venerdì 28 febbraio 2014

Un anno fa il pellegrino Benedetto saliva sul monte


«Il mio anno vissuto al fianco del Papa emerito»
«Attentissimo» alla vita della Chiesa guidata da papa Francesco con cui ha un «ottimo rapporto» e nessuna «contrapposizione», nonostante quello che scrivono «alcuni giornalisti». «Attento» anche alle vicende del mondo - con un occhio particolare all’Italia e alla sua Germania. Molto impegnato a disbrigare una copiosa corrispondenza privata che cresce di giorno in giorno. È questo il Papa emerito Benedetto XVI visto molto da vicino che l’arcivescovo Georg Gänswein, suo segretario particolare e prefetto della Casa Pontificia del suo successore, racconta ad Avvenire. Incontriamo il presule nei suoi uffici alla vigilia del primo anniversario dal termine del pontificato di Benedetto XVI. Con lui raccontiamo la vita quotidiana che il Papa emerito conduce nel monastero Mater Ecclesiae, edificio che ospitava originariamente la direzione della Radio Vaticana e che Giovanni Paolo II aveva trasformato in residenza di una comunità di monache di clausura.

Eccellenza, chi vive col Papa emerito nel monastero Mater Ecclesiae?
Ci sono le quattro memores Domini - Carmela, Loredana, Cristina e Rossella - e chi parla. Durante la giornata poi viene anche la sua segretaria suor Birgit Wansing che la sera però torna nella sua casa dell’Istituto di Schoenstatt di cui fa parte.

Non era con voi anche un diacono fiammingo della famiglia spirituale "Das Werk"?
Sì, è vero. È stato con noi all’inizio dopo la rinuncia per alcune settimane, ma poi è tornato alla sua comunità per continuare la sua formazione. Tra poco verrà ordinato sacerdote.

La giornata comincia con la celebrazione della Santa Messa…
Come sempre. Nella semplice bella cappella del monastero. Poi c’è la recita del breviario e quindi la prima colazione.

E poi?
Comincia il primo tempo della giornata. Il Papa emerito prega, legge, cura la sua corrispondenza privata, riceve ospiti. Quindi c’è il pranzo, che, insieme alla siesta, segna l’intervallo con il secondo tempo della giornata, che inizia intorno alle sedici con la consueta passeggiata nei Giardini vaticani e con la recita del Santo Rosario.

E lei lo accompagna?
Sì, come lo accompagno nelle brevi camminate che il Papa emerito ama fare dopo i pasti.

Poi?
Il secondo tempo della giornata, come nelle partite di calcio, è simile al primo. Preghiera, lettura, corrispondenza, visite. Con un ritmo piuttosto umano, non da caserma prussiana.

Cosa legge?
Ora ha più tempo per dedicarsi al suo primo amore, la teologia. Ma arrivano tanti libri di vario genere. Ovviamente non li può leggere tutti, ma guarda, sfoglia e - se gli interessano - legge anche testi di storia e biografie di grandi personalità.

Qualche titolo?
Preferisco mantenerli nel mio cuore.

La sua grande biblioteca è stata tutta trasferita nel monastero?
Sì. Tutti i suoi amati libri sono accanto a lui.

Legge giornali?
Sì.

Quali?
Anche in questo caso non voglio far nomi. Comunque sfoglia quotidiani italiani e tedeschi e poi c’è anche la rassegna stampa compilata dalla Segreteria di Stato.

Corrispondenza diceva. Ne ha molta?
È cresciuta. Il Papa emerito ha un bel ritmo. Risponde a molte lettere, sia di chi già conosce, ma spesso anche a quelle - e aumentano sempre più - di chi non conosce.

Quindi se si scrive a lui c’è la fondata speranza di poter ricevere una risposta?
Che sia sempre lui stesso a rispondere questo non si può promettere. Ma se una persona scrive, di solito riceve una risposta.

Sta scrivendo qualche nuovo libro, magari di carattere autobiografico?
No. Non si possono prevedere nuovi libri a sua firma. Né autobiografici, né teologici. Una diversa questione sono i volumi dell’Opera omnia, edita dalla Herder e dalla Lev, che continuano ad essere pubblicati secondo programma.

