mercoledì 25 settembre 2013

Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti: gli interventi di Ravasi e Scalfari


I direttori dei maggiori quotidiani italiani con il cardinale Ravasi

Giornalisti al Cortile dei gentili. Quel tratto di strada da fare insieme

(Silvia Guidi) Fare un tratto di strada insieme è davvero possibile? Questa domanda, diventata di stretta attualità dopo la lettera del Papa al fondatore della «Repubblica» ha aperto un confronto a tutto campo nel «cortile dei giornalisti» che si è svolto nel Tempio di Adriano, il 25 settembre. Il dibattito, moderato da Emilio Carelli (SkyTg24) è stato aperto dal dialogo tra il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, ed Eugenio Scalfari.
Ravasi ha esordito ponendo l’accento sull’impareggiabile efficacia comunicativa di Gesù di Nazaret nell’uso sistematico di frasi essenziali («tweet ante litteram»), di parabole, incisive come sceneggiature, e di gesti concreti, capaci di restare incisi per sempre nella memoria. Il fondatore del quotidiano romano ha invece ricordato la profonda fede di sua madre, gli anni del catechismo e quel mese e mezzo di esercizi spirituali vissuti “suo malgrado” quando a vent’anni trovò rifugio nella casa del Sacro Cuore — accanto a una residenza dei gesuiti — nella Roma occupata dai nazisti. Un’occasione preziosa, ha ricordato Scalfari, per imparare a ragionare, una palestra di logica che gli sarebbe stata utile per tutta la vita. «Devo molto ai gesuiti, anche se sono innamorato dei francescani» ha continuato, rendendo indirettamente omaggio al Papa ma ribadendo che la sua «scelta per Atena», nata sui banchi di scuola nell’amicizia con Italo Calvino, non gli permette di riconoscere la divinità di Cristo. 
L’intervista rilasciata alla Civiltà Cattolica fa capire a tutti, ma soprattutto ai professionisti della comunicazione che «la Chiesa non può stare nel vestito che le è stato disegnato addosso» dai media, ha detto Mario Calabresi, direttore della «Stampa», nel corso dell’incontro che ha visto tra i relatori Ferruccio de Bortoli, direttore del «Corriere della Sera», Ezio Mauro, direttore della «Repubblica» e Roberto Napoletano, direttore del «Sole 24 Ore». Sono, ha continuato Calabresi, «tempi grami per i pigri» e per chi resta ancorato ai propri schemi interpretativi e continua a ridurre la Chiesa a un «ping pong di botta e risposta» di breve respiro, secondo un’agenda dettata da chi ha priorità che le sono estranee. «La laicità, nel senso etimologico di “popolo”, appartiene a entrambi, ad atei e a cattolici» ha ribadito Napoletano, ricordando la figura di De Gasperi, mentre de Bortoli ha posto l’accento sulla centralità della persona, troppo spesso «vittima di una informazione frettolosa, che fornisce ingredienti avariati, e trasforma i lettori in curve contrapposte di tifosi». Davanti alla mercificazione dell’esistente, spesso solo la Chiesa fa sentire la sua voce. 
I giornali di carta e d’inchiostro sono ancora importanti secondo il direttore della «Repubblica» convinto che «internet è imbattibile in termini di flusso, ma non in termini di giudizio». 
Di libertà e responsabilità nella comunicazione hanno parlato Virman Cusenza, direttore del «Messaggero», Marteen van Aalderen, presidente dell’Associazione stampa estera, Marco Tarquinio, direttore di «Avvenire» e il direttore del nostro giornale, introdotti da Fiorenza Sarzanini. Il desiderio della Chiesa di farsi capire da più persone possibile non è certo una novità, ha ricordato Vian, accennando all’intervista concessa da Leone XIII a una giornalista socialista su «Le Figaro» nel 1892, le aperture di Pio XI, e il dialogo tra Montini e Jean Guitton nel 1950: «A cosa serve dire il vero se gli uomini del nostro tempo non ci capiscono?».
L'Osservatore Romano

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Si è svolto oggi a Roma il Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti. Al centro dell’incontro il dialogo tra il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi, e il fondatore del quotidiano La Repubblica, Eugenio Scalfari. Il Cortile dei Gentili – lo ricordiamo – è la struttura creata da Benedetto XVI per promuovere il dialogo tra credenti e non credenti. 
“Non siamo qui per convertirci a vicenda, ma abbiamo in comune la convinzione che le nostre posizioni diverse debbano essere lievito per una terra che ha bisogno di essere fertilizzata”. Così, Eugenio Scalfari, chiude la sua conversazione con il cardinale Ravasi, con il quale confessa di avere da tempo un territorio spirituale e mentale comune. Il fondatore di Repubblica l’aveva aperta ribadendo di essere ‘innamorato’ di Gesù, proprio da quando, in gioventù, scelse di abbandonare la fede. Ricorda di aver praticato, forzatamente, gli Esercizi Spirituali nella Casa del Sacro Cuore a Roma, dove trovò rifugio come renitente alla leva fascista. “Debbo molto a quei gesuiti che mi insegnarono a ragionare” – confessa - “ma sono innamorato dei francescani”. L’intellettuale non credente spiega così il suo interesse per il dialogo con i cattolici e individua nella morte di Cristo in croce il culmine dell’incarnazione e del messaggio cristiano. E’ proprio in quella scelta di anteporre l’amore per gli altri all’egoismo Scalfari trova un messaggio importante per una società dove “il tasso di narcisismo è diventato patologico”. Ravasi loda Scalfari per l’intuizione e ribatte descrivendo il grido di Cristo sulla croce – “Dio mio perché mi hai abbandonato?” – come “l’ateismo salvifico di Cristo” – a cui – specifica però, la teologia giustappone la Resurrezione in quanto Cristo resta il Figlio anche se non sente il Padre e così “depone nella mortalità il seme dell’infinito”. 

Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura riprende anche il tema del ruolo della Chiesa nella rivoluzione della comunicazione dell’era digitale. Ricorda che Gesù nei Vangeli ci offre un metodo quando utilizza il linguaggio breve dei ‘tweet’ in modo sistematico, la sceneggiatura televisiva attraverso le ‘parabole’ e basa sulla corporeità il suo annuncio. “Se un pastore oggi non si interessa di comunicazione – aggiunge – è al di fuori del suo ministero”. Ma nell’ambiente della nuova comunicazione digitale – spiega Ravasi - il linguaggio della Chiesa deve avere una “nuova grammatica”, più diretta, abbandonando le “subordinate”. E a fare da apripista – di questa rinnovata, efficace presenza della Chiesa nell’agorà - sembrano proprio le lettere di Papa Francesco e del Papa emerito al quotidiano La Repubblica e l’intervista di Francesco alla Civiltà Cattolica. Gli fa eco in chiusura Scalfari che, d’accordo sulla nascita di un nuovo linguaggio, affida proprio alla religione il compito di trasmettere alla nuova civiltà, in corso di formazione, il retaggio dei valori incancellabili del passato.

Nei due dibattiti successivi, i direttori dei principali quotidiani nazionali, dai laici De Bortoli, Corriere della Sera, e Calabresi, La Stampa, ai colleghi cattolici Tarquinio, Avvenire, e Vian, Osservatore Romano, si confrontano su tematiche di etica della comunicazione come verità, obbiettività e responsabilità. Ma si parla anche del rinnovato interesse dei mass-media per la Chiesa, grazie al Pontificato di Papa Francesco. Misericordia e umiltà – viene sottolineato - sono le cifre di un linguaggio che conquista credenti e non credenti. Respingere il sensazionalismo, ridare centralità alla persona, favorire il dialogo e non lo scontro, onestà nei confronti dei lettori e della redazione, sembrano invece le regole d’oro per i direttori della carta stampata. “Il nostro compito come ‘cercatori di verità’ - ricorda Mauro, direttore de La Repubblica – è stare nel cortile, nelle piazze, tenendoci distanti dal potere”. Senza tralasciare un tema caro a Benedetto XVI, ricordato dal direttore del Sole 24ore, Napoletano, la “ragione allarga il suo orizzonte con la fede”.

Ma ascoltiamo quanto lo stesso Eugenio Scalfari, dopo il recente scambio epistolare con il Papa, ha detto di questi primi mesi di Pontificato e della possibilità effettiva di un dialogo tra credenti e non credenti. 

R. – Il Papa parla continuamente e con tutti, nelle piazze e addirittura con singole persone. Questo l’ho saputo, lo so. Lo seguo e sono molto interessato a sapere non solo quello che dice, ma come vive la persona del Papa. La persona è una presenza rivoluzionaria. Infatti, non a caso, è un gesuita che prende il nome di Francesco, che finora nessun Papa aveva preso. Io temo che non ci sarà un Francesco II.

D. – Lei crede che il dialogo che questa mattina ha avuto con il cardinal Ravasi sia in qualche modo esemplare di un possibile incontro fecondo fra chi crede e chi non crede? 

R. – Con un uomo come lui è molto piacevole dibattere, perché lui è uno di quelli che, come diceva il cardinal Martini, perde la fede ogni giorno, perché deve riconquistarla il giorno dopo. Voglio dire: la fede va vissuta quotidianamente ed è sempre a rischio; merita una ricerca continua, un ascolto continuo delle voci che ci circondano.

D. – Infine, come non credente, quale ruolo sociale riconosce alla religione in questo momento?

R. – Non in questo momento. La religione è uno dei sentimenti basilari; è uno dei modi con cui le persone che credono danno un senso alla vita. 

D. – E in questo senso ne viene un ruolo sociale?

R. – Può incoraggiare le opere meritevoli del premio del Paradiso.
Radio Vaticana 

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Cardinale Ravasi: Gesù è stato il primo twittatore della storia (Carlo Marroni, Il Sole 24 Ore)