, non misura, non bada a spese, non pone barriere, ma sa donare con gioia, cerca solo il bene dell’altro, vince la meschinità, la grettezza, i risentimenti, le chiusure che l’uomo porta a volte nel suo cuore.
Maria si pone ai piedi di Gesù in umile atteggiamento di servizio, come farà lo stesso Maestro nell’Ultima Cena, quando – ci dice il quarto Vangelo – "si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli" (Gv 13,4-5), perché – disse – "anche voi facciate come io ho fatto a voi" (v. 15): la regola della comunità di Gesù è quella dell’amore che sa servire fino al dono della vita. E il profumo si spande: "tutta la casa – annota l’Evangelista – si riempì dell’aroma di quel profumo" (Gv 12,3). Il significato del gesto di Maria, che è risposta all’Amore infinito di Dio, si diffonde tra tutti i convitati; ogni gesto di carità e di devozione autentica a Cristo non rimane un fatto personale, non riguarda solo il rapporto tra l’individuo e il Signore, ma riguarda l’intero corpo della Chiesa, è contagioso: infonde amore, gioia, luce.
"Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto" (Gv 1,11): all’atto di Maria si contrappongono l’atteggiamento e le parole di Giuda, che, sotto il pretesto dell’aiuto da recare ai poveri, nasconde l’egoismo e la falsità dell’uomo chiuso in se stesso, incatenato dall’avidità del possesso, che non si lascia avvolgere dal buon profumo dell’amore divino. Giuda calcola là dove non si può calcolare, entra con animo meschino dove lo spazio è quello dell’amore, del dono, della dedizione totale. E Gesù, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, interviene a favore del gesto di Maria: "Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura" (Gv12,7). Gesù comprende che Maria ha intuito l’amore di Dio ed indica che ormai la sua "ora" si avvicina, l’"ora" in cui l’Amore troverà la sua espressione suprema sul legno della Croce: il Figlio di Dio dona se stesso perché l’uomo abbia la vita, scende negli abissi della morte per portare l’uomo alle altezze di Dio, non ha paura di umiliarsi "facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce" (Fil 2,8). Sant’Agostino, nel Sermone in cui commenta tale brano evangelico, rivolge a ciascuno di noi, con parole incalzanti, l’invito ad entrare in questo circuito d’amore, imitando il gesto di Maria e ponendosi concretamente alla sequela di Gesù. Scrive Agostino: "Ogni anima che voglia essere fedele, si unisce a Maria per ungere con prezioso profumo i piedi del Signore… Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dallo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore" (In Ioh. evang., 50, 6).

APPROFONDIMENTI


H. U. Von Balthasar.

Maria nel nardo dà il tutto che possiede, ovvero se stessa

Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e la casa si riempì del profumo dell’unguento ». Improvvisamente Maria interrompe questa comune festa tra amici. Essa esce dalla sua contemplazione per porre un'azione che non è comune, di tutti i giorni, ma un'azione del puro servizio, prestato non ad uomini ma a Dio.
Questo servizio non è in linea col servizio di Marta, la quale provvede al corporale. Infatti, Maria provvede ora al compimento di qualcosa che è promesso, Provvede a ciò con la sicurezza dei contemplativi. Essa compie qualcosa che a tutti coloro che non sono contemplativi, appare del tutto sconnesso e discontinuo,; e infatti la connessione del suo gesto risulta unicamente all'interno della contemplazione del Signore. Se prima, quando sedeva ai suoi piedi, si trovava in mezzo alla corrente del suo amore, piangendo dall’amore per l'amore, essa si trova ora nel medesimo amore, ma qui questa corrente, che va dal Padre al Padre, si apre un letto nuovo, attende un impulso nuovo, impulso che il Figlio in quanto uomo deve ricevere dall'uomo-Maria all'interno della vita della contemplazione. La contemplazione della croce deve e sere messa in azione dalla contemplazione di Maria mediante l'atto dell'unzione che nasce da essa.
Qui viene mostrato un nuovo volto dell'amore. Maria aveva scelto la parte migliore, desiderando vivere unicamente dell'amore dei Signore che liberamente dispone. E adesso, dalla sua prima scelta lei sceglie ancora una volta la parte migliore, dirigendo con decisione l'amore del Figlio, amore che lo ha fatto diventare uomo, sulla strada del suo ritorno al Padre.
Ascoltando le parole,di Gesù, essa è stata introdotta a tal punto nei divini misteri trinitari che adesso riceve come direttamente dal Padre la sua direttiva per l'azione, per agire nel nome del Padre nel Figlio, per presentare in modo nuovo al Padre il Figlio nel sua missione, così come il Figlio le aveva già mostrato il Padre e lo Spirito all'interno della sua scelta d'amore. In lei il lasciare-disporre è progredito a tal punto che adesso, superando il Figlio, lascia che avvenga in se stessa la volontà del Padre, per far nuovamente risplendere da qui il centro del Figlio. E’ un modo nuovo della rivelazione della vita consustanziale, trinitaria, nel mondo. Ciò che una divina persona dispone è proprio quello che l'altra si aspetta, anche se non lo esprime direttamente.
Ora Maria porta il nardo e con esso cosparge i piedi di Gesù. Come prima sedeva ai piedi di Gesù, così ora rivolge il suo gesto ai piedi. Ha bisogno per far questo di profumo vero, prezioso, nel quale viene simboleggiato tutto il prezzo che possiede per Dio l'anima donata a Dio. Il Signore conduce una vita di povertà, eppure le sue esigenze non sono quelle della povertà. A meno che povertà non significhi: tutto! subito! Vi è una liberalità che appartiene alla povertà cristiana. Il ricco non viene a capo dei dare - se vuole dare -, egli possiede tanto, una cosa fa vedere l'altra che si potrebbe ancora dare. I suoi giorni non so come non bastano per offrire al Signore tutti i suoi beni... Il povero, che non ha nulla o quasi nulla, è ben presto al termine del suo dare. Se vuole dare, deve dare subito tutto. Possiede così poco che non vale la pena suddividerlo. Il poco però che egli ha e dà, possiede per il Signore il profumo del prezioso nardo. Infatti, esso possiede il profumo del tutto. Una sola cosa è necessaria. Maria dà questa sola cosa, il tutto che possiede, se stessa; sotto la figura del nardo vi è anche tutto quello che lei ha, è qualcosa di prezioso, simboleggia tutto il possesso.

