venerdì 5 luglio 2013

"Una risposta positiva all'uomo disorientato e senza speranza"


(Silvia Guidi) La domanda meno prevedibile è stata: «Perché l’ordine è inverso?». Il giornalista del «The Wall Street Journal», presente all’incontro di presentazione della Lumen fidei che si è svolto presso la Sala Stampa della Santa sede il 5 luglio, non si è soffermato sulla questione dell’attribuzione — dove finisce la stesura di Benedetto XVI e dove inizia il testo scritto da Papa Francesco nella prima enciclica della storia scritta a quattro mani — un dibattito che, comprensibilmente, ha quasi monopolizzato lo spazio domande a fine incontro.
 L’ordine inverso fa riferimento, invece, alla trilogia che dalla Deus caritas est passando per la Spe salvi, fino ad arrivare alla recentissima Lumen fidei accompagna il cristiano a riscoprire le tre virtù cardinali, obiettivo e strumento del cammino: fides, spes e caritas, fede, speranza e carità. Nell’ordine fissato dalla tradizione, la fede viene per prima, la carità per ultima; evidentemente c’è un preciso messaggio in questa scelta, ha concluso il giornalista del quotidiano economico americano.
L’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, che ha presentato l’enciclica insieme al cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e al prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, ha risposto dicendo che il “primato dell’amore” origine e fondamento di tutto ha una solida base scritturale: nella prima lettera di Giovanni si parla esplicitamente della natura di Dio come àgape.
«La speranza — ha continuato il cardinale Marc Ouellet — è il fidarsi di Dio sempre, anche nella prova, certi che non c’è delusione per chi si affida al Signore, mentre la fede potremmo definirla come il momento dell’accoglienza, dell’adesione all’amore». La carità invece è un movimento, è la fede che diventa azione, deriva «dallo “sposare” il movimento stesso dell’amore».
Alla domanda esplicita su quali siano le parti da attribuire a Benedetto XVI e quali a Papa Bergoglio, sia Müller che Ouellet hanno inizialmente risposto con una battuta: «non è un patchwork» e «quando l’hanno scritta non c’ero!».
Non serve a molto sezionare e disarticolare questo testo ha poi aggiunto Ouellet: «Nell’enciclica c’è molto di Benedetto XVI e c’è tutto di Francesco, perché ha assunto il testo nel suo ruolo di testimone della fede. Non dobbiamo cercare la frase dell’uno o dell’altro». «È un testo unico, unitario», ha ribadito Müller.
«Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede» si legge nell’enciclica. «Che significa, in concreto, nella vita di tutti i giorni, che il cristiano non deve essere arrogante?» ha chiesto Giuseppe Rusconi, del «Corriere del Ticino». «Una verità comune — sottolinea il testo della Lumen fidei — ci fa paura, perché la identifichiamo con l’imposizione intransigente dei totalitarismi. Se però la verità è la verità dell’amore, se è la verità che si schiude nell’incontro personale con l’Altro e con gli altri, allora resta liberata dalla chiusura nel singolo e può fare parte del bene comune che è la fede».
«La verità non può mai offendere nessuno — ha risposto Rino Fisichella, citando Giovanni Paolo II — dobbiamo sempre essere pronti a rendere ragione della speranza che è in noi, come si legge nella prima lettera di Pietro; è l’estremizzazione della verità che rende arroganti e fondamentalisti».
«La voce profetica, di critica e di denuncia — ha continuato Müller — deve essere sempre libera di alzarsi», «ma la verità è una ricerca compiuta insieme. È una grazia donata, la certezza donata — ha concluso Ouellet — per essere condivisa. Serve audacia, comunque nel denunciare i mali che ci sono. E nel servire». Più volte, durante l’incontro è stata ricordata la figura di Romano Guardini «uno dei più grandi teologi del Novecento», molto amato sia da Benedetto XVI che da Papa Francesco, e si è parlato della prosa limpida e scorrevole dell’enciclica: «Intimorisce di meno parlare di eternità e “per sempre” se si usa l’espressione “dono dell’avvenire tutto intero”».
L'Osservatore Romano

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Monsignor Fisichella riflette con la stampa sui contenuti della "Lumen Fidei"


