giovedì 26 settembre 2013

Papa Francesco, i teocon e la Chiesa dell’essenziale



Il «cristianesimo come cultura» di Ruini? Non tornerà, scrivono Marco Marzano e Nadia Urbinati in "Missione impossibile. La riconquista cattolica della sfera pubblica"*
I fan di una Chiesa battagliera sul palcoscenico della politica non l’hanno presa bene. Quant’è lontano papa Francesco da dieci anni e più di dibattito su «valori non negoziabili», teocon e cattolici adulti. Anche quando dice che «un buon cattolico si immischia in politica», il pontefice aggiunge che il servizio più grande che un cattolico ha da offrire «ai governanti» è la preghiera. Durerà, questo nuovo corso? C’è chi crede di sì. Nel senso che anche se la Chiesa dovesse fare marcia indietro, sarebbero i cattolici stessi a non seguirla. Lo scrivono Marco Marzano e Nadia Urbinati in Missione impossibile. La riconquista cattolica della sfera pubblica (138 pp., 14 euro) appena pubblicato dal Mulino.
L’interlocutore polemico del libro fa la sua comparsa già dalla prima pagina. Si parte dal celebre intervento del cardinale Angelo Scola sulla libertà religiosa e l’editto di Milano. L’idea che la libertà religiosa ha senso solo se rappresenta per l’uomo un’occasione di «orientarsi in direzione della verità ultima». E che quindi il cristianesimo deve farsi cultura, per indirizzare dalla parte giusta la società e lo Stato.
Marzano e la Urbinati hanno chiaro in mente che quella del cristianesimo come cultura è una passione diffusa ben oltre Comunione e liberazione (che pure porta con sé anche un’immagine del cristianesimo come “avvenimento”), o il circolo ristretto dei neo-conservatori all’italiana. Citano come esempio una conversazione tra Giuliano Amato e monsignor Vincenzo Paglia, della Comunità di Sant’Egidio. Puntano il dito contro il «devozionismo ateo di sinistra» che, più o meno consapevolmente, finisce per convergere col «progetto culturale» coltivato per vent’anni e più da Camillo Ruini.
L’antidoto che Marzano e la Urbinati propongono non è nuovo: la neutralità dello Stato alla francese, una laicità intesa non come divieto ma come pluralismo. La definizione di questo modello francese però rimane un po’ nel vago. Gli argomenti della Urbinati, nella seconda parte del libro, sono solidissimi quando spiega che – nella polemica sui simboli religiosi nelle aule scolastiche – a trasformare il crocifisso in un «simbolo culturale» non si fa certo un favore al crocifisso stesso. Non si spiega però, a proposito di modello francese, il motivo per il quale una professoressa col velo (o con una croce al collo) sia meno adatta a insegnare matematica della stessa professoressa senza velo.
Nelle parole della politologa, docente alla Columbia University di New York, si legge tanta diffidenza nei confronti dell’influenza della religione nella sfera pubblica: la religione è una «sostanza non dannosa» solo finché non viene «assorbita» dal sistema democratico. Difficile che una posizione del genere possa essere sposata da un cattolico, di qualsiasi fede politica.
C’è però un dato nuovo che emerge nel libro, che oggi, nel 2013, è più evidente che in passato: il «cristianesimo come cultura» non ha attecchito neppure tra cattolici. È la «deculturalizzazione» della fede. Marzano parte da un esempio, magari poco accurato ma efficace. I preti sono in continua diminuzione: hanno quindi la necessità di occuparsi più dell’essenziale, i sacramenti, e meno di tutto il resto. E poi i parroci di oggi, in Italia, provengono sempre più dai paesi in via di sviluppo: come pretendere che siano loro lo strumento per la diffusione di un «progetto culturale» tutto legato alla Cei degli anni Novanta?
Il ritorno all’«essenziale» però non è un fatto solo “accidentale”, una necessità dettata dalle circostanze del momento – come lascia intendere Marzano. Nella Chiesa se ne sente parlare da diversi mesi, dal gesto eclatante delle dimissioni di Benedetto, e ancora, di continuo, nelle parole di Francesco.
Nel libro, oltretutto, si trovano raggruppati sotto la stessa etichetta fenomeni diversi tra di loro. Il denominatore comune è la ricerca di una fede «depurata» da elementi politici e culturali che le sono estranei. Andrebbe forse fatta una distinzione, però, tra il tentativo di un «ritorno alle origini» della Chiesa e la spiritualità dei «nuovi cristiani» (Marzano non si fa troppi problemi a definire alcuni nuovi movimenti ecclesiali come «sette cattoliche»). Il recupero delle preghiere della Tradizione – l’adorazione eucaristica, la devozione ai santi della “pietà popolare” – è altra cosa rispetto al tentativo di inventare forme nuove di preghiera, le messe ballate, fino al caso estremo, citato nel libro, di quei gruppi che alla preghiera sostituiscono «suoni incomprensibili» e «palpitazione invasata». Da un lato rimane il riferimento a un patrimonio comune a tutta la Chiesa, dall’altro la Chiesa stessa si scompone in tante «piccole chiese», «mondi che non comunicano» perché non parlano la lingua comune della Tradizione ma lingue nuove e diverse.
Come ci si è arrivati? È un’altra conseguenza della secolarizzazione, spiega Marzano: «L’enfasi sulla scelta individuale» porta «moltissimi praticanti cattolici» a pretendere una liturgia “personalizzata”, a volersi costruire ciascuno la propria comunità. A ben guardare è una tentazione che può riguardare tutti i movimenti ecclesiali, anche quelli non interessati dalla deculturalizzazione di cui parlano i due autori.
Rispetto a questo fenomeno, però, l’esordio del pontificato di papa Bergoglio sembra aver indicato un’altra strada (ma coerente con quella già impressa da Benedetto XVI). Ieri Francesco ha messo in guardia dalla tentazione di «privatizzare la Chiesa» (un’espressione usata, alla lettera, anche da Marzano e dalla Urbinati). Uno degli aspetti “rivoluzionari” di questi primi mesi è stata la capacità di tenere insieme dei toni innegabilmente nuovi con la riscoperta del patrimonio della Tradizione. L’attenzione nei confronti del mondo e della politica non scompare, anzi. Ma quando si è trattato di far qualcosa per la Siria il papa non ha indetto né una marcia né un convegno culturale: ha scelto la preghiera del rosario, la supplica a un’antica immagine della Madonna, il silenzio dell’adorazione eucaristica.
L’epoca del «cristianesimo come cultura» è finita? Difficile dirlo. Ma di certo la direzione di marcia, allo stato attuale, è diversa e alternativa.
*
“la Repubblica” - Rassegna "Fine settimana"
(Marco Ansaldo) Quanto sia importante la fede, o la mancanza di fede, nella vita dell’uomo è un concetto chiaro a tutti. Ma quanto può essere efficace l’uso di semplici parole religiose nella pratica di tutti i giorni? Moltissimo, spiega il cardinale Gianfranco Ravasi, che non (...)

*
“Il Messaggero” - Rassegna "Fine settimana"
(Franca Giansoldati) In principio era il tweet. Duemila anni fa l'uccellino azzurro cinguettante non c’era ed era Gesù che parlava alle folle con un linguaggio talmente immediato e cristallino, e con frasi talmente essenziali da far dire al cardinale Gianfranco Ravasi, (...)
- @Gesù usava bene Twitter (di Carlo Marroni in “www.ilsole24ore.com”
- Ravasi-Scalfari: il fascino “laico” di Gesù (di Roberto Zanini in “Avvenire”)
- La buona novella dei mass media (di Roberto Zanini in “Avvenire”)