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Joseph Ratzinger - Benedetto XVI. 

Omelia in suffragio del Papa Giovanni Paolo II, Lunedì Santo 2007

Il secondo anniversario della pia dipartita di questo amato Pontefice ricorre in un contesto quanto mai propizio al raccoglimento e alla preghiera: siamo infatti entrati ieri, con la Domenica delle Palme, nellaSettimana Santa, e la Liturgia ci fa rivivere le ultime giornate della vita terrena del Signore Gesù. Oggi ci conduce a Betania, dove, proprio “sei giorni prima della Pasqua” – come annota l’evangelista Giovanni – Lazzaro, Marta e Maria offrirono una cena al Maestro. Il racconto evangelico conferisce un intenso clima pasquale alla nostra meditazione: la cena di Betania è preludio alla morte di Gesù, nel segno dell’unzione che Maria fece in omaggio al Maestro e che Egli accettò in previsione della sua sepoltura (cfr Gv 12,7). Ma è anche annuncio della risurrezione, mediante la presenza stessa del redivivo Lazzaro, testimonianza eloquente del potere di Cristo sulla morte. Oltre alla pregnanza di significato pasquale, la narrazione della cena di Betania reca con sé una struggente risonanza, colma di affetto e di devozione; un misto di gioia e di dolore: gioia festosa per la visita di Gesù e dei suoi discepoli, per la risurrezione di Lazzaro, per la Pasqua ormai vicina; amarezza profonda perché quella Pasqua poteva essere l’ultima, come facevano temere le trame dei Giudei che volevano la morte di Gesù e le minacce contro lo stesso Lazzaro di cui si progettava l’eliminazione.
C’è un gesto, in questa pericope evangelica, sul quale viene attirata la nostra attenzione, e che anche ora parla in modo singolare ai nostri cuori: Maria di Betania a un certo punto, “presa una libbra di olio profumato di vero nardo, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli” (Gv 12,3). E’ uno di quei dettagli della vita di Gesù che san Giovanni ha raccolto nella memoria del suo cuore e che contengono una inesauribile carica espressiva. Esso parla dell’amore per Cristo, un amore sovrabbondante, prodigo, come quell’unguento “assai prezioso” versato sui suoi piedi. Un fatto che sintomaticamente scandalizzò Giuda Iscariota: la logica dell’amore si scontra con quella del tornaconto.
Per noi, riuniti in preghiera nel ricordo del mio venerato Predecessore, il gesto dell’unzione di Maria di Betania è ricco di echi e di suggestioni spirituali. Evoca la luminosa testimonianza che Giovanni Paolo II ha offerto di un amore per Cristo senza riserve e senza risparmio. Il “profumo” del suo amore “ha riempito tutta la casa” (Gv 12,3), cioè tutta la Chiesa. Certo, ne abbiamo approfittato noi che gli siamo stati vicini, e di questo ringraziamo Iddio, ma ne hanno potuto godere anche quanti l’hanno conosciuto da lontano, perché l’amore di Papa Wojtyła per Cristo è traboccato, potremmo dire, in ogni regione del mondo, tanto era forte ed intenso. La stima, il rispetto e l’affetto che credenti e non credenti gli hanno espresso alla sua morte non ne sono forse una eloquente testimonianza? Scrive sant’Agostino, commentando questo passo del Vangelo di Giovanni: “La casa si riempì di profumo; cioè il mondo si è riempito della buona fama. Il buon odore è la buona fama … Per merito dei buoni cristiani il nome del Signore viene lodato” (In Io. evang. tr. 50, 7). E’ proprio vero: l’intenso e fruttuoso ministero pastorale, e ancor più il calvario dell’agonia e la serena morte dell’amato nostro Papa, hanno fatto conoscere agli uomini del nostro tempo che Gesù Cristo era veramente il suo “tutto”.
La fecondità di questa testimonianza, noi lo sappiamo, dipende dalla Croce. Nella vita di Karol Wojtyła la parola “croce” non è stata solo una parola. Fin dall’infanzia e dalla giovinezza egli conobbe il dolore e la morte. Come sacerdote e come Vescovo, e soprattutto da Sommo Pontefice, prese molto sul serio quell’ultima chiamata di Cristo risorto a Simon Pietro, sulla riva del lago di Galilea: “Seguimi … Tu seguimi” (Gv21,19.22). Specialmente con il lento, ma implacabile progredire della malattia, che a poco a poco lo ha spogliato di tutto, la sua esistenza si è fatta interamente un’offerta a Cristo, annuncio vivente della sua passione, nella speranza colma di fede della risurrezione.
Il suo pontificato si è svolto nel segno della “prodigalità”, dello spendersi generoso senza riserve. Che cosa lo muoveva se non l’amore mistico per Cristo, per Colui che, il 16 ottobre 1978, lo aveva fatto chiamare, con le parole del cerimoniale: “Magister adest et vocat te - Il Maestro è qui e ti chiama”? Il 2 aprile 2005, il Maestro tornò, questa volta senza intermediari, a chiamarlo per portarlo a casa, alla casa del Padre. Ed egli, ancora una volta, rispose prontamente col suo cuore intrepido, e sussurrò: “Lasciatemi andare dal Signore” (cfr S. Dziwisz, Una vita con Karol, p. 223).
Da lungo tempo egli si preparava a quest’ultimo incontro con Gesù, come documentano le diverse stesure del suo Testamento. Durante le lunghe soste nella Cappella privata parlava con Lui, abbandonandosi totalmente alla sua volontà, e si affidava a Maria, ripetendo il Totus tuus. Come il suo divino Maestro, egli ha vissuto la sua agonia in preghiera. Durante l’ultimo giorno di vita, vigilia della Domenica della Divina Misericordia, chiese che gli fosse letto proprio il Vangelo di Giovanni. Con l’aiuto delle persone che lo assistevano, volle prender parte a tutte le preghiere quotidiane e alla Liturgia delle Ore, fare l’adorazione e la meditazione. E’ morto pregando. Davvero, si è addormentato nel Signore.
“… E tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento” (Gv 12,3). Ritorniamo a questa annotazione, tanto suggestiva, dell’evangelista Giovanni. Il profumo della fede, della speranza e della carità del Papa riempì la sua casa, riempì Piazza San Pietro, riempì la Chiesa e si propagò nel mondo intero. Quello che è accaduto dopo la sua morte è stato, per chi crede, effetto di quel “profumo” che ha raggiunto tutti, vicini e lontani, e li ha attratti verso un uomo che Dio aveva progressivamente conformato al suo Cristo. Per questo possiamo applicare a lui le parole del primo Carme del Servo del Signore, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: “Ecco il mio servo che io sostengo, / il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; / egli porterà il diritto alle nazioni…” (Is 42,1). “Servo di Dio”: questo egli è stato e così lo chiamiamo ora nella Chiesa, mentre speditamente progredisce il suo processo di beatificazione, di cui è stata chiusa proprio questa mattina l’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità. “Servo di Dio”: un titolo particolarmente appropriato per lui. Il Signore lo ha chiamato al suo servizio nella strada del sacerdozio e gli ha aperto via via orizzonti sempre più ampi: dalla sua Diocesi fino alla Chiesa universale. Questa dimensione di universalità ha raggiunto la massima espansione nel momento della sua morte, avvenimento che il mondo intero ha vissuto con una partecipazione mai vista nella storia.
Cari fratelli e sorelle, il Salmo responsoriale ci ha posto sulla bocca parole colme di fiducia. Nella comunione dei santi, ci sembra di ascoltarle dalla viva voce dell’amato Giovanni Paolo II, che dalla casa del Padre - ne siamo certi -non cessa di accompagnare il cammino della Chiesa: “Spera nel Signore, sii forte, / si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore” (Sal 26,13-14). Sì, si rinfranchi il nostro cuore, cari fratelli e sorelle, e arda di speranza! Con questo invito nel cuore proseguiamo la Celebrazione eucaristica, guardando già alla luce della risurrezione di Cristo, che rifulgerà nella Veglia pasquale dopo il drammatico buio del Venerdì Santo. Il Totus tuus dell’amato Pontefice ci stimoli a seguirlo sulla strada del dono di noi stessi a Cristo per intercessione di Maria, e ce l’ottenga proprio Lei, la Vergine Santa, mentre alle sue mani materne affidiamo questo nostro padre, fratello ed amico perché in Dio riposi e gioisca nella pace. Amen.


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Commento di di mons. Javier Echevarría al Vangelo del Lunedì Santo

Ieri abbiamo ricordato l’ingresso trionfale di Cristo a Gerusalemme: una folla di discepoli e di altre persone lo acclama come Messia e Re d’Israele. Alla fine della giornata, stanco, è tornato a Betania, un villaggio nei pressi della capitale, dove era solito prendere alloggio quando veniva a Gerusalemme. Lì una famiglia amica ha sempre pronto il posto per Lui e per i suoi. Lazzaro, che Gesù aveva risuscitato dai morti, è il capo famiglia; con lui abitano le sorelle Marta e Maria, che aspettano piene di entusiasmo l’arrivo del Maestro, contente di potergli offrire i propri servigi.

