mercoledì 17 luglio 2013

La formazione è il futuro della vita consacrata



(Nicola Gori) Tornare all’essenzialità del vangelo, riportare Cristo al centro del cosmo e sempre più vicino all’uomo, raccogliere la sfida della povertà uscendo da se stessi per andare verso le periferie dell’umanità, verso quelle frontiere e quei luoghi dove nessuno vuole andare. Sono le indicazioni di Papa Francesco per la vita consacrata. Lo sottolinea l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in questa intervista al nostro giornale.
Sono trascorsi poco più di tre mesi dalla sua nomina. Certamente avrà già chiara l’idea di quali sono le priorità da affrontare per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica?
Sono principalmente due: quella di animare e promuovere la vita consacrata in tutte le sue forme e manifestazioni, e quella di regolare la pratica dei consigli evangelici in queste varie forme approvate dalla Chiesa. Animare e promuovere la vita consacrata vuol dire accompagnare il cammino dei consacrati, affinché la loro vita e missione si conformino allo spirito dei rispettivi fondatori e fondatrici, alle sane tradizioni delle diverse famiglie carismatiche, e si sviluppino tenendo presente la dottrina della Chiesa e i fini propri dell’Istituto. Il Santo Padre in una lettera che mi ha scritto in occasione della mia ordinazione episcopale mi ricordava la mia missione di pontefice. «Sei pontefice», mi diceva lui, cioè: sono chiamato a essere ponte, mediatore. Vedendo la mia missione nel dicastero, vorrei essere mediatore anche tra i diversi istituti, poiché oggi la vita consacrata deve collaborare tra le diverse realtà, e mediatore, ponte, tra i diversi istituti e la Chiesa. In questo modo aiuterò la vita consacrata a crescere e consolidarsi, un altro aspetto che mi ricordava il Papa Francesco nella lettera citata. Personalmente sono profondamente convinto che questa sia la priorità principale del mio servizio in congregazione.
Quale futuro intravede per i consacrati?
Io sono profondamente convinto che nella vita consacrata ci sia molta vita. A volte questa vita non appare così visibile, poiché, come si suol dire, un albero che cade fa più rumore di un bosco che si mantiene in piedi. Ma questo non vuol dire che non ci sia vita nella vita consacrata. Nel servizio come ministro generale dell’ordine dei frati minori ho percorso diverse volte il mondo, e nei luoghi più difficili e nelle frontiere più povere e lontane ho trovato sempre religiosi, e specialmente religiose, che, vivendo nella logica del dono, danno la loro vita gratuitamente e senza far rumore. Sono loro che in molte parti del mondo, particolarmente nelle periferie, assicurano la presenza della Chiesa. Nella vita consacrata, come in ogni realtà umana e anche ecclesiale, ci sono problemi, ma questi non possono impedirci di vedere la vita. In questo senso penso che a volte c’è molta miopia. Il mio principale servizio nella congregazione, in profonda comunione con il Santo Padre, con il prefetto e con quanti vi lavorano, è quello di mettere in evidenza questa vita e di promuoverla. Per raggiungere tale obiettivo vorrei essere molto vicino a tutti i consacrati, in atteggiamento di dare, ma anche di ricevere. Da quanto posso conoscere, so che loro vogliono questa vicinanza e ne sentono il bisogno, e anche noi del dicastero abbiamo bisogno di questa vicinanza per poter servire meglio la vita consacrata. Questo non comporta chiudere gli occhi ai problemi, ed ecco l’altro aspetto del mio servizio, quello di regolare la vita e la missione dei consacrati quando sia necessario e cercare insieme le soluzioni appropriate. E sottolineo la parola insieme, poiché sono convinto che questo sia il cammino appropriato.
Quali speciali impulsi vengono alla vita consacrata da un Papa che, senza precedenti, ha scelto di chiamarsi Francesco?
Sempre ho detto che la scelta del nome di Francesco da parte del Papa era un programma di vita più che una scelta più o meno inaspettata e certamente ben accolta dalla gente. Dal Papa Francesco la vita consacrata sta ricevendo molti impulsi. Tra questi io sottolineerei i seguenti: tornare all’essenziale, cioè al Vangelo come la forma di vita che unisce tutti i carismi; edificare sulla roccia che è Cristo; assumere la minorità e la kènosis come la nostra vera ricchezza e il nostro modo di stare nel mondo e di situarci nella Chiesa; camminare in trasparenza di vita e con la gente, stando vicini a tutti, particolarmente ai poveri; andare alle frontiere e in quei luoghi disumani, dove nessuno vuole andare. Il Santo Padre ci offre costantemente nuovi impulsi con la sua parola e i suoi gesti. Tocca ai consacrati, e non solo a loro, saper accogliere detti impulsi e tradurli in vita. Questo renderebbe molto più significativa la vita e la missione della vita consacrata.