Non essendo stata firmata da Benedetto XVI non può essere considerata il completamento di una ‘trilogia ratzingeriana’, tuttavia l’enciclica Lumen Fideirappresenta il terzo e ultimo tassello di una vera e propria trilogia sulle virtù teologali, ovvero i fondamenti del Catechismo e della nostra Chiesa.
Lo ha detto stamattina, monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, conversando con i giornalisti a margine della conferenza stampa di presentazione della prima enciclica di papa Francesco.
Rispondendo ad una domanda sul n°34 della Lumen Fidei – che afferma che “il credente non è arrogante” e che “la verità lo fa umile” – monsignor Fisichella ha spiegato che questo assunto ha le sue radici nella Prima Lettera di San Pietro che raccomanda ai cristiani di “dare ragione della fede e della speranza” che è in loro, “con dolcezza, con rispetto e con retta coscienza” (1Pt 3,15).
Con un linguaggio più moderno ed accessibile, papa Francesco riafferma quindi l’insegnamento del suo più antico Predecessore e ricorda che “chi ha fede non si irrigidisce nella sua sicurezza di fede”.
L’arroganza si manifesta in un credente qualora questi voglia “estremizzare la verità”, ovvero pretendere di leggere tutta la realtà, servendosi soltanto di “un frammento di verità”: in tal modo “si diventa non solo arroganti ma anche fondamentalisti”, ha osservato Fisichella.
A sostegno di tale passaggio della prima enciclica bergogliana, il presule ha ricordato che il beato Giovanni Paolo II aveva scritto che “la verità non può offendere nessuno” (cfr. Fides et ratio).
Con riferimento alla continuità o meno con il precedente pontificato, Fisichella ha affermato che effettivamente la Lumen fidei mostra “temi cari non solo a Benedetto XVI ma a tutta la teologia” e che, quindi, “è facile trovare questa dimensione nell’enciclica”.
Tuttavia, papa Francesco “ha voluto dare la sua impronta al testo”, manifestando così “la capacità di essere concreti” e mostrando che “la fede non è soltanto una problematica ma anche una risposta positiva che viene data ai problemi dell’uomo contemporaneo”.
ZENIT ha domandato a monsignor Fisichella come vada inquadrata la nuova enciclica nell’ottica dell’Anno della Fede. “Lo scopo dell’enciclica era proprio quello di dare all’Anno della Fede un suo percorso ed aiutare i cristiani, terminato l’Anno della Fede, a riflettere su un aspetto così importante come quello della fede”, ha risposto il vescovo.
Quando nel 2010 a papa Benedetto XVI fu proposto di indire un Anno della Fede, per l’occasione accettò anche di scrivere un’enciclica che, di fatto, sarebbe diventata il completamento della trilogia iniziata con Deus Caritas Est e proseguito con Spes Salvi.
“Questo pensiero – ha spiegato Fisichella - lo ha accolto con forte convincimento anche papa Francesco: nel mezzo dell’Anno della Fede, il Santo Padre dà alla Chiesa e a tutti i cristiani un motivo in più per riflettere sull’esperienza che si è fatta quest’anno”.
La fede cristiana non è puramente ascetica ma ben ancorata alla realtà dell’uomo ed aiuta a comprenderla: questa verità è ribadita con forza nella Lumen fidei e, come fa notare monsignor Fisichella, anche tale concetto trova fondamento nelle Scritture.
San Giacomo, infatti, afferma: “Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2,18).
“Il Papa lo afferma nell’ultimo capitolo: la fede è anche responsabilità nella costruzione di una città che diventa affidabile; chi crede non si allontana dai problemi del mondo, chi crede vive intensamente i problemi del mondo e ne è immerso ma vive con quella compagnia della fede che lo aiuta a dare una risposta ai problemi che ci sono”, ha proseguito il responsabile del Dicastero della Nuova Evangelizzazione.
I problemi del mondo, ha aggiunto, non sono solo di carattere “economico o finanziario”: la vera crisi di questi decenni è “antropologica” ed è l’uomo ad essere in crisi. “Un’enciclica sulla fede aiuta dunque a dare una risposta positiva a un uomo spesso disorientato e senza speranza”, ha quindi concluso Fisichella.
Marcolivio

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“Lumen fidei”, “La luce della fede”: si intitola così la prima Enciclica di Papa Francesco, pubblicata oggi. Indirizzata a vescovi, presbiteri, diaconi, consacrati e a tutti i fedeli laici, e suddivisa in quattro capitoli, l’Enciclica – spiega Papa Francesco – era già stata “quasi completata” da Benedetto XVI. A quella “prima stesura” l’attuale Pontefice ha aggiunto “ulteriori contributi”. Obiettivo del documento è recuperare il carattere di luce proprio della fede, capace di illuminare tutta l’esistenza umana. 
Chi crede, vede. Chi crede, non è mai solo, perché la fede è un bene per tutti, un bene comune che aiuta a distinguere il bene dal male, a edificare le nostre società, donando speranza. È questo il cuore della Lumen fidei: quello di una fede che non separa l’uomo dalla realtà, ma lo aiuta a coglierne il significato più profondo. In un’epoca come quella moderna- scrive il Papa- in cui il credere si oppone al cercare e la fede è vista come un’illusione, un salto nel vuoto che impedisce la libertà dell’uomo, è importante fidarsi ed affidarsi, umilmente e con coraggio, all’amore misericordioso di Dio che raddrizza le storture della nostra storia. 