Negli ultimi giorni della sua vita sulla terra, Gesù rimane lunghe ore a Gerusalemme, dedito a una predicazione intensissima. La sera riprende le forze in casa dei suoi amici. E a Betania avviene un episodio narrato dal Vangelo della Messa di oggi:

Sei giorni prima della Pasqua – racconta S. Giovanni -, Gesù andò a Betania. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento.

Salta subito agli occhi la generosità di questa donna. Desidera manifestare la sua gratitudine al Maestro per aver restituito la vita al fratello e per tanti altri beni ricevuti, e non bada a spese. Giuda, presente alla cena, calcola esattamente il prezzo del profumo; ma invece di lodare la delicatezza di Maria, si abbandona alla mormorazione: Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento danari per poi darli ai poveri? In realtà, fa notare S. Giovanni, dei poveri non gl’importava; gl’interessava maneggiare il denaro della borsa e rubarne il contenuto.

La valutazione di Gesù è ben diversa, scrive Giovanni Paolo II.Senza nulla togliere al dovere della carità verso gli indigenti, ai quali i discepoli si dovranno sempre dedicare – “i poveri li avete sempre con voi” -, Egli guarda all’evento imminente della sua morte e della sua sepoltura, e apprezza l’unzione che gli è stata praticata quale anticipazione di quell’onore di cui il suo corpo continuerà ad essere degno anche dopo la morte, indissolubilmente legato com’è al mistero della sua persona(Ecclesia de Eucharistia, 47).

Perché sia vera virtù, la carità dev’essere ordinata. E il primo posto è occupato da Dio: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti. Perciò sbagliano quelli che, con la scusa di lenire le necessità materiali degli uomini, di disinteressano delle necessità della Chiesa e dei ministri sacri. Scrive san Josemaría Escrivá:Quella donna che in casa di Simone il lebbroso, a Betania, unge il capo del Maestro con un ricco profumo, ci ricorda il dovere d’essere splendidi nel culto di Dio.
Tutto il lusso, la maestà e la bellezza mi sembrano ben poco.
E, contro coloro che biasimano la ricchezza dei vasi sacri, dei paramenti e delle pale d’altare, si innalza la lode di Gesù: “opus enim bonum operata est in me” – ha compiuto un’opera buona verso di me.

Quante persone si comportano come Giuda! Vedono il bene che fanno gli altri, però non vogliono riconoscerlo: si impegnano a scoprire intenzioni distorte, a criticare, a mormorare, a esprimere giudizi temerari. Riducono la carità a ciò che è solamente materiale (dare qualche moneta a un povero, forse per tranquillizzarsi la coscienza) e dimenticano che – scrive ancora san Josemaría Escrivá – la carità cristiana non si limita a soccorrere chi si trova nel bisogno di beni economici; è rivolta, prima di tutto, a rispettare e a comprendere ogni individuo in quanto tale, nella sua intrinseca dignità di uomo e di figlio del Creatore.

La Vergine Maria si diede completamente al Signore e si è sempre presa cura degli uomini. Oggi le chiediamo di intercedere per noi, affinché, nella nostra vita, l’amore di Dio e l’amore del prossimo si uniscano in una cosa sola, come le due facce di una stessa medaglia.