Incontra persone già conosciute o anche nuove?
Preferisce ricevere chi già conosce, perché sono già tanti. Ma lei non può immaginare quanti siano quelli che lo vogliono incontrare, vedere. Io comunque gli sottopongo tutte le richieste e lui poi decide. Nel frattempo la lista d’attesa è già diventata molto lunga…

Ascolta musica?
Certamente sì.

Generi?
Soprattutto musica classica: Mozart innanzitutto, e poi Bruckner, Liszt, Bach, Schubert, Beethoven, Brahms. Ma anche musica religiosa: gregoriano e polifonia. E non possono mancare ovviamente le registrazioni dei Regensburger Domspatzen del fratello Georg.

Suona?
Ogni tanto. La sera, dopo cena.

Quali autori?
Ama improvvisare. Ma riconosco anche qualche pezzo di Mozart e di altri compositori da lui preferiti.

Guarda la televisione?
Solo i telegiornali delle 20 o delle 20,30 se c’è qualche ospite e la cena si prolunga.

Vede dvd?
Ogni tanto.

Quali?
I vecchi film di Don Camillo con Fernandel e quelli della serie Rex, il pastore tedesco famoso anche in Italia, dei bei filmati sui santi e anche alcune puntate di Don Matteo. Inoltre ci sono degli interessanti documentari che riceviamo.

Segue la politica?
Sì, per quanto gli è possibile. Innanzitutto le grandi questioni internazionali. Ma anche le vicende italiane e quelle del suo Paese.

Fa commenti?
Certo, ma preferisco tacerne...

Segue la vita della Chiesa?
Attentamente.

Quindi anche l’attività di papa Francesco?
Ovviamente, giorno per giorno.

Anche le nomine?
Le legge quando vengono pubblicate sull’Osservatore Romano.

Il Papa e il Papa emerito si sentono frequentemente?
C’è un ottimo rapporto. Le modalità con cui si sentono sono diverse. Si telefonano, si scrivono, si vedono, mangiano insieme. Più volte papa Francesco è stato ospite a pranzo nel monastero. Una volta, dopo Natale, il Papa emerito è stato anche a Santa Marta.

C’è chi li contrappone.
È un gioco preferito anzitutto da alcuni giornalisti. Che non mi piace. Io ho la grazia di vivere con uno e di lavorare con l’altro. E così posso permettermi di dire di conoscere abbastanza bene entrambi. Non li vedo come opposti, ma come complementari. È ovvio che lo stile, la gestualità e anche la modalità di governo di papa Francesco sono diverse da quelle di papa Benedetto. Ma non si può creare una opposizione soltanto su questo. Fare le cose in modo diverso non vuol dire farle in modo opposto. Occorre sempre avere in mente ciò che il Papa emerito ha scritto al professor Hans Küng e ripetuto ad Andrea Tornielli, quando ha espresso «identità di vedute e amicizia di cuore» nei confronti di papa Francesco.

Anche sulla liturgia ci sono sensibilità diverse.
È vero, questo è un fatto oggettivo, e non è offensivo dirlo. Ma anche in questo caso, ripeto, fare le cose in modo diverso non vuol dire farle in modo opposto.

Il Papa emerito come ha seguito e come segue il dibattito che si è avuto al Concistoro e il cammino sinodale sulla pastorale familiare?
Segue anzitutto tramite i mass media. Prende atto quindi di ciò che si scrive, di ciò di cui si parla, di ciò che si decide. In modo passivo ad extra e in modo attivo ad intra.

Cioè?
Ascolta e legge quello che si è potuto sentire riguardo al Concistoro o al questionario inviato dalla Segreteria generale del Sinodo. Ma non chiama nessuno "in alto" per dare consigli o indicazioni. Lui si è ritirato. Non prende più parte al governo della Chiesa. E questo non è stato detto una volta e poi dimenticato. Vale e varrà anche in futuro.

Il Papa emerito non si è mai pentito di essersi dimesso?
Mai. Anche per questo vive totalmente in pace con sé, e con il Signore.

E di farsi chiamare Papa emerito?
Neanche. Ritiene che questo titolo corrisponda alla realtà.

