lunedì 23 settembre 2013

Benedetto XVI: "ll. mo Signor Professore Odifreddi, Le racconto chi era Gesù..."


Ratzinger: "Caro Odifreddi  le racconto chi era Gesù"





Odifreddi: "Così Ratzinger mi ha risposto"


Il matematico racconta: "Mi è arrivata una busta sigillata, dentro, undici pagine che iniziavano con una richiesta di scuse per il ritardo"
Pochissime persone al mondo, ed Eugenio Scalfari è una di queste, possono comprendere la sorpresa e l'emozione che si provano nel ricevere a casa propria un'inaspettata lettera di un Papa. Una sorpresa e un'emozione che non vengono scalfite dal fatto di essere dei miscredenti, perché l'ateismo riguarda la ragione, mentre le personalità e i simboli del potere agiscono sui sentimenti. 

A me questa sorpresa e quest'emozione sono capitate il 3 settembre, quando il postino mi ha recapitato una busta sigillata, contenente 11 pagine protocollo datate 30 agosto, nelle quali Benedetto xvi rispondeva al mio Caro papa, ti scrivo (Mondadori, 2011). Una risposta che mi ha sorpreso per due ragioni. Anzitutto, perché un Papa ha letto un libro che, fin dalla copertina, veniva presentato come una "luciferina introduzione all'ateismo". E poi, perché l'ha voluto commentare e discutere. 

Poco dopo le dimissioni di Ratzinger, avevo approfittato di un amico comune per chiedere all'arcivescovo Georg Gänswein se fosse possibile recapitare all'ormai Papa emerito una copia del mio libro, nella speranza che lo potesse vedere. E in seguito, in un paio di occasioni, mi era stato detto dapprima che l'aveva ricevuto e poi che lo stava leggendo. Ma che potesse rispondermi, e addirittura commentarlo in profondità, era al di là delle ragionevoli speranze. 

Aprire la busta e trovarci 11 fitte pagine, che iniziavano con una richiesta di scuse per il ritardo nella risposta, e un'offerta di ringraziamenti per la lealtà della trattazione, era la realizzazione del massimo delle aspettative possibili, in un mondo che di solito non ne realizza che il minimo. Ed era anche la soddisfazione di veder finalmente presi sul serio e non rimossi, benché non condivisi, i miei argomenti a favore dell'ateismo e contro la religione in generale, e il cattolicesimo in particolare. 

D'altronde, non era certo un caso che avessi indirizzato la mia lettera aperta a Ratzinger. Dopo aver letto la sua Introduzione al Cristianesimo, suggeritami da Sergio Valzania, avevo capito che la fede e la dottrina di Benedetto xvi, a differenza di quelle di altri, erano sufficientemente salde e agguerrite da poter benissimo affrontare e sostenere attacchi frontali. Un dialogo con lui, benché allora immaginato soltanto a distanza, poteva dunque rivelarsi un'impresa stimolante e non banale, da affrontare a testa alta. 

Scrivendo il mio libro come un commento al suo, avevo cercato di favorire la pur remota possibilità che un giorno il destinatario potesse effettivamente riceverlo. Avevo dunque abbassato i toni sarcastici di altri saggi, scegliendo uno stile di scambio tra professori "alla pari", ovviamente nel senso accademico dell'espressione. E mi ero concentrato sugli argomenti intellettuali che potevo sperare avrebbero mantenuta viva la sua attenzione, pur senza rinunciare ad affrontare di petto i problemi interni della fede e i suoi rapporti esterni con la scienza. 

L'approccio evidentemente non era sbagliato, visto che ha raggiunto il suo scopo: che, ovviamente, non era cercare di "sconvertire il Papa", bensì esporgli onestamente le perplessità, e a volte le incredulità, di un matematico qualunque sulla fede. Analogamente, la lettera di Benedetto xvi non cerca di "convertire l'ateo", ma gli ritorce contro onestamente le proprie simmetriche perplessità, e a volte le incredulità, di un credente molto speciale sull'ateismo. 

Il risultato è un dialogo tra fede e ragione che, come Benedetto xvi nota, ha permesso a entrambi di confrontarci francamente, e a volte anche duramente, nello spirito di quel Cortile dei Gentili che lui stesso aveva voluto nel 2009. Se ho atteso qualche settimana a rendere pubblica la sua partecipazione al dialogo, è perché volevo essere sicuro che egli non volesse mantenerla privata. 