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COMMENTI PATRISTICI

S. Agostino - L'unzione di Betania

Col caso di Giuda che lo tradì pur essendo uno dei dodici, il Signore c'insegna la tolleranza onde evitare di dividere il corpo di Cristo.
1. Alla lettura evangelica di ieri, intorno alla quale abbiamo detto quello che il Signore ci ha suggerito, segue quella di oggi, sulla quale diremo ciò che il Signore ci vorrà suggerire. Alcune cose nella Scrittura sono chiare e non hanno bisogno di spiegazione, ma di attenzione; in quelle non bisogna indugiare, perché ci rimanga tempo di soffermarci dove è necessario spiegare.
[Cristo nostra Pasqua.]
2. Era vicina la Pasqua dei Giudei (Gv 11, 55). I Giudei vollero insanguinare quel giorno festivo con il sangue del Signore. In quel giorno di festa fu immolato l'Agnello, che con il suo sangue consacrò anche per noi tale giorno. I Giudei avevano deliberato di uccidere Gesù; egli intanto, che era venuto dal cielo per patire, decise di avvicinarsi al luogo della sua passione, essendo l'ora ormai vicina. Molti salirono a Gerusalemme dai dintorni per santificarsi. I Giudei facevano questo in ossequio al precetto del Signore, che era stato dato loro per mezzo del santo Mosè nella legge: esso stabiliva che per la festa di Pasqua da ogni parte tutti si dessero convegno a Gerusalemme per santificarsi mediante la celebrazione di quel giorno. Ma tale celebrazione era ombra di colui che doveva venire. Che significa: era ombra di colui che doveva venire? Significa che era profezia del Cristo venturo, profezia di colui che avrebbe patito per noi in quel giorno: in quel giorno l'ombra avrebbe ceduto il passo alla luce, e la figura sarebbe stata sostituita dalla realtà. I Giudei, dunque, possedevano la Pasqua come ombra, noi come realtà. Perché infatti il Signore aveva prescritto ai Giudei di uccidere l'agnello in quel giorno, se non perché egli stesso era colui del quale era stato vaticinato: Come pecora è stato condotto al macello (Is 53, 7)? Le porte dei Giudei furono segnate col sangue di un animale sacrificato, e le nostre fronti vengono segnate col sangue di Cristo. Di quel rito, che era un simbolo, si dice che era destinato a tener lontano l'angelo sterminatore dalle case le cui porte erano state segnate col sangue (cf. Es 12, 22-23); così il segno di Cristo allontana da noi lo sterminatore, se però il nostro cuore accoglie il Salvatore. Perché dico questo? Perché molti hanno le porte segnate, ma dentro non c'è l'ospite divino. E' facile avere sulla fronte il segno di Cristo, senza accogliere nel cuore la parola di Cristo. Perciò vi ho detto, o fratelli, e vi ripeto che il segno di Cristo allontana da noi lo sterminatore, solo se il nostro cuore accoglie Cristo come ospite. Ho detto questo affinché sia chiaro a tutti il significato di queste feste dei Giudei. E' venuto dunque il Signore per essere immolato, affinché noi avessimo la vera Pasqua, celebrando la sua passione come immolazione dell'Agnello.
3. Cercavano Gesù, ma con cattive intenzioni. Beati coloro che cercano Gesù con retta intenzione. Essi cercavano Gesù in modo tale da restarne privi loro e noi: ma quando si allontanò da loro, noi lo abbiamo accolto. Ci son di quelli che cercano Cristo e vengono biasimati; ce ne sono altri che vengono elogiati. La lode o la riprovazione corrispondono all'intenzione con cui lo si cerca. Anche nei salmi sta scritto: Siano delusi e svergognati coloro che cercano la mia anima (Sal 39, 15): si tratta di quelli che cercano con cattive intenzioni. Ma in un altro salmo si legge: Non c'è scampo per me, nessuno si dà pensiero della mia vita(Sal 141, 5). Sono considerati colpevoli coloro che lo cercano e coloro che non lo cercano. Noi dobbiamo cercare Cristo per averlo: cerchiamolo per possederlo, non per ucciderlo. Sì, è vero, anche quelli lo cercavano per prenderlo, ma per disfarsene al più presto. Locercavano e dicevano tra loro: Che ve ne pare, non verrà alla festa?
[Dove si trova Cristo.]
4. Ora, i gran sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che se qualcuno sapeva dove si trovava, lo denunziasse per arrestarlo (Gv 11, 56). Noi vorremmo indicare adesso ai Giudei dove si trova il Cristo. Volesse il cielo che i discendenti di coloro che dettero l'ordine di denunziare dove si trovava Cristo, ascoltino e s'impadroniscano di lui. Vengano alla Chiesa, ascoltino dove è Cristo, e lo prendano. Lo ascoltino dalla nostra voce, lo apprendano dal Vangelo. E' stato ucciso dai loro antenati, è stato sepolto, è risuscitato, è stato riconosciuto dai discepoli, davanti ai loro occhi è asceso al cielo dove siede alla destra del Padre. Colui che è stato giudicato, verrà per giudicare: ascoltino e lo prendano. Ma diranno: Come posso prenderlo se è assente? Come posso arrivare in cielo con le mie mani per prenderlo, se siede lassù? Arriva fin lassù con la tua fede, e lo avrai. I tuoi padri lo presero fisicamente, tu puoi averlo spiritualmente, poiché Cristo è presente anche se è assente. Se non fosse presente, neppure noi potremmo averlo. Ma siccome è vera la sua parola: Ecco, io sono con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt 28, 20), se ne è andato ed è qui; è ritornato in cielo e non ci ha lasciati: ha portato in cielo il suo corpo, ma con la sua maestà è rimasto nel mondo.