Ha mai pensato di ritirarsi in Germania?
Per quanto posso sapere, mai. Nei miei colloqui con lui non ho mai percepito questo desiderio, questa nostalgia, questa idea.

Gianni Cardinale (Avvenire)

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Il Segretario di tre Papi racconta la rinuncia di Benedetto XVI 

Mons. Alfred Xuereb racconta della sua nomina come Segretario particolare di Bergoglio, dell'amicizia tra Wojtyla e Ratzinger e l'emozione provata per la beatificazione del Papa polacco


“C’era il rischio di veder esprimere tante critiche contro Papa Benedetto XVI; molti avrebbero detto: 'Ha cominciato un’opera e non ha avuto il coraggio di completarla. Invece, io ho visto la eroicità in questo gesto: lui non ha guardato al rischio che la sua rinuncia potesse essere considerata una mancanza di pavidità, ma era convinto che quello fosse ciò che il Signore gli chiedeva in quel momento”. A parlare così è monsignor Alfred Xuereb, già prelato di anticamera pontificia con Giovanni Paolo II, poi secondo segretario di Benedetto XVI e attuale primo segretario particolare di Papa Francesco. Era lui uno dei pochi - insieme a mons. Georg Ratzinger, a mons. Georg Gänswein e alle quattro Memores Domini - a sapere da tempo le intenzioni di Joseph Ratzinger di rinunciare al ministero petrino. Di seguito l'intervista esclusiva a mons. Xuereb.
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Lei era a conoscenza in anteprima dell’annuncio della rinuncia di Benedetto XVI? Come Le è stata comunicata la decisione? Qual è stata la Sua reazione? C’erano già dei segni che Benedetto XVI stava prendendo questa decisione?
Mons. Xuereb: Già qualche tempo prima dell'annuncio, mi colpiva il raccoglimento intenso che Papa Benedetto faceva prima della Messa in sacrestia. La Messa doveva iniziare alle 7.00. Alcune volte, però, si sentiva suonare l’orologio nel Cortile di San Damaso, e lui rimaneva in raccoglimento. Pregava. C’è stato un periodo in cui si raccoglieva in modo più intenso del solito. Avevo una netta sensazione: qualcosa di molto importante stava avvenendo nel cuore del Papa, c’era qualche intenzione particolare per la quale il Santo Padre stava pregando. Non so di preciso, ma forse proprio quello è stato il tempo del travaglio interiore che lui ha vissuto prima di arrivare all’eroica decisione della rinuncia. La notizia è stata comunicata a noi in modo personale. Io sono stato convocato da lui in modo ufficiale. Mi sono seduto davanti alla sua scrivania. Anche se non era la prima volta, percepivo di dover ricevere una comunicazione molto importante. Ovviamente, nessuno se lo aspettava. Lui era calmo, come uno che aveva già passato un travaglio e superato il momento dell’indecisione. Era sereno come colui che sa di essere nella volontà del Signore. Appena ho appreso la notizia, la mia prima reazione è stata: “No, Santo Padre! Perché non ci pensa ancora un po’?”. Poi ho frenato me stesso e mi sono detto: “Chissà da quanto tempo esamina questa decisione. Mi sono ritornati alla mente come in un baleno i momenti lunghi e raccolti della preghiera prima della Messa e ho ascoltato attentamente le sue parole. Era già tutto deciso. Mi ha ripetuto per due volte: “Lei andrà con il nuovo Papa”. Forse aveva avuto un’intuizione, non lo so. Il giorno in cui ho lasciato Papa Benedetto a Castel Gandolfo, ho pianto e l’ho ringraziato per la sua grande paternità.
In che modo è cambiata la sua quotidianità dopo la notizia?