Ora che ne ho ricevuto la conferma, anticipo qui una parte della sua lettera, che è comunque troppo lunga e dettagliata per essere riportata integralmente, soprattutto nelle sezioni filosofiche iniziali. Lo sarà a breve in una nuova versione del mio libro, sfrondato delle parti sulle quali lui ha deciso di non soffermarsi, e ampliata con un resoconto della nascita e degli sviluppi di quello che risulta essere un unicum nella storia della Chiesa: un dialogo fra un papa teologo e un matematico ateo. Divisi in quasi tutto, ma accomunati almeno da un obiettivo: la ricerca della Verità, con la maiuscola. 

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Stralci della lettera di Benedetto XVI al matematico Piergiorgio Odifreddi 

ll. mo Signor Professore Odifreddi, (...) vorrei ringraziarLa per aver cercato fin nel dettaglio di confrontarsi con il mio libro e così con la mia fede; proprio questo è in gran parte ciò che avevo inteso nel mio discorso alla Curia Romana in occasione del Natale 2009. Devo ringraziare anche per il modo leale in cui ha trattato il mio testo, cercando sinceramente di rendergli giustizia.

Il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell'avventatezza dell'argomentazione. (...)

Più volte, Ella mi fa notare che la teologia sarebbe fantascienza. A tale riguardo, mi meraviglio che Lei, tuttavia, ritenga il mio libro degno di una discussione così dettagliata. Mi permetta di proporre in merito a tale questione quattro punti:

1. È corretto affermare che "scienza" nel senso più stretto della parola lo è solo la matematica, mentre ho imparato da Lei che anche qui occorrerebbe distinguere ancora tra l'aritmetica e la geometria. In tutte le materie specifiche la scientificità ha ogni volta la propria forma, secondo la particolarità del suo oggetto. L'essenziale è che applichi un metodo verificabile, escluda l'arbitrio e garantisca la razionalità nelle rispettive diverse modalità.

2. Ella dovrebbe per lo meno riconoscere che, nell'ambito storico e in quello del pensiero filosofico, la teologia ha prodotto risultati durevoli.

3. Una funzione importante della teologia è quella di mantenere la religione legata alla ragione e la ragione alla religione. Ambedue le funzioni sono di essenziale importanza per l'umanità. Nel mio dialogo con Habermas ho mostrato che esistono patologie della religione e - non meno pericolose - patologie della ragione. Entrambe hanno bisogno l'una dell'altra, e tenerle continuamente connesse è un importante compito della teologia.

4. La fantascienza esiste, d'altronde, nell'ambito di molte scienze. Ciò che Lei espone sulle teorie circa l'inizio e la fine del mondo in Heisenberg, Schrödinger ecc., lo designerei come fantascienza nel senso buono: sono visioni ed anticipazioni, per giungere ad una vera conoscenza, ma sono, appunto, soltanto immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà. Esiste, del resto, la fantascienza in grande stile proprio anche all'interno della teoria dell'evoluzione. Il gene egoista di Richard Dawkins è un esempio classico di fantascienza. Il grande Jacques Monod ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza. Cito: "La comparsa dei Vertebrati tetrapodi... trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo "scelse" di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell'evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari..." (citato secondo l'edizione italiana Il caso e la necessità, Milano 2001, pagg. 117 e sgg.). 

In tutte le tematiche discusse finora si tratta di un dialogo serio, per il quale io - come ho già detto ripetutamente  -  sono grato. Le cose stanno diversamente nel capitolo sul sacerdote e sulla morale cattolica, e ancora diversamente nei capitoli su Gesù. Quanto a ciò che Lei dice dell'abuso morale di minorenni da parte di sacerdoti, posso  -  come Lei sa  -  prenderne atto solo con profonda costernazione. Mai ho cercato di mascherare queste cose. Che il potere del male penetri fino a tal punto nel mondo interiore della fede è per noi una sofferenza che, da una parte, dobbiamo sopportare, mentre, dall'altra, dobbiamo al tempo stesso, fare tutto il possibile affinché casi del genere non si ripetano. Non è neppure motivo di conforto sapere che, secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili. In ogni caso, non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo.

Se non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli. Bisogna ricordare le figure grandi e pure che la fede ha prodotto  -  da Benedetto di Norcia e sua sorella Scolastica, a Francesco e Chiara d'Assisi, a Teresa d'Avila e Giovanni della Croce, ai grandi Santi della carità come Vincenzo dè Paoli e Camillo de Lellis fino a Madre Teresa di Calcutta e alle grandi e nobili figure della Torino dell'Ottocento. È vero anche oggi che la fede spinge molte persone all'amore disinteressato, al servizio per gli altri, alla sincerità e alla giustizia. (...)

