domenica 22 settembre 2013

Papa Francesco: «Gli idoli non ci nascondano lo sguardo di Maria»

<br>«Gli idoli non ci nascondano lo sguardo di Maria»
di Massimo Introvigne

Il viaggio di Papa Francesco in Sardegna del 22 settembre ha avuto, come il Pontefice ha fatto notare, uno spiccato carattere mariano. L’arcivescovo di Buenos Aires che è diventato Papa ha voluto visitare il santuario sardo di Bonaria, da cui Buenos Aires prende il nome. Francesco ha detto ai sardi: «Sono venuto in mezzo a voi per mettermi con voi ai piedi della Madonna che ci dona il suo Figlio», per «rinnovare a Lei la nostra fiducia e il nostro amore».
La lezione della Madonna, ha affermato il Papa nell’omelia al Santuario di Bonaria, ci chiama anzitutto alla preghiera. Con la preghiera Maria ottiene tutto da suo Figlio. «Questa è la potenza della preghiera! Non stanchiamoci di bussare alla porta di Dio. Portiamo al cuore di Dio, attraverso Maria, tutta la nostra vita, ogni giorno! Bussare alla porta del cuore di Dio!».
Maria nella sua vita, dall’Annunciazione alla Croce, ha incontrato e accolto lo sguardo di Dio. E questo sguardo di Dio si riflette ora nel suo sguardo che si posa su di noi. Si va ai santuari mariani «per incontrare lo sguardo di Maria, perché lì è come riflesso lo sguardo del Padre, che la fece Madre di Dio, e lo sguardo del Figlio dalla croce, che la fece Madre nostra. E con quello sguardo oggi Maria ci guarda». Il tema dello sguardo della Madonna è stato al centro del viaggio. «Abbiamo bisogno – ha detto il Papa – del suo sguardo di tenerezza, del suo sguardo materno che ci conosce meglio che chiunque altro, del suo sguardo pieno di compassione e di cura. Maria, oggi vogliamo dirti: Madre, donaci il tuo sguardo! Il tuo sguardo ci porta a Dio, il tuo sguardo è un dono del Padre buono, che ci attende ad ogni svolta del nostro cammino, è un dono di Gesù Cristo in croce, che carica su di sé le nostre sofferenze, le nostre fatiche, il nostro peccato».
Non si tratta di un appello meramente sentimentale. Infatti lo sguardo di Maria è presente nella storia, «lo sguardo della Madonna ci aiuta a guardarci tra noi in modo fraterno». «Maria ci insegna ad avere quello sguardo che cerca di accogliere, di accompagnare, di proteggere». E noi – Francesco torna sul suo tema consueto – non dobbiamo tenere questo sguardo per noi, non dobbiamo avere «paura di uscire e guardare i nostri fratelli e sorelle con lo sguardo della Madonna».
Ma vivere nello sguardo di Maria oggi si è fatto più difficile. Il mondo frappone ostacoli tra noi e quello sguardo. «Non permettiamo – ha affermato il Papa – che qualcosa o qualcuno si frapponga tra noi e lo sguardo della Madonna. Madre, donaci il tuo sguardo! Nessuno ce lo nasconda! Il nostro cuore di figli sappia difenderlo da tanti parolai che promettono illusioni; da coloro che hanno uno sguardo avido di vita facile, di promesse che non si possono compiere. Non ci rubino lo sguardo di Maria».
Tra le barriere che ci rendono difficile scorgere lo sguardo della Madonna, nell’incontro con il mondo del lavoro in Largo Carlo Felice a Cagliari Papa Francesco ha citato le conseguenze della crisi economica, che finiscono per rubare a molti la speranza e la stessa dignità. «È una realtà – ha confidato il Papa – che conosco bene per l’esperienza avuta in Argentina. Io non l’ho conosciuta, ma la mia famiglia sì: mio papà, giovane, è andato in Argentina pieno di illusioni a “farsi l’America”. E ha sofferto la terribile crisi degli anni trenta. Hanno perso tutto!».
La crisi economica non è un fenomeno naturale, come i terremoti o le alluvioni. Nasce, come insegnava Benedetto XVI, dalla separazione fra etica ed economia. «In questo sistema senza etica – ha detto Francesco –, al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatra di questo “dio-denaro”. Comandano i soldi! Comanda il denaro! Comandano tutte queste cose che servono a lui, a questo idolo». E «per difendere questo idolo si ammucchiano tutti al centro e cadono gli estremi, cadono gli anziani perché in questo mondo non c’è posto per loro! Alcuni parlano di questa abitudine di “eutanasia nascosta”, di non curarli, di non averli in conto». Papa Francesco è tornato sulla nozione di «cultura dello scarto», di cui venerdì aveva parlato ai ginecologi in tema di eutanasia e soprattutto di aborto. A Cagliari ha esteso la nozione ai giovani, della cui disoccupazione non ci si preoccupa abbastanza: in un «sistema economico idolatrico si istaura la “cultura dello scarto”: si scartano i nonni e si scartano i giovani. E noi dobbiamo dire “no” a questa “cultura dello scarto”».