Parlando ai partecipanti all’assemblea plenaria dell’Unione internazionale delle superiore generali il Papa ha sottolineato un aspetto che fa riflettere perché ha detto: «La vostra vocazione è un carisma fondamentale per il cammino della Chiesa, e non è possibile che una consacrata e un consacrato non “sentano” con la Chiesa».
Certamente noi consacrati siamo ben coscienti che la nostra vita è per la Chiesa e forma parte della Chiesa, fino al punto che non si può concepire al margine della Chiesa. I consacrati sono chiamati a “sentire” con la Chiesa e nella Chiesa, e come Chiesa a vivere la propria vita e missione. Questo è un aspetto irrinunciabile della vita consacrata. Allo stesso tempo però, non si deve dimenticare, come affermato da Papa Francesco, che la vita consacrata «è un carisma fondamentale per il cammino della Chiesa» (Francesco alle superiore generali, maggio 2013), è una realtà voluta dallo stesso Gesù come parte “irremovibile” della Chiesa (BenedettoXVI ai vescovi brasiliani nella visita ad limina il 20 novembre 2010). Quindi, né vita consacrata senza camminare e sentire con la Chiesa, né Chiesa senza vita consacrata. Questo lo dico pensando particolarmente ai “profeti di sventura” — come li ha chiamati Benedetto XVI — che profetizzano la fine della vita consacrata, e alle diocesi, dove, in alcuni casi, pochi a dire il vero, non sempre è facile la relazione tra i doni gerarchici e quelli carismatici. Si deve ricordare, come si legge nella proposizione 43 dell’ultimo Sinodo dei vescovi, che questi doni non entrano in concorrenza e competitività, ma che sono coessenziali alla vita della Chiesa e alla sua missione. Come ben diceva Benedetto XVInell’udienza ricordata, si tratta, quindi, di superare tre tentazioni sempre minacciose: isolamento e indipendenza da parte della vita consacrata, e assorbimento da parte della Chiesa particolare.
I movimenti ecclesiali hanno sostituito la vita consacrata nella Chiesa?
No. Nella Chiesa c’è posto per tutti. La vita consacrata, come ho ricordato prima, mai potrà mancare o morire nella Chiesa. E che questo sia vero lo sta dimostrando la nascita di nuovi Istituti che vengono approvati dalla Chiesa e che, insieme a carismi con molti secoli di esistenza, manifestano la bellezza della stessa Chiesa. E poi — lo si deve ricordare sempre — i veri carismi, proprio perché vengono dalla Spirito, non sono mai escludenti, ma si aprono gli uni gli altri. Per me questo è un segno dell’autenticità di un carisma. Quindi, le diverse forme di vita nella Chiesa non si possono mai vedere come contrapposte, ma in correlazione e complementarità, perché ognuna esprime un accento, un segno, un gesto della gratuità del Signore, tutti necessari per la ricchezza della Chiesa. Le diverse forme di vita cristiana si devono leggere in complementarità e sono la migliore espressione della pluralità di cui ha bisogno la sequela del Signore.
La crisi economica e la povertà crescente di fasce sempre più ampie della popolazione interpellano anche i religiosi. Papa Francesco indica proprio la povertà come sfida da raccogliere. Per i religiosi dovrebbe esserlo in modo particolare. È così?
Effettivamente, la crisi economica e la crescente povertà nel momento attuale non possono lasciarci indifferenti, particolarmente quanti hanno fatto liberamente voto di povertà. Molto è quello che i consacrati fanno nel campo della solidarietà con gli ultimi. Di questo sono testimone diretto. Ma in questo contesto noi consacrati siamo chiamati a riflettere su come rendere più trasparente il nostro voto di povertà, tante volte offuscato anche dalle nostre strutture. Il voto di povertà, tra le altre cose, ci chiede sempre, ma particolarmente in questo momento, essenzialità, frugalità e semplicità nella nostra vita, niente sprechi; ci sta chiedendo vicinanza ai poveri, solidarietà e comunione reale con loro, denuncia delle cause di povertà, giustizia verso di essi e trasparenza nella gestione dei nostri beni; ci chiede di riconvertire strutture non utilizzate per lo scopo per cui furono create, e anche di rivedere l’attività caritativa; ci chiede, in definitiva, di tornare alle opzioni di vita dei nostri fondatori e fondatrici. Questi, in un modo o in un altro hanno vissuto per i poveri e come loro. In questo contesto abbiamo bisogno di molta creatività. Penso alla creatività che nel medioevo hanno avuto i francescani creando i monti di pietà per venire incontro a forme di povertà dovute all’usura; penso alla possibilità di micro crediti, particolarmente ai giovani che iniziano una nuova vita. Nella lotta contro la crescente povertà, oltre alla giustizia, ci vuole molta creatività, secondo gli ambienti e le forme di povertà. La situazione attuale interroga il nostro modo di vivere la povertà e, allo stesso tempo, è un momento privilegiato per vivere in maniera sicuramente nuova il nostro essere poveri.
L'Osservatore Romano