sabato 28 settembre 2013

Dio appare agli incroci





La rivoluzione della tenerezza. In viaggio con Papa Francesco. 

Di seguito alcuni stralci del Prologo del libro di Gian Guido Vecchi Francesco. La rivoluzione della tenerezza. In viaggio col Papa che sta cambiando la Chiesa (Milano, Rcs, I manuali del Corriere della Sera, 2013, pagine 154) che da sabato 28 settembre è in distribuzione nelle edicole. Nel volume, il vaticanista traccia quelle che appaiono le linee guida del pontificato di Papa Francesco attraverso il ricordo dei momenti salienti del viaggio per la Giornata mondiale della gioventù. In chiusura di libro anche la trascrizione integrale dell’intervista del Papa durante il volo di ritorno a Roma da Rio de Janeiro.(Gian Guido Vecchi) La prima immagine della Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro non ha come sfondo la spiaggia di Copacabana o il Cristo Redentore che spalanca le braccia dalla cima del Corcovado, ma si mostra duecento chilometri circa più a ovest, in una cittadina di quarantamila abitanti chiamata Aparecida. Francesco, dopo l’arrivo in Brasile e una giornata di riposo nella residenza di Sumaré, sulle alture che guardano la baia di Guanabara, ha scelto di arrivare per prima cosa qui. Mercoledì mattina, 24 luglio 2013. 
Giorno di nubi basse, freddo e pioggia battente. E il Papa che resta a lungo in contemplazione silenziosa davanti a una Madonnina nera in terracotta alta una quarantina di centimetri, sfiora con le dita il vetro della teca che la custodisce e ha l’aria commossa quando gliela porgono e lui la tiene fra le braccia come fosse una bambina. Nella preghiera le affida il viaggio, i giovani, il suo stesso pontificato. Di più: «Nelle tue mani pongo la mia vita», mormora. E vengono i brividi quando, la voce incrinata e lo sguardo intenso — come pensasse alla riforma della Chiesa, al compito che lo attende —, Francesco sillaba solenne: «Tu, o Madre, non hai esitato, e io non posso esitare». 
Poco più di sei anni prima, dal 13 al 21 maggio 2007, ad Aparecida si riunì la V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi, inaugurata dal suo predecessore Benedetto XVI. Una riunione destinata ad avere un’importanza decisiva non solo per i cattolici del continente, ma per tutta la Chiesa. L’allora cardinale di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, fu scelto dagli altri vescovi a presiedere la commissione che scrisse le conclusioni. Ne venne fuori un testo che tra l’altro rilanciava l’«opzione preferenziale per i poveri», riconosceva i «nuovi esclusi» nei volti dei «migranti» e dei «rifugiati», dei «disoccupati» e delle «donne maltrattate», dei bambini e degli anziani come dei ragazzi cui è negato lo studio, denunciava la violenza e la corruzione dei potenti, invocava la promozione «della giustizia e solidarietà internazionale» e soprattutto definiva lo stile di una Chiesa chiamata ad ascoltare il «popolo» e a uscire da se stessa per andare in missione e annunciare il Vangelo nelle «periferie», un richiamo alle origini e all’essenza del cristianesimo. L’ormai famoso «documento di Aparecida» era insomma un compendio di temi che sarebbero stati al cuore del pontificato di Francesco. 
Ma non si tratta solo di questo. La figura di Maria è centrale, nella spiritualità del primo pontefice latinoamericano della storia, il primo gesuita divenuto successore di Pietro. E basterebbe tornare al 14 marzo, l’alba del nuovo pontificato. 
Erano passate poche ore dall’elezione nella Sistina, la sera del 13, e Jorge Mario Bergoglio si era svegliato come al solito per le preghiere prima dell’alba, nella stanza 201 della Domus Sanctae Marthae. I cerimonieri volevano portarlo subito dal sarto, c’era da preparare una veste bianca su misura, ma lui tagliò corto: «Prima si va dalla Madonna». Alle otto del mattino, un piccolo mazzo di fiori in mano, era già a Santa Maria Maggiore, «lasciate la basilica aperta, sono un pellegrino e voglio andare da pellegrino tra gli altri pellegrini». (...) A Santa Maria Maggiore il Papa torna prima di partire per Rio de Janeiro e nel giorno del ritorno a Roma. Allo stesso modo, in Brasile, per prima cosa va ad Aparecida. 
«La Chiesa ha sempre l’urgente bisogno di non disimparare la lezione di Aparecida, non la può dimenticare». Per non fallire, la Chiesa deve tornare ad essere semplice: «Le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani. E tuttavia Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché è sempre Lui che agisce». Bisogna capire che «il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore», spiega il Papa ai vescovi. «Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti». 
È una lezione che la Chiesa deve «ricordare sempre», insiste Francesco: «Non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero e non solo resta fuori dalla porta del Mistero, ma non riesce neppure ad entrare in coloro che dalla Chiesa pretendono quello che non possono darsi da sé, cioè Dio stesso. A volte, perdiamo coloro che non ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile “pescare” Dio nelle acque profonde del suo Mistero». Del resto «Aparecida è comparsa in un luogo di incrocio, la strada che univa Rio, la capitale, con San Paolo, la provincia intraprendente che stava nascendo, e Minas Gerais, le miniere molto ambite dalle Corti europee: un crocevia del Brasile Coloniale». E anche questo è significativo: «Dio appare agli incroci».
L'Osservatore Romano