Dire no alla cultura dello scarto – ha spiegato il Papa in cattedrale a Cagliari ai poveri e ai detenuti – non significa chiedere forme di assistenzialismo. «La carità non è un semplice assistenzialismo», così come «l’umiltà di Cristo non è un moralismo, un sentimento». «A volte – ha aggiunto Francesco – si trova anche l’arroganza nel servizio ai poveri! Sono sicuro che voi l’avete vista. Quell’arroganza nel servizio a quelli che hanno bisogno del nostro servizio. Alcuni si fanno belli, si riempiono la bocca con i poveri; alcuni strumentalizzano i poveri per interessi personali o del proprio gruppo». La vera carità costruisce, utilizzando le opportune «competenze», «opere di solidarietà» intelligenti e non meramente assistenziali. E – altro tema caro a Papa Francesco – non disprezza né liquida come fa il «qualunquista» la «politica, che è una forma alta di carità».
In modo più elaborato, nell’incontro con il mondo della cultura nell’aula magna della Pontificia Facoltà Teologica Regionale a Cagliari, il Papa – partendo dall’episodio dei discepoli di Emmaus – ha proposto una lettura della crisi contemporanea, che non è solo economica, attraverso un percorso in tre parole: disillusione, rassegnazione, speranza. Come i discepoli di Emmaus che pensavano che l’avventura di Gesù fosse finita con la sua morte, così oggi molti vivono «la delusione, la disillusione, a causa di una crisi economico-finanziaria, ma anche ecologica, educativa, morale, umana»: una delle più gravi crisi della storia occidentale, che dall’Occidente si è estesa al mondo intero.
Di fronte alla profondità della crisi, come due dei discepoli di Emmaus, alcuni cadono nella «rassegnazione, il pessimismo verso ogni possibilità di efficace intervento. In un certo senso è un “chiamarsi fuori” dalla stessa dinamica dell’attuale tornante storico, denunciandone gli aspetti più negativi con una mentalità simile a quel movimento spirituale e teologico del II Secolo dopo Cristo, che viene chiamato “apocalittico”». Naturalmente la dimensione apocalittica fa parte del cristianesimo, ma nel II secolo – e oggi – una sorta di apocalittica inadeguata implica una «concezione pessimistica della libertà umana e dei processi storici» – che non sono mai definitivi o immutabili – e «porta ad una sorta di paralisi dell’intelligenza e della volontà. La disillusione porta anche ad una sorta di fuga, a ricercare “isole” o momenti di tregua. È qualcosa di simile all’atteggiamento di Pilato, il “lavarsi le mani”», un credere che di fronte a processi che si presumono irreversibili non ci sia più nulla da fare, che può apparire «pragmatico» ma è semplicemente cinico o sbagliato.
L’atteggiamento giusto è invece la speranza, che – parlando in un’Università – il Pontefice ha collegato a una cultura capace di evitare il riduzionismo. «Le letture ideologiche o parziali non servono, alimentano solamente l’illusione e la disillusione». I «catastrofismi» falsamente apocalittici nascono spesso dal riduzionismo che non considera più la persona «in tutte le sue dimensioni, soprattutto quella spirituale, trascendente», riduce l’uomo a «materiale umano», perde il senso del vero dialogo e della solidarietà. Una cultura non riduzionista, la sola capace di fondare una speranza oltre la crisi, non ha «timore di aprirsi anche agli orizzonti della trascendenza», perché «la fede non riduce mai lo spazio della ragione, ma lo apre ad una visione integrale dell’uomo e della realtà».
Ai giovani nell’incontro con il mondo del lavoro il Pontefice ha ripetuto le parole dell’enciclica «Lumen fidei»: «Non lasciatevi rubare la speranza!». Ma ha aggiunto: «siamo furbi, perché il Signore ci dice che gli idoli sono più furbi di noi. Il Signore ci invita ad avere la furbizia del serpente, con la bontà della colomba. Abbiamo questa furbizia e diciamo le cose col proprio nome. In questo momento, nel nostro sistema economico, nel nostro sistema proposto globalizzato di vita, al centro c’è un idolo e questo non si può fare!».
Sono concetti che Francesco ha ribadito incontrando, al termine del viaggio, centomila giovani a Cagliari, di fronte ai quali ha pure condannato l’attentato in Pakistan, frutto di una «scelta di odio» che non dovrebbe avere diritto di cittadinanza fra chi crede in Dio. Spesso, ha detto, i giovani oggi fanno l’esperienza del fallimento e della difficoltà di vivere da cristiani. Ma «Gesù si fa vicino ai nostri fallimenti, alla nostra fragilità, ai nostri peccati, per trasformarli». I giovani devono comportarsi «come dei buoni sportivi che sanno affrontare la fatica dell’allenamento per raggiungere dei risultati: le difficoltà non devono spaventarvi, ma spingervi ad andare oltre», a «spendere la vostra vita per testimoniare con gioia il Vangelo, specialmente ai vostri coetanei: il vostro contributo è indispensabile per la missione della Chiesa, che è l’evangelizzazione – i giovani apostoli dei giovani». Per questo il Pontefice ripete alla gioventù di non seguire le mode e gli idoli: «abbiate anche il coraggio di andare controcorrente, non fatevi trascinare dalle correnti». Spezziamo gli idoli, ritroviamo lo sguardo di Maria che gli idoli nascondevano, riprendiamoci la speranza, ha concluso il Papa.