5. Sei giorni prima della festa di Pasqua Gesù venne a Betania, dov'era Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. Là gli fecero una cena; Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali (Gv 12, 1-2). Affinché nessuno prendesse il morto risuscitato per un fantasma, ecco che Lazzaro si era messo a tavola con gli altri: viveva, parlava, banchettava. La verità era davanti agli occhi di tutti e l'incredulità dei Giudei era confusa. Il Signore dunque era a tavola con Lazzaro e gli altri, mentre Marta, una delle sorelle, serviva.
[Il fatto e il mistero.]
6. Maria invece - l'altra sorella di Lazzaro - prese una libbra di un profumo di nardo autentico, di molto valore, e unse i piedi di Gesù, asciugandoli con i suoi capelli, e la casa si riempì del profumo dell'unguento (Gv 12, 3). Abbiamo ascoltato il fatto, cerchiamone ora il significato spirituale. Ogni anima che voglia essere fedele, si unisce a Maria per ungere con prezioso profumo i piedi del Signore. Quel profumo simboleggiava la giustizia; ecco perché pesava una libbra; ed era un profumo di nardo autentico, prezioso. La parola pistici dobbiamo ritenerla come un'indicazione del luogo da cui proveniva quell'unguento prezioso; né tuttavia questo c'impedisce di considerarla atta ad esprimere magnificamente qualcosa di misterioso. In greco infatti significa fede. Ti sforzavi di compiere le opere della giustizia; ebbene, sappi che il giusto vive della fede (Rm 1, 17). Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dàllo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore con i capelli che, appunto, sono considerati come una parte superflua del corpo. Ecco come devi impiegare il superfluo: per te è superfluo, ma per i piedi del Signore è necessario. Accade che sulla terra i piedi del Signore siano bisognosi. A chi, se non alle sue membra, si riferisce la parola che egli pronuncerà alla fine del mondo: Ogni volta che l'avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt 25, 40)? Avete erogato ciò che per voi era superfluo, ma avete soccorso i miei piedi.
7. La casa si riempì di profumo; cioè il mondo si è riempito della buona fama. Il buon odore infatti è la buona fama Coloro che vivono male e si dicono cristiani, fanno ingiuria a Cristo; è di questi che l'Apostolo dice che per colpa loro il nome del Signore viene bestemmiato (Rm 2, 24). Se per colpa loro il nome del Signore è bestemmiato, per merito dei buoni cristiani il nome del Signore viene lodato. Ascoltalo ancora: Noi siamo - egli dice - il buon odore di Cristo in ogni luogo. Anche nel Cantico dei cantici si dice: Un profumo che si espande è il tuo nome (Ct 1, 2). Ma ritorniamo all'Apostolo: In ogni luogo - egli dice - noi siamo il buon odore di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono: per gli uni odore di morte per la morte, e per gli altri odore di vita per la vita. E chi è all'altezza di questo compito? (2 Cor 2, 14-16). La presente lettura del santo Vangelo ci offre l'occasione di parlare di questo buon odore, dandovene una spiegazione sufficiente, che voi vorrete attentamente ascoltare. Ma, avendo detto l'Apostolo: E chi è all'altezza di questo compito?, solo per il fatto che noi ci sforziamo di parlarvene, ci potremo considerare all'altezza di farlo e voi all'altezza di capire queste cose? Noi, certamente non siamo all'altezza; ma lo è colui che si serve di noi per dirvi quanto a voi è utile. L'Apostolo, come egli stesso dice, è ilbuon odore; ma questo buon odore per alcuni è odore di vita per la vita,mentre per altri è odore di morte per la morte. Tuttavia è sempre un buon odore. Dice forse che per gli uni è buon odore per la vita, mentre per gli altri è cattivo odore per la morte? No, egli dice di essere il buon odore, non il cattivo odore, e questo medesimo buon odore è vita per alcuni, morte per altri. Fortunati coloro che nel buon odore trovano la vita; ma chi è più sventurato di chi nel buon odore trova la morte?