Ciò che Lei dice sulla figura di Gesù non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po' più competente da un punto di vista storico. Le raccomando per questo soprattutto i quattro volumi che Martin Hengel (esegeta dalla Facoltà teologica protestante di Tübingen) ha pubblicato insieme con Maria Schwemer: è un esempio eccellente di precisione storica e di amplissima informazione storica. Di fronte a questo, ciò che Lei dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere. Che nell'esegesi siano state scritte anche molte cose di scarsa serietà è, purtroppo, un fatto incontestabile. Il seminario americano su Gesù che Lei cita alle pagine 105 e sgg. conferma soltanto un'altra volta ciò che Albert Schweitzer aveva notato riguardo alla Leben-Jesu-Forschung (Ricerca sulla vita di Gesù) e cioè che il cosiddetto "Gesù storico" è per lo più lo specchio delle idee degli autori. Tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l'importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l'annuncio e la figura di Gesù. 

(...) Inoltre devo respingere con forza la Sua affermazione (pag. 126) secondo cui avrei presentato l'esegesi storico-critica come uno strumento dell'anticristo. Trattando il racconto delle tentazioni di Gesù, ho soltanto ripreso la tesi di Soloviev, secondo cui l'esegesi storico-critica può essere usata anche dall'anticristo - il che è un fatto incontestabile. Al tempo stesso, però, sempre - e in particolare nella premessa al primo volume del mio libro su Gesù di Nazaret - ho chiarito in modo evidente che l'esegesi storico-critica è necessaria per una fede che non propone miti con immagini storiche, ma reclama una storicità vera e perciò deve presentare la realtà storica delle sue affermazioni anche in modo scientifico. Per questo non è neppure corretto che Lei dica che io mi sarei interessato solo della metastoria: tutt'al contrario, tutti i miei sforzi hanno l'obiettivo di mostrare che il Gesù descritto nei Vangeli è anche il reale Gesù storico; che si tratta di storia realmente avvenuta. (...)

Con il 19° capitolo del Suo libro torniamo agli aspetti positivi del Suo dialogo col mio pensiero. (...) Anche se la Sua interpretazione di Gv 1,1 è molto lontana da ciò che l'evangelista intendeva dire, esiste tuttavia una convergenza che è importante. Se Lei, però, vuole sostituire Dio con "La Natura", resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla. Vorrei, però, soprattutto far ancora notare che nella Sua religione della matematica tre temi fondamentali dell'esistenza umana restano non considerati: la libertà, l'amore e il male. Mi meraviglio che Lei con un solo cenno liquidi la libertà che pur è stata ed è il valore portante dell'epoca moderna. L'amore, nel Suo libro, non compare e anche sul male non c'è alcuna informazione. Qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione. Ma la Sua religione matematica non conosce alcuna informazione sul male. Una religione che tralascia queste domande fondamentali resta vuota.

Ill. mo Signor Professore, la mia critica al Suo libro in parte è dura. Ma del dialogo fa parte la franchezza; solo così può crescere la conoscenza. Lei è stato molto franco e così accetterà che anch'io lo sia. In ogni caso, però, valuto molto positivamente il fatto che Lei, attraverso il Suo confrontarsi con la mia Introduzione al cristianesimo, abbia cercato un dialogo così aperto con la fede della Chiesa cattolica e che, nonostante tutti i contrasti, nell'ambito centrale, non manchino del tutto le convergenze.

Con cordiali saluti e ogni buon auspicio per il Suo lavoro.

Repubblica

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Ravasi: "Da Benedetto XVI una lezione di dialogo nello stile del Cortile"