Mons. Xuereb: Per me è cambiata molto. Avevo crisi di pianto, era molto difficile staccarmi da Papa Benedetto XVI. L’11 febbraio 2013, nella Sala del Concistoro, ero su uno sgabello al lato, mentre lui leggeva io piangevo, la persona accanto a me mi dava delle gomitate e mi diceva “controllati perché anch’io sono commosso”. Ero meravigliato dalle espressioni dei cardinali che avevo davanti a me. Mi ricordo il card. Giovanni Battista Re che non credeva alle sue orecchie. A tavola, quel giorno, abbiamo parlato di questo e ho detto a Papa Benedetto: “Ma Santo Padre, Lei è rimasto molto tranquillo”. “Sì”, mi ha risposto deciso. La decisione era presa, il parto era avvenuto, adesso spettava a noi aderire a questa scelta grande che aveva fatto: una scelta di governo, che all’inizio poteva sembrare la scelta di un abbandono del governo. Tanti cardinali, finito il concistoro - alcuni perché non avevano udito, altri perché non conoscono bene il latino - si sono avvicinati ai cardinali Angelo Sodano e Giovannni Battista Re per capire meglio quello che aveva detto Benedetto. Il Santo Padre è rimasto tranquillo fino all’ultimo giorno, anche quando si è recato a Castel Gandolfo.
Non tutti hanno capito ancora quali siano le ragioni della rinuncia …
Mons. Xuereb: Benedetto XVI era convinto di quello che il Signore gli chiedeva in quel momento. “Io non ho più forze per continuare la mia missione - ha detto -  la mia missione è conclusa, rinuncio in favore di qualcun altro che ha più forze di me e porterà avanti la Chiesa”. Perché la Chiesa non è di Papa Benedetto, ma di Cristo.
Moltissime persone hanno cominciato a inviare a Benedetto XVI quelli che lui ha chiamato “segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera”. Lei cosa sa di questo?
Mons. Xuereb: Mi ricordo benissimo. Dopo il 28 febbraio 2013, a Castel Gandolfo sono cominciate ad arrivare migliaia di lettere. Era impressionante. Prima non ne arrivavano così tante. Tutti si sono scatenati nello scrivere al Papa. Ma quello che era bello, era vedere che quanti scrivevano spesso allegavano qualche cosa alla lettera: un oggetto fatto a mano, uno spartito musicale, un calendario, un disegno. Come se la gente volesse dire: “Grazie di tutto quello che hai fatto, apprezziamo il sacrificio che hai fatto per noi. Vogliamo non solo esprimere questi sentimenti, ma regalarti qualcosa di nostro”. Tra queste lettere ne arrivavano tantissime dai bambini. Riempivo tutto lo scaffale con le lettere in arrivo. Ovviamente il Papa non aveva il tempo di guardarle tutte, perché erano migliaia. Una sera, passandogli accanto, ho detto: “Guardi, Santo Padre, queste sono le lettere che sono arrivate oggi, tra cui molte di bambini.” Lui si è rivolto a me e mi ha detto: “Quelle sono lettere molto belle”. Mi ha colpito molto, questa tenerezza nei confronti dei bambini. Il Papa ha avuto sempre un carattere tenero. Forse, voleva aggiungere: “A differenza delle lettere che mi preoccupano, che mi creano problemi.” Credo che fossero come un antidoto, una carica per lui, che lo hanno aiutato a sentirsi ben voluto.
Lei stava con Benedetto XVI nei giorni del Conclave. Come ha vissuto quel periodo il Papa emerito?
Mons. Xuereb: Con molta aspettativa per il Conclave, l’elezione ecc. Era ansioso di sapere chi sarebbe stato il suo Successore. Per me è stata commovente la telefonata che subito il nuovo Pontefice ha fatto a Papa Benedetto. Io ero accanto e gli ho passato il ricevitore. Che emozione sentire Benedetto dire: “Io La ringrazio, Santo Padre, perchè ha pensato a me. Io Le prometto fin da subito la mia obbedienza. Io prometto la mia preghiera per Lei!”. Sentire queste parole da una persona con la quale ho vissuto e che era il mio Papa, sentire questo mi ha procurato un emozione molto forte.
Poi, è arrivato il momento del congedo…