8. E come è possibile, si dirà, che uno muoia ucciso dal buon odore? E' quello che si chiede l'Apostolo dicendo: E chi è capace di tanto? E' davvero misteriosa l'azione di Dio per cui il buon odore è vita per i buoni e morte per i cattivi. (C'è forse qui un senso troppo profondo perché io possa penetrarlo); tuttavia, nella misura che il Signore si degna ispirarmi, non posso negarvi quanto sono riuscito a scoprire come ciò avvenga. Ovunque si diffondeva la fama di Paolo apostolo che operava bene, viveva bene, predicava con la parola e confermava con l'esempio la giustizia, dottore mirabile, amministratore fedele. E alcuni lo amavano, mentre altri lo detestavano. Egli stesso nella lettera ai Filippesi parla di certuni che non lealmente, ma per invidia, annunciavano Cristo con l'intenzione - dice - di aggiungere dolore alle mie catene. Ma come reagisce? Quello che importa è che, per pretesto o con sincerità, Cristo venga annunziato (Fil 1, 17-18). Lo annunziano quelli che mi amano, lo annunziano quelli che mi vogliono male: per gli uni il buon odore di Cristo è vita, per gli altri è morte. Ma tuttavia per la predicazione degli uni e degli altri il nome di Cristo viene annunziato, e il mondo si riempie di questo ottimo odore. Se tu hai amato chi agiva bene, nel buon odore hai trovato la vita; se invece ti sei messo contro chi agiva bene, col buon odore ti sei procurato la morte. Forse che tu, procurandoti la morte, hai fatto diventar cattivo il buon odore? No di certo. Non essere malevolo, e il buon odore non ti farà morire.
9. Ascolta infine come anche in questo caso il buon odore sia stato per alcuni fonte di vita, per altri cagione di morte. Dopo che Maria con tanta devozione ebbe compiuto quell'atto di omaggio al Signore, subito uno dei discepoli, Giuda l'Iscariota, quello che stava per tradirlo, disse: Perché non s'è venduto questo unguento per trecento denari e non s'è dato ai poveri? (Gv 12, 4-5). Guai a te, miserabile! Il buon odore ti ha ucciso. Il santo evangelista ci rivela per qual motivo egli parlò così. Se il Vangelo non ci avesse manifestato la vera intenzione di Giuda, anche noi avremmo creduto che egli fosse mosso da amore per i poveri. Invece non era così. E allora per quale motivo aveva parlato? Ascolta il testimone verace: Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro e, tenendo la borsa, portava ciò che vi si metteva dentro (Gv 12, 6). Portava, o asportava? Per ufficio portava, ma rubando asportava.
[Tolleranza per evitare le divisioni.]
10. Ma ascoltate: Giuda non diventò perverso soltanto allorché, corrotto dai Giudei, tradì il Signore. Molti che conoscono il Vangelo superficialmente, credono che Giuda si pervertì solo quando ricevette dai Giudei il denaro per tradire il Signore. Non fu allora che si pervertì; già da prima era ladro, e pervertito seguiva il Signore, perché lo seguiva col corpo, non col cuore. Egli completava il numero dei dodici Apostoli, ma non possedeva la beatitudine apostolica; soltanto come figura occupava il posto del dodicesimo: quando egli cadde, un altro subentrò al suo posto; questo vero apostolo rimpiazzò l'intruso, conservando così il numero apostolico (cf Act 1, 26). Cosa ha voluto insegnare alla sua Chiesa nostro Signore Gesù Cristo conservando un traditore tra i dodici? Cosa ha voluto insegnarci, fratelli miei, se non a tollerare anche i malvagi pur di non dividere il corpo di Cristo? Ecco, tra i santi c'è Giuda, e Giuda è un ladro, e per giunta - non disprezzarlo! - un ladro sacrilego, non un ladro qualsiasi: egli ruba, e ruba la borsa del Signore; ruba denaro, e denaro sacro. Se in tribunale si fa distinzione tra i vari crimini, tra un furto comune e il peculato (cioè il furto del denaro pubblico) e questo furto non si giudica allo stesso modo dell'altro, quanto più severamente si dovrà allora giudicare il ladro sacrilego, cioè colui che ha osato rubare alla Chiesa? Chi ruba alla Chiesa è paragonabile all'iniquo Giuda. Tale era Giuda, e tuttavia andava e veniva con gli undici santi discepoli. Assieme a loro partecipò alla medesima cena del Signore; visse con loro senza tuttavia riuscire a contaminarli. Pietro e Giuda ricevettero il medesimo pane, e tuttavia che parte poteva avere in comune il fedele con l'infedele? Pietro infatti ricevette il pane per la vita, Giuda per la morte. Era di questo pane come di quel buon odore: dà la vita ai buoni e la morte ai cattivi. Infatti chi mangerà indegnamente, si mangia e beve la propria condanna (1 Cor 11, 29); la sua condanna, non la tua. Se la condanna è per lui non per te, sopporta il cattivo tu che sei buono, e giungerai alla ricompensa riservata ai buoni, non sarai condannato alla pena destinata ai cattivi.
11. Tenete conto dell'esempio che il Signore ci ha dato mentre era in terra. Perché volle avere la borsa lui che aveva gli angeli al suo servizio, se non perché l'avrebbe dovuta avere anche la sua Chiesa? Perché accolse un ladro tra i suoi, se non per insegnare alla sua Chiesa a sopportare pazientemente i ladri? E colui che era solito sottrarre il denaro dalla borsa, non esitò a vendere per denaro il Signore stesso. Vediamo come reagisce il Signore. State attenti, fratelli. Non gli dice: Tu parli così perché sei un ladro. Sapeva che era un ladro, ma non lo rivelò; tollerò anzi la sua presenza insegnandoci così, con l'esempio, a tollerare i malvagi in seno alla Chiesa. Gli disse dunque Gesù: Lasciala! essa ha riservato questo unguento al giorno della mia sepoltura (Gv 12, 7). Così annunciò la sua morte.
[Pietro e la Chiesa.]