Testimone affidabile della fede è Gesù, attraverso il quale Dio opera veramente nella storia. Chi crede in Gesù non solo guarda a Lui, ma anche dal Suo punto di vista. E come nella vita quotidiana ci affidiamo all’architetto, al farmacista, all’avvocato, che conoscono le cose meglio di noi, così per la fede ci affidiamo a Gesù, esperto nelle cose di Dio, colui che ci spiega Dio. La fede non è un fatto privato- sottolinea il Pontefice- perché si confessa all’interno della Chiesa, come comunione concreta dei credenti. E in questo modo, l’esistenza credente diventa esistenza ecclesiale. 

Quindi, il Papa dimostra lo stretto legame tra fede, verità e amore, quelle affidabili di Dio. La fede senza verità non salva –dice il Pontefice- Resta solo una bella fiaba, soprattutto oggi in cui si vive una crisi di verità a causa di una cultura che crede solo alla tecnologia o alle verità del singolo, a vantaggio dell’individuo e non del bene comune. Il grande oblio del mondo contemporaneo- evidenzia il Papa- è il rifiuto della verità grande, è il dimenticare la domanda su Dio, perché si teme il fanatismo e si preferisce il relativismo. Al contrario, la fede non è intransigente, il credente non è arrogante perché la verità che deriva dall’amore di Dio non si impone con la violenza e non schiaccia il singolo. Per questo è possibile il dialogo tra fede e ragione: innanzitutto, perché la fede risveglia il senso critico ed allarga gli orizzonti della ragione; in secondo luogo, perché Dio è luminoso e può essere trovato anche dai non credenti che lo cercano con cuore sincero. Chi si mette in cammino per praticare il bene- sottolinea il Papa- si avvicina già a Dio.

Altro punto essenziale della Lumen fidei è l’evangelizzazione: chi si è aperto all’amore di Dio- dice il Pontefice- non può tenere questo dono solo per sé. Come una fiamma si accende dall’altra, così la luce di Gesù brilla sul volto dei cristiani e si trasmette di generazione in generazione, attraverso i testimoni della fede. È forte, quindi, il legame tra fede e memoria, perché l’amore di Dio tiene uniti tutti i tempi e ci rende contemporanei a Gesù. 

C’è, però, un mezzo speciale con cui la fede può trasmettersi: sono i Sacramenti. Innanzitutto, il Battesimo, che ci ricorda che la fede deve essere ricevuta, in comunione ecclesiale, perché nessuno battezza se stesso, e che mette in risalto la sinergia tra la Chiesa e la famiglia, nella trasmissione della fede. Poi, l’Eucaristia, nutrimento prezioso della fede che ci insegna a vedere la profondità del reale. E ancora, la confessione di fede del Credo e la preghiera del Padre Nostro, che coinvolgono il credente nelle verità che confessa e lo fanno vedere con gli occhi di Cristo. Infine, i Dieci Comandamenti, che non sono un insieme di precetti negativi, ma indicazioni concrete per entrare in dialogo con Dio. La fede è una, sottolinea ancora il Papa, e l’unità della fede è l’unità della Chiesa. 

Nel suo ultimo capitolo, la Lumen fidei spiega il legame tra il credere e il costruire il bene comune: la fede, che nasce dall’amore di Dio, rende saldi i vincoli tra gli uomini e si pone al servizio della giustizia, del diritto, della pace. Essa non allontana dal mondo, scrive il Papa, anzi: se la togliamo dalle nostre città, perdiamo la fiducia tra noi e restiamo uniti solo per paura o per interesse. Sono tanti, invece, gli ambiti illuminati dalla fede: la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione stabile tra uomo e donna; il mondo dei giovani che desiderano ”una vita grande” e ai quali “l’incontro con Cristo dona una speranza solida che non delude”. “La fede non è un rifugio per gente senza coraggio- afferma il Pontefice- ma la dilatazione della vita” e in quest’ambito le GMG permettono ai giovani di mostrare la gioia della fede e l’impegno a viverla in modo saldo e generoso. 

La fede illumina anche la natura, ci aiuta a rispettarla, a “trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità o sul profitto, ma che considerino il creato come un dono”; ci insegna ad individuare forme giuste di governo, in cui l’autorità viene da Dio ed è a servizio del bene comune; ci offre la possibilità del perdono che porta a superare i conflitti. “Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno”, ricorda il Papa. Per questo, non dobbiamo vergognarci di confessare pubblicamente Dio, in quanto la fede illumina tutto il vivere sociale. 

Anche la sofferenza e la morte ricevono un senso dall’affidarsi a Dio, scrive il Pontefice: all’uomo che soffre il Signore non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua presenza che accompagna. In questo senso, la fede è congiunta alla speranza. E qui il Papa lancia un appello: “Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino”. L’Enciclica si conclude, quindi, con una preghiera a Maria, “icona perfetta” della fede, affinché ci insegni a guardare con gli occhi di Gesù.
 Radio Vaticana