Mons. Xuereb: Sono stato con lui fino a due, tre giorni dopo l’elezione di Papa Francesco. Il momento in cui sono dovuto andare via lo ricordo minuto per minuto, perché è stato – se posso usare questo aggettivo – straziante per me. Ho vissuto quasi otto anni accanto a una persona che mi ha voluto bene come un padre, che mi ha permesso di entrare in una confidenzialità sempre rispettosa, ma molto intima, ed è arrivato il giorno del distacco. Papa Benedetto aveva scritto una bellissima lettera – della quale mi ha consegnato una copia che conservo come un gioiello – nella quale indicava al nuovo Papa alcuni miei pregi. Forse ha voluto evitare di scrivere dei miei difetti... Assicurava che mi aveva lasciato libero. Mi ricordo anche il modo in cui ho fatto le valigie. Mi dicevano: “Affrettati, perché il Papa ha bisogno di te, sta aprendo da solo le lettere. È solo, non c’è nessuno. Manda le tue cose giù in fretta”. Non sapevo niente di quello che stava succedendo a Santa Marta, non sapevo neanche che Papa Francesco non avesse un segretario. Poi è arrivato il momento toccante, quando sono entrato nell’ufficio di Benedetto per salutarlo personalmente. Dopo c’era il pranzo, ma io l’ho salutato in quel momento e gli ho detto: “Santo Padre, per me è molto difficile staccarmi da Lei. La ringrazio molto per quello che Lei mi ha donato”. La mia gratitudine non era dovuta al fatto che lui mi concedeva di stare con il Papa nuovo, come aveva scritto qualcuno, ma alla sua grande paternità. Papa Benedetto in questi momenti non si è emozionato. Si è alzato, io mi sono inginocchiato, come eravamo abituati, per baciare l’anello. Non solo mi ha permesso di baciare l’anello, ma ha alzato la mano su di me e mi ha dato la benedizione. Ci siamo congedati in questo modo. Poi, c’era il pranzo, ma non sono riuscito a dire una parola.
Come è arrivata la Sua nomina a secondo segretario di Papa Benedetto?
Mons. Xuereb: Io già lavoravo alla Seconda loggia come prelato di anticamera per accompagnare le personalità che avevano l’udienza privata nella Biblioteca. Un giorno mi è stato detto: “Il Papa ha bisogno di parlarti". Rimasi molto colpito di trovarmi seduto su quella stessa sedia su cui per alcuni anni, prima con Giovanni Paolo II, poi con lo stesso Benedetto, avevo invitato le persone ad accomodarsi al lato della scrivania del Papa. Benedetto XVI volle parlarmi personalmente, e mi disse delle bellissime parole: “Come Lei sa, mons. Mietek adesso torna in Ucraina. Siamo stati molto contenti di lui e ho pensato che Lei potrebbe sostituirlo. So – diceva – che Lei è stato in Germania, quindi conosce anche un po’ di tedesco”. Io ho risposto che ero stato a Műnster, che avevo fatto pratica in un ospedale che il Papa mi disse di conoscere. Conosceva anche la zona dove noi abitavamo e la parrocchia, e persino il parroco perché lui aveva abitato nelle vicinanze e aveva insegnato lì. Conosceva due professori, il prof. Pieper e un teologo di nome Pasha. A causa di un bombardamento la sua casa era andata distrutta ed era stato poi invitato dalle stesse persone dove io ero ospitato. Il Santo Padre disse anche una cosa su Malta e aggiunse: “Ovviamente adesso ognuno avrà i suoi compiti.” Quindi capii che si doveva cominciare presto. E cominciai subito.
Immagino che quella volta Lei abbia fatto le valigie con gioia…
Mons. Xuereb: Anche con emozione. Tanta emozione...
Benedetto XVI ha proseguito la tradizione di Giovanni Paolo II di portare nella preghiera personale le tante intenzioni presentate tramite la segreteria?
Mons. Xuereb: Sì, già lo faceva Giovanni Paolo II ed era compito di mons. Mietek. Io ho ereditato questo bellissimo compito. Le intenzioni arrivavano quasi ogni giorno; tante non arrivavano a noi della segreteria particolare, ma direttamente in Segreteria di Stato. A quelle si rispondeva che il Papa avrebbe rivolto una intenzione generale durante la sua preghiera. Benedetto XVI rimaneva molto impressionato: quante malattie diverse che magari noi non conoscevamo, e quante famiglie vivevano il dramma della malattia! Pensava non soltanto alla persona malata, ma anche a tutta la famiglia che giorno e notte, Natale e Pasqua, estate e inverno, doveva curare e accudire i propri ammalati, alcuni molto gravi. Quante famiglie erano in angoscia perché si trattava dei bambini appena nati o piccoli! E quando c’era qualche intenzione di preghiera da Malta o dalla mia città lui mi chiedeva: “Queste persone Lei le conosce?”