12. Cerchiamo di comprendere le parole seguenti: I poveri li avrete sempre con voi, me invece non mi avrete sempre (Gv 12, 8). Comprendiamo senza dubbio la prima parte: I poveri li avrete sempre.Ciò che ha detto Gesù è vero. Quando mai la Chiesa è stata senza poveri? Ma che significa: non avrete sempre me? Come bisogna intendere queste parole? Non vi spaventate; erano rivolte a Giuda. E perché allora non ha detto: non avrai, ma ha detto: non avrete, al plurale? Perché Giuda non è uno solo. Quest'unico malvagio rappresenta la società dei malvagi; allo stesso modo che Pietro rappresenta la società dei buoni, anzi il corpo della Chiesa, in quanto però composta di buoni. Poiché se in Pietro non fosse stato presente il sacramento della Chiesa, il Signore non gli avrebbe detto: A te darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai sulla terra resterà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra resterà sciolto nei cieli (Mt 16, 19). Se questo fosse stato detto soltanto a Pietro, la Chiesa non potrebbe farlo. Ma dal momento che, nella Chiesa, avviene la stessa cosa: che quanto è legato in terra resta legato in cielo, e che tutto ciò che è sciolto in terra resta sciolto in cielo; quando infatti scomunica la Chiesa, la scomunica è ratificata in cielo, e chi è riconciliato dalla Chiesa è riconciliato in cielo; se dunque questo avviene nella Chiesa, vuol dire che Pietro, quando ricevette le chiavi, rappresentava la Chiesa. Se nella persona di Pietro erano rappresentati i buoni che esistono nella Chiesa, nella persona di Giuda erano rappresentati i malvagi che esistono nella Chiesa: ad essi è stato detto: non sempre avrete me.Perché dice: non sempre? E perché sempre? Se tu sei buono, se appartieni al corpo della Chiesa, rappresentato da Pietro, hai Cristo ora e nel futuro: ora mediante la fede, mediante il segno della croce, mediante il sacramento del battesimo, mediante il cibo e la bevanda dell'altare. Hai Cristo ora e lo avrai sempre nel futuro; perché quando uscirai da questa vita, raggiungerai colui che disse al ladrone: Oggi sarai con me in paradiso (Lc 23, 43). Se invece ti comporti male, ti illudi di avere Cristo oggi perché entri in chiesa, ti fai il segno della croce, sei battezzato col battesimo di Cristo, ti mescoli alle membra di Cristo, ti accosti all'altare di Cristo: al presente hai Cristo, ma, vivendo male, non lo avrai sempre.
13. La frase i poveri li avrete sempre con voi, non sempre avrete me, può avere anche un altro senso. Anche i buoni possono intenderla rivolta a loro: senza però alcun timore: egli parlava soltanto della sua presenza corporale. Infatti quanto alla sua maestà, alla sua provvidenza, all'ineffabile e invisibile sua grazia, si realizza quanto egli ha detto: Ecco, io sono con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt 28, 20). Ma in quanto alla carne che il Verbo ha assunto, in quanto al fatto che è nato dalla Vergine, catturato dai Giudei, crocifisso, deposto dalla croce, avvolto nella sindone, chiuso nel sepolcro e si è manifestato nella risurrezione, non sempre mi avrete con voi. Perché? Perché, dopo essersi intrattenuto con la sua presenza corporale per quaranta giorni con i suoi discepoli, mentre essi lo seguivano con gli occhi senza poterlo seguire, è asceso al cielo (cf. At 1, 3 9-10) e non è più qui. Egli è in cielo dove siede alla destra del Padre, ed è anche qui, dato che con la sua maestà non si è allontanato dalla terra. In altre parole: secondo la sua maestà sempre abbiamo Cristo con noi, mentre secondo la sua presenza corporale giustamente egli ha detto ai discepoli: Me non sempre mi avrete. La Chiesa ha goduto della sua presenza fisica solo per pochi giorni: ora lo possiede mediante la fede, ma non può vederlo con gli occhi della carne. Pertanto la difficoltà che sorgeva dalle parole:Me non sempre mi avrete, credo possa considerarsi risolta in questi due modi.
14. Ascoltiamo le poche parole che rimangono: Una grande folla di Giudei seppe che Gesù era là e vennero non solamente per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti (Gv 12, 9). Li attirò la curiosità, non la carità; vennero e videro. Ma ascoltate ora la geniale idea dei piccoli uomini impotenti. Di fronte alla risurrezione di Lazzaro, siccome il miracolo si era così rapidamente divulgato suscitando tanto scalpore che era impossibile occultare o negare in alcun modo il fatto, sentite cosa escogitarono. Decisero, i gran sacerdoti, di far morire anche Lazzaro, perché molti Giudei li abbandonavano a causa di lui e credevano in Gesù (Gv 12, 10-11). O stolta deliberazione e cieca crudeltà! Cristo Signore che aveva risuscitato un morto, non avrebbe potuto risuscitare un ucciso? Pensavate forse, col dare la morte a Lazzaro di poter togliere la potenza al Signore? E se per voi c'è differenza tra risuscitare un morto e risuscitare un ucciso, ecco che il Signore ha compiuto l'una e l'altra cosa: ha risuscitato Lazzaro morto e ha risuscitato se stesso ucciso.