Nuovo appuntamento romano per il ‘Cortile dei gentili’, la struttura vaticana dedicata al dialogo con i non credenti gestita dal Pontificio Consiglio della Cultura. All Tempio di Adriano, in Piazza di Pietra, va in scena ‘Il Cortile dei giornalisti’ con l’intento di stabilire una prima riflessione tra operatori dell’informazione credenti e non su varie tematiche. Protagonisti saranno, questa volta, alcuni dei più importanti direttori della carta stampata. Ad aprire l’incontro un dialogo tra il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, e icardinale Gianfranco Ravasi,presidente del dicastero della cultura, che – ai nostri microfoni – riassume le principali tematiche di questo nuovo ‘Cortile’ e riflette sull’attuale rapporto fede e giornalismo. “La riflessione più suggestiva credo si possa condurre prima di tutto sulla categoria ‘verità’ – spiega il porporato - che è una delle categorie fondamentali, anche nell’interno della comunicazione stessa. Un altro capitolo è il capitolo della ‘persona’, perché naturalmente viene coinvolta nella comunicazione, qualche volta anche in maniera aggressiva, e quindi sarà da riflettere anche su una sorta di deontologia della comunicazione. Un terzo motivo di riflessione riguarda proprio la ‘dimensione religiosa’: il fenomeno religioso è diventato ormai sempre più incisivo, sempre più interessante in questi ultimi tempi, soprattutto da quando è emersa sulla scena la figura di Papa Francesco. E da ultimo, io direi anche: ritornare ancora a riflettere sul valore della ‘parola’. E questo è uno degli ambiti in cui credenti e non credenti si ritrovano, perché da un lato la religione ebraico-cristiana, soprattutto la cristiana, ha in principio la ‘Parola’: la grande analogia, la grande via per parlare di Dio è quella della parola. E nel mondo dei laici, la parola è pur sempre il grande tramite della comunicazione culturale”. A conferma di questo nuovo rapporto tra carta stampata e fenomeno religioso, proprio alla vigilia del Cortile dei giornalisti, un quotidiano italiano, che recentemente aveva pubblicato una lettera di Papa Francesco, pubblica un articolo del Papa emerito che, con una lettera, risponde a Piergiorgio Odifreddi. Una scelta di Benedetto XVI, quella di rispondere al libro che il matematico gli aveva indirizzato, che Ravasi commenta così: “Abbiamo assistito certamente, in questi ultimi giorni, ad un evento abbastanza straordinario, qualcosa che non era nella prassi comune. Infatti, due pontefici – il pontefice emerito e l’attuale – sono intervenuti direttamente nell’arena della comunicazione di massa, nello specifico di quella giornalistica. Per quanto riguarda Odifreddi, in maniera particolare, vorrei sottolineare il fatto che non si tratta semplicemente di un dialogo di tipo giornalistico, ma si tratta di una riflessione sistematica che il Papa ha fatto su un testo che era anche provocatorio, molto discutibile in alcuni suoi ambiti e, con molta accuratezza, cerca di individuarne i nodi fondamentali. Questo, a mio avviso, diventa anche una lezione, non soltanto per noi che operiamo nel mondo della cultura, ma anche per la pastorale in senso lato. Sarà necessario non temere di entrare nella piazza, di entrare nel groviglio della comunicazione attuale da parte del Pastore o da parte, comunque, del credente, portando le ragioni della sua speranza, le ragioni della sua fede. Sottolineo proprio la dimensione delle “ragioni”, cioè le motivazioni della fede, perché abbiano ad essere ascoltate”. Il Papa emerito scrive a Odifreddi che “le sue opinioni su Gesù non sono degne del suo rango scientifico”, ma esprime anche parole di apprezzamento per l’atteggiamento di dialogo del matematico. Un atteggiamento che il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura commenta così: “Io penso che proprio il Cortile dei gentili che noi abbiamo costituito e che celebriamo in forme diverse, si può dire, ormai in tutto il mondo, abbia proprio questa duplice caratteristica costante, che è bene espressa proprio da questo testo di Benedetto XVI. Non dimentichiamo mai che il Cortile dei Gentili è nato direttamente su una sua sollecitazione in un discorso tenuto alla Curia Romana. Ebbene, da un lato il confronto deve avere la qualità di un confronto nobile, alto. Per questo credo che nell’interno del libro discutibile di Odifreddi sia stato importante identificare anche quei nodi che avevano una loro dignità, anche dal punto di vista religioso. Quindi, un confronto che sia un confronto condotto con la qualità delle argomentazioni, con la nobiltà – anche – dell’intelligenza che si interroga. Dall’altra parte, però, è fuor di dubbio che il confronto, ad un certo momento, debba essere, se è dialogo, anche riconoscimento delle diversità che esistono, e quindi debba avere anche, in certi momenti, una sorta di incandescenza che non è quella del sarcasmo, come purtroppo alcune volte era accaduto, con Odifreddi, ma del rigore, della fermezza con cui i due interlocutori presentano la loro identità e, se l’identità di uno merita un giudizio negativo, esso dev’essere espresso in una forma diretta, immediata e efficace”

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Cortile dei Gentili con i giornalisti. Il card. Ravasi: verità e parola al centro dell'incontro



Nuovo appuntamento romano per il ‘Cortile dei gentili’, la struttura vaticana dedicata al dialogo con i non credenti gestita dal Pontificio Consiglio della Cultura. Domani al Tempio di Adriano, in Piazza di Pietra, va in scena ‘Il Cortile dei giornalisti’ con l’intento di stabilire una prima riflessione tra operatori dell’informazione credenti e non credenti su varie tematiche. Protagonisti saranno, questa volta, alcuni dei più importanti direttori della carta stampata. Ad aprire l’incontro un dialogo tra il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, e il presidente del dicastero della cultura, cardinale Gianfranco Ravasi che riassume le principali tematiche di questo nuovo ‘Cortile’ e riflette sull’attuale rapporto fede e giornalismo:

R. – La riflessione più suggestiva credo si possa condurre prima di tutto sulla categoria “verità”, che è una delle categorie fondamentali, anche, nell’interno della comunicazione stessa. Un altro capitolo è il capitolo della “persona”, perché naturalmente viene coinvolta nella comunicazione la persona, qualche volta anche in maniera aggressiva, e quindi sarà da riflettere anche su una sorta di deontologia della comunicazione. Un terzo motivo di riflessione riguarda proprio la “dimensione religiosa”: il fenomeno religioso è diventato ormai sempre più incisivo, sempre più interessante in questi ultimi tempi, soprattutto da quando è emersa sulla scena la figura di Papa Francesco. E da ultimo, io direi anche: ritornare ancora a riflettere sul valore della “parola”. E questo è uno degli ambiti in cui credenti e non credenti si ritrovano, perché da un lato la religione ebraico-cristiana, soprattutto la cristiana, ha in principio la “parola”: la grande analogia, la grande via per parlare di Dio è quella della parola. E nel mondo dei laici, la parola è pur sempre il grande tramite della comunicazione culturale.

D. – A conferma di quanto lei dice, proprio alla vigilia di questo Cortile dei giornalisti, un quotidiano italiano, che recentemente aveva pubblicato una lettera di Papa Francesco, pubblica un articolo del Papa emerito che, con una lettera, risponde a Piergiorgio Odifreddi. Come interpretare questa scelta di Benedetto XVI, e come leggere le sue parole rivolte a questo matematico?

R. – Abbiamo assistito certamente, in questi ultimi giorni, ad un evento abbastanza straordinario, qualcosa che non era nella prassi comune. Infatti, due Pontefici – il Pontefice emerito e l’attuale – sono intervenuti direttamente nell’arena della comunicazione di massa, soprattutto di quella giornalistica. Per quanto riguarda Odifreddi, in maniera particolare, vorrei sottolineare il fatto che non si tratta semplicemente di un dialogo di tipo giornalistico, ma si tratta di una riflessione sistematica che il Papa ha fatto su un testo che era anche provocatorio, che era un testo molto discutibile in alcuni suoi ambiti, e con molta accuratezza cerca di individuarne i nodi fondamentali. Questo, a mio avviso, diventa anche una lezione, non soltanto per noi che operiamo nel mondo della cultura, ma anche per la pastorale in senso lato. Sarà necessario non temere di entrare nella piazza, di entrare nel groviglio della comunicazione attuale da parte del Pastore o da parte, comunque, del credente, portando le ragioni della sua speranza, le ragioni della sua fede. Sottolineo proprio la dimensione “ragioni”, cioè le sue motivazioni, perché abbiano ad essere ascoltate.

D. – Come giudicare dunque la scelta del Papa emerito che scrive a Odifreddi “Le sue opinioni su Gesù non sono degne del suo rango scientifico”, ma anche parole di apprezzamento per l’atteggiamento di dialogo del matematico?

R. – Io penso che proprio il Cortile dei Gentili che noi abbiamo costituito e che celebreremo in forme diverse, si può dire, ormai in tutto il mondo, abbia proprio questa duplice caratteristica costante, che è bene espressa proprio da questo testo di Benedetto XVI. Non dimentichiamo mai che il Cortile dei Gentili è nato direttamente su una sua sollecitazione in un discorso tenuto alla Curia Romana. Ebbene, da un lato il confronto deve avere la qualità di un confronto nobile, alto. Per questo credo che nell’interno del libro discutibile di Odifreddi sia stato importante identificare anche quei nodi che avevano una loro dignità, anche dal punto di vista religioso. Quindi, un confronto che sia un confronto condotto con la qualità delle argomentazioni, con la nobiltà – anche – dell’intelligenza che si interroga. Dall’altra parte, però, è fuor di dubbio che il confronto, ad un certo momento, debba essere, se è dialogo, anche riconoscimento delle diversità che esistono, e quindi deve avere anche, in certi momenti, una sorta di incandescenza che non è quella del sarcasmo, come purtroppo alcune volte era accaduto con Odifreddi, ma con un rigore, con una fermezza per cui i due presentano la loro identità e, se l’identità di uno merita un giudizio negativo, esso dev’essere espresso in una forma diretta, immediata e efficace.
 Radio Vaticana