. Alcune volte dicevo di sì perché le conoscevo, altre volte dicevo no, perché non le conoscevo. Ma quello che mi colpiva era che il Papa, dopo alcuni giorni, più di una volta finito il rosario nei Giardini, si rivolgeva a me e chiedeva: “Ha avuto delle notizie di quel signore – mi diceva il cognome – di cui Lei mi aveva parlato?”. In alcuni casi dovevo dire che purtroppo la persona era morta, e mi colpiva il fatto che il Santo Padre si raccogliesse e recitasse subito l’Eterno Riposo. E invitava anche me, che gli davo questa notizia, a pregare subito. Il Papa, che aveva mille cose, mille pensieri, considerava la sua preghiera per i malati un ministero pastorale importantissimo. Lasciavo i foglietti con i nomi delle persone per cui pregare sull’inginocchiatoio, che aveva una specie di cassetta. So che lui li sfogliava spesso. Erano lì, non li toglievo mai finché lui non me lo diceva.
Si avvicina la canonizzazione di Giovanni Paolo II. Benedetto XVI lo ricordava spesso?
Mons. Xuereb: Si, certo. Lo chiamava "il Papa". Quando diceva "il Papa", all’inizio non capivo. Lui considerava se stesso come uno che collaborava con "il Papa". Penso che egli abbia servito fedelmente "il Papa" non soltanto perché sapeva cosa vuol dire teologicamente “il Successore di Pietro”, ma anche per la venerazione particolarissima per il Pontefice a cui era stato educato nell’ambiente religioso bavarese. In questo senso per lui servire "il Papa" è stato un dono grandissimo. 
Dalla Sua posizione, come vedeva questo rapporto di amicizia tra Giovanni Paolo II e card. Ratzinger?
Mons. Xuereb: Ho partecipato una sola volta agli incontri che il card. Ratzinger ha avuto con Giovanni Paolo II, e precisamente in occasione dell’Udienza plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui era Prefetto. Posso solo confermare quello che era già noto a tutti, e cioè che Giovanni Paolo II aveva una grandissima fiducia in Ratzinger, si rivolgeva a lui per chiedere pareri o per stilare e correggere documenti importanti. Il fatto stesso che Giovanni Paolo II non abbia accettato, più volte, le dimissioni del card. Ratzinger, che aveva già compiuto da qualche anno i 75 anni di età, vuol dire che non voleva perdere un uomo di fiducia, un collaboratore così valido. Qui vedo un altro aspetto della santità di Giovanni Paolo II, e cioè la sua lungimiranza. Lui guardava molto avanti e forse prevedeva anche che Ratzinger sarebbe potuto essere il suo Successore.
Come avete vissuto la beatificazione di Giovanni Paolo II?
Mons. Xuereb: Papa Benedetto era molto contento di questo. Si vedeva anche alla Messa, quando ha pronunciato, durante l’omelia, la frase “Ora è beato!”. Basterebbe rivedere il filmato per capire quanto fosse contento!
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Monsignore Alfred Xuereb, maltese, classe 1958. Il Servizio per la Santa Sede è cominciato sotto il pontificato di Giovanni Paolo II nel 2001 nella Prima sezione della Segreteria di Stato. In seguito, è diventato collaboratore del Mons. James Harvey nella Prefettura della Casa Pontificia e da settembre 2003 ha assunto la funzione di prelato di anticamera pontificia, cioè del prelato responsabile per la presentazione al Papa degli ospiti ricevuti da lui in udienze private nel Palazzo Apostolico. In questo tempo don Alfred Xuereb ha avuto l’opportunità di conoscere Giovanni Paolo II più da vicino. Dal settembre 2007 ha svolto accanto a Georg Gänswein la funzione di secondo segretario di Benedetto XVI. Prima di lui c’era il polacco, don Mieczysław Mokrzycki, ora arcivescovo metropolita di Lemberg, in Ucraina. Dopo l’elezioni del cardinale. Jorge Maria Bergoglio al soglio di Pietro, è diventato il primo segretario particolare di Papa Francesco.
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Questa intervista è stata pubblicata in polacco sul blog cattolico “Stacja 7” www.stacja7.pl

