giovedì 27 febbraio 2014

“Il dialogo teologico con i cattolici rischia di fallire”

Cristiani ortodossi


Il metropolita di Pergamo Zizioulas lancia l'allarme: pesano le divisioni intra-ortodosse. E le manovre di chi riduce l'unità dei cristiani a un'alleanza per l'etica sessuale

GIANNI VALENTECITTÀ DEL VATICANO

Il dialogo teologico iniziato tra cattolici e ortodossi per camminare verso la piena comunione sacramentale rischia di incepparsi per sempre. E la responsabilità di un simile naufragio sarebbe in gran parte dovuta alle divisioni intra-ortodosse e a quei settori influenti dell'Ortodossia – in primis il Patriarcato di Mosca – che non vogliono riconoscere in alcun modo la realtà di un primato universale nella Chiesa, fondato su una tradizione canonica ed ecclesiale condivisa. A lanciare l'allarme è nientemeno che il Metropolita di Pergamo Ioannis Zizioulas, già membro del Sinodo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, co-presidente della Commissione internazionale del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa. 

Zizioulas, considerato da molti il maggiore teologo cristiano vivente (la sua  “ecclesiologia eucaristica” è apprezzata sia da Papa Francesco che dal suo predecessore Benedetto XVI) ripone fiducia nell'imminente incontro tra l'attuale Vescovo di Roma e il Patriarca ecumenico Bartolomeo a Gerusalemme, il prossimo maggio. Per lui l'unità tra i cristiani è molto di più di una alleanza tra apparati ecclesiali per fare “fronte comune” sulle questioni etiche e sessuali.

Nel frattempo, in Europa orientale, la direzione imboccata dalla crisi ucraina mette di nuovo in discussione il controllo esercitato dal Patriarcato di Mosca su gran parte delle parrocchie ortodosse di quel Paese.

L'appuntamento a Gerusalemme tra il Papa e il Patriarca ecumenico si avvicina. Cosa c'è da aspettarsi da quel prossimo incontro?
«Sarà un fatto molto importante. Si vuole commemorare l'incontro di cinquant’anni fa tra Paolo VI e Atenagora, il primo incontro avvenuto tra un Papa e un Patriarca ecumenico dai tempi della divisione. L'abbraccio tra loro due aveva acceso la speranza di arrivare presto all’unità tra cattolici e ortodossi. Questo non si è ancora realizzato. Ma è importante mostrare al mondo che stiamo continuando a camminare con pazienza e tenacia verso unità. Siamo in cammino. Non ci siamo fermati. Per questo il prossimo incontro tra Francesco e Bartolomeo a Gerusalemme non sarà solo un atto commemorativo, rivolto al passato. Esso rappresenta anche una porta aperta sul futuro».
A un anno dalla sua elezione, che impressione prevale su Papa Francesco tra i fedeli ortodossi e anche tra i capi delle Chiese d'Oriente?
«Papa Francesco ci ha sorpreso tutti in modo positivo. Per il suo stile, per il suo temperamento, la sua umiltà e anche perché esercita il suo ufficio di Papa con un profilo che può favorire l’avvicinamento con le Chiese ortodosse. Gli ortodossi hanno sempre considerato il Papa essenzialmente come vescovo di Roma. E Papa Francesco richiama spesso questo suo titolo come ciò che lo abilita a esercitare il suo ministero. In tempi passati, il Papa era visto dagli ortodossi come una figura che si poneva su un piedistallo, e il Papato veniva percepito da loro come un imperialismo ecclesiastico. Pensavano che il Papa volesse sottometterli ed esercitare la giurisdizione su di loro. Adesso ci sono tanti segnali che vanno in una direzione diversa. Ad esempio, il Papa ha ribadito più volte che, riguardo alla sinodalità e alla natura sinodale della Chiesa, occorre imparare dagli ortodossi».
In questo rientrano anche la creazione del comitato degli 8 cardinali e il nuovo dinamismo dato al Sinodo dei vescovi cattolici?
«Sì, sono decisioni importanti. C’è chi fraintende la sinodalità presentandola come una applicazione  di metodi politici mondani alla vita della Chiesa. Ma il modo corretto di intendere la sinodalità si è chiarito proprio nel dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa. Nel documento di Ravenna del 2007 abbiamo riconosciuto che il primato è necessario e saldamente fondato nella tradizione canonica della Chiesa. Esso non è solo un elemento “organizzativo” umano. Ma deve essere sempre compreso e esercitato nel contesto della sinodalità. Lì abbiamo preso atto che nella Chiesa c’è sempre un sinodo, e nel sinodo c’è sempre un protos, un primo o primate. Tutto ciò non rappresenta una penetrazione nella Chiesa del pensiero secolare sulla democrazia o sulla monarchia. Si tratta soltanto di teologia. Deriva dalla nostra fede nella Santa Trinità. Nella tradizione della Chiesa, fin dall’inizio, si ritrovano canoni che dicono questo: che nella Chiesa non c’è mai un Primus senza il Sinodo, e non c’è mai un Sinodo senza il Primus. E l’armonia tra il Primus e il Sinodo è un dono operato dallo Spirito Santo. Questa è la nostra ecclesiologia, fin dall'inizio».
Di recente, il Patriarcato di Mosca ha disconosciuto le conclusioni del documento di Ravenna, che Lei ha citato. Ha letto quel pronunciamento della Chiesa russa?
«Sì, l’ho letto. Personalmente, e a nome del Patriarcato ecumenico, posso dire che non siamo d’accordo con quel documento. Lì si sostiene che il primato esiste e ha una attendibile ragione teologica a livello della Chiesa locale e a livello della Chiesa regionale, ma non a livello universale. E non viene spiegato il perché di questa esclusione del livello universale. Noi sappiamo quale è la vera ragione: vogliono negare che anche nella Chiesa ortodossa, dopo lo scisma, c’è stato un primato esercitato a livello universale del Patriarcato ecumenico. E per raggiungere questo obiettivo, negano anche la possibilità di riconoscere il ruolo primaziale del Papa a livello universale, in un modo che sia accettabile anche per gli ortodossi. Nel documento di Ravenna avevamo raggiunto il consenso proprio su questo punto: avevamo riconosciuto che nella Chiesa c’è sempre l’esercizio del primato a tutti e tre i livelli: locale, regionale e universale».