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San Cromazio di Aquileia. 


« Tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento »


Dopo aver unto i piedi del Signore, la donna non li ha asciugati con un panno, ma con i suoi capelli, per onorare meglio il Signore... Come uno, assetato, beve l’acqua di un fonte zampillante, questa santa donna ha bevuto alla fonte della santità una grazia deliziosa, per placare la sete della sua fede.

Nel senso allegorico o mistico però, questa donna prefigurava la Chiesa, che ha offerto a Cristo la devozione piena e totale della sua fede... Una libbra contiene dodici once. È questa dunque la misura dell’unguento posseduto dalla Chiesa, che ha ricevuto, come un unguento prezioso, l’insegnamento dei dodici apostoli. Cos’è più prezioso infatti dell’insegnamento degli apostoli che contiene la fede in Cristo e la gloria del Regno dei cieli? Per di più, viene detto che tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento, perché il mondo intero è stato riempito dell’insegnamento degli apostoli: “Per tutta la terra”, come sta scritto, “si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro voce” (Sal 18,8).

Leggiamo nel Cantico dei Cantici questa parola che Salomone fa dire alla Chiesa: “Profumo olezzante è il tuo amore” (1,3). Non senza ragione il nome del Signore è chiamato “profumo olezzante”. Un unguento, lo sapete, finché è conservato in un vaso, custodisce in sé la fortezza del suo profumo; ma appena viene versato o vuotato, allora diffonde il suo profumo odoroso. Allo stesso modo, il nostro Signore e Salvatore mentre regnava in cielo con il Padre, era ignoto al mondo, sconosciuto quaggiù. Ma quando, per la nostra salvezza, si è degnato di abbassarsi, scendendo dal cielo per assumere un corpo umano, allora ha sparso nel mondo la dolcezza e il profumo del suo nome.