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Un anno fa il pellegrino Benedetto saliva sul monte

Di Marco Mancini
Un anno fa si chiudeva in diretta televisiva, trasmessa in tutto il mondo, il portone del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Una porta si chiudeva plasticamente su un intero pontificato, quello di Benedetto XVI la cui rinuncia – alle 20 di un anno fa – diventava ‘operativa’. Indelebile negli occhi, nella mente e nel cuore di tutti quell’elicottero bianco che si staccava dal suolo vaticano e che, con a bordo il Papa, sorvolava la cupola della Basilica Vaticana per dirigersi a Castel Gandolfo. Lì l’ultimo saluto pubblico di Papa Benedetto XVI ai fedeli. Il pellegrino Benedetto saliva sul monte e si accomiatava augurando una informale ‘buona notte!’.
Benedetto XVI da allora – dalle 20 del 28 febbraio di un anno fa – è Papa emerito, un titolo che mai nessuno prima di lui aveva assunto nella storia della Chiesa Cattolica.
Un pontificato quello ratzingeriano durato poco meno di otto anni, ricco non soltanto di numeri ma anche di significati. Il Papa, ora emerito, ha combattuto su più fronti, forse tre le direttrici principali: la lotta contro il relativismo, quella contro la pedofilia nella Chiesa e la campagna per la trasparenza finanziaria. Battaglie che adesso combatte in prima linea Papa Francesco. Quelle di Papa Benedetto non sono state sortite formali, parole vuote, slogan pubblicitari. Al contrario Joseph Ratzinger ha dimostrato una coerenza fuori dal comune, anteponendo i fatti alle parole. Si ricordino, soltanto per fare due esempi, la modifica in senso più restrittivo delle Normae de gravioribus delictis ed il Motu proprio per la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario.
Lungo l’arco del suo pontificato Benedetto XVI ha donato ai fedeli tre encicliche (quasi quattro per la verità, visto che buona parte della Lumen Fidei firmata da Francesco è opera di Papa Ratzinger). Quattro le esortazioni apostoliche post sinodali, la trilogia su Gesù di Nazareth firmata sia come Joseph Ratzinger sia come Benedetto XVI. Un Pontefice accusato spesso di essere freddo e distante ma che invece si è dimostrato vicino e aperto al dialogo: prova ne siano la lettera inviata per spiegare il motivo della remissione della scomunica ai Vescovi Lefebvriani e quelle spedite ai cattolici irlandesi e cinesi per esprimere chiedere perdono ai primi ed esprimere vicinanza ai secondi.
Papa Ratzinger ha lavorato alacremente anche sul fronte dell’ecumenismo. Da segnalare, ad esempio, l’impegno profuso per reinserire nella Chiesa Cattolica i cosiddetti ‘anglicani tradizionalisti’. Con la costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus, Benedetto XVI apriva le porte di Roma a clero e fedeli anglicani disposti a tornare nel recinto dell’Apostolo Pietro. Molto intenso anche il rapporto con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. ‘Noi lo onoreremo sempre – commentava infatti Bartolomeo – come caro e fedele amico della nostra Chiesa e fedele servitore della causa sacra dell’unione di tutti’.
Papa Benedetto ha presieduto cinque concistori, nei quali ha creato complessivamente 90 cardinali, provenienti da 37 nazioni diverse. E nonostante l’età avanzata – eletto a 78 anni – Benedetto XVI non ha voluto rinunciare a viaggiare, seguendo le orme dei suoi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il Papa ha compiuto 24 viaggi apostolici internazionali raggiungendo tutti i continenti: dalla Germania – tre volte – agli Stati Uniti, dal Brasile all’Australia, dalla Turchia alla Terra Santa.
Gli inciampi, le difficoltà, le prove non sono mancate. E Benedetto le ha affrontate senza mai tirarsi indietro. Mettendoci la faccia, in prima persona. Non sottraendosi mai alla responsabilità di guidare la barca di Pietro. Nel libro intervista ‘Luce del Mondo’ il Papa disse che dare le dimissioni era un dovere qualora le forze fossero venute a mancare