Le divisioni interne all’Ortodossia stanno compromettendo il dialogo ecumenico?
«Temo che ci saranno problemi. Soprattutto perché la posizione espressa dal Patriarcato di Mosca ha l’autorità di un pronunciamento del Sinodo. Non sono posizioni espresse da singoli individui, dal Metropolita Hilarion o dallo stesso Patriarca Kirill. Con un simile pronunciamento diventa difficile confrontarsi, e il dialogo è appunto confronto, discussione. Immaginate se ogni Chiesa ortodossa venisse a dialogare con la Chiesa cattolica avendo espresso propri pronunciamenti sinodali sulla questione del primato, che rappresenta proprio il tema al centro del confronto: vorrebbe dire che non c’è più nessuno spazio per discutere, e che il dialogo è finito. Il passo compiuto dal Patriarcato di Mosca può avere conseguenze molto negative. Potrebbe di fatto portare alla fine del dialogo teologico tra cattolici e ortodossi, iniziato per superare gli ostacoli che impediscono la piena comunione. Mi auguro che ciò non accada».
Intanto è convocata per marzo la sinaxis (assemblea) di tutti i Primati delle Chiese ortodosse. Sarà un momento di chiarimento?
«Dobbiamo discutere di questioni intra-ortodosse anche in relazione al grande Sinodo pan-ortodosso, la cui preparazione è iniziata tanti anni fa, e che potrebbe essere indetto entro il prossimo anno. Spero che si arrivi a discutere anche del dialogo ecumenico, se non ufficialmente, almeno privatamente. Io voglio chiedere al Patriarca di Mosca se lui è consapevole delle conseguenze del suo passo. Forse non è si è reso conto che può essere una catastrofe per il dialogo». 
Papa Bergoglio dice che il pericolo più grande della Chiesa è l’auto-referenzialità. Lei, già molto tempo fa, aveva descritto «l’autocompiacimento narcisista» che contagia molti ambienti ecclesiali. Perché l’introversione ecclesiale è così insidiosa?
«Se la Chiesa è auto-centrata e ripiegata su se stessa, essa morirà. Perché la Chiesa esiste per il mondo, non per se stessa. La Chiesa prende la sua luce da Cristo, come la luna prende la sua luce dal sole. Ma la luce riflessa della Chiesa non è per se stessa: è per il mondo, per la vita del mondo. Invece ora vedo affiorare in molti ambienti ecclesiali anche la tentazione di voler porre la Chiesa contro il mondo, pieno di peccato, e contro gli uomini peccatori. Ma Gesù ha mangiato con i peccatori. li ha abbracciati. La Chiesa è chiamata a offrire al mondo la stessa testimonianza di amore e di perdono, e non una ideologia impastata di parole cristiane».

*
ECUMENISMO: CARD. KOCH, "COMPIERE PASSI NELLA QUESTIONE CRUCIALE DEL PRIMATO"


“Spianare la strada verso il futuro” nel cammino di riconciliazione tra la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’Oriente significa “compiere ulteriori passi comuni nella questione cruciale del primato del vescovo di Roma”. Spinge in avanti il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Ieri pomeriggio a Castel Gandolfo è intervenuto al Convegno dei vescovi amici del Movimento dei Focolari con una relazione dal titolo “Sinodalità e primato alla luce degli stimoli forniti da Papa Francesco”. Secondo il cardinale, la questione non è arrivare “ad un compromesso intorno al minimo comune denominatore. Piuttosto si vogliono far interloquire i punti di forza di entrambe le Chiese, confidando nel fatto che esse siano disposte ad imparare l’una dall’altra e dando prova del principio fondamentale del dialogo ecumenico che consiste nel mutuo scambio di doni. In questo senso, entrambe le parti nel dialogo ecumenico devono fare passi l’una verso l’altra”. Da un lato la Chiesa cattolica “dovrà ammettere che non ha ancora sviluppato nella sua vita e nelle sue strutture quel livello di sinodalità che sarebbe teologicamente possibile e necessario”. (segue)
 
Dall’altro “le Chiese ortodosse possono imparare che un primato anche al livello universale della Chiesa non è soltanto possibile e teologicamente legittimo ma è necessario, e che le stesse tensioni all’interno dell’ortodossia suggeriscono che occorre riflettere su un ministero dell’unità a livello universale”. “La riuscita di una sintesi credibile tra primato e sinodalità – ha proseguito il cardinale - dipenderà soprattutto da quanto il primato del Vescovo di Roma dimostrerà di essere un primato dell’obbedienza al Vangelo”. “Soltanto se il Vescovo di Roma – ha detto il cardinale -, il cui compito consiste nel far sì che la Chiesa si impegni all’ubbidienza davanti alla Parola di Dio, è egli stesso modello esemplare di ubbidienza e dunque non si auto-concepisce come regnate assoluto intento a seguire soltanto le proprie idee e le proprie visioni, nel senso di una monarchia di tipo politico, né limita il proprio servizio ad un semplice primato onorifico, vi è davvero la speranza e la possibilità che il primato del Vescovo di Roma si ponga al servizio del ristabilimento della Chiesa una e indivisa in Oriente e in Occidente”. (segue)
 
“Ci auguriamo di cuore – ha quindi concluso il capo del dicastero vaticano – e preghiamo affinché ciò avvenga, che l’incontro che avrà luogo il prossimo maggio a Gerusalemme tra il Patriarca ecumenico Bartolomeo e Papa Francesco, nel ricordo del primo incontro tenutosi cinquant’anni fa tra i rappresentanti delle due Chiese, possa offrire rinnovata speranza nel dono della comunione ecclesiale”. Nel ricordare il richiamo del Patriarca Athenagoras nel 1968, “E’ giunta l’ora del coraggio cristiano”, il cardinale rivolgendosi ai vescovi ha aggiunto: “Tutti noi siamo chiamati ad apportare il nostro contributo affinché il cammino della riconciliazione tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente, e quindi anche tra sinodalità e primato, iniziato cinquant’anni fa pieno di promesse, possa infine raggiungere il suo obiettivo nell’agape eucaristica. Questo è un duro compito, ma è in prima linea una grande grazia concessa a tutti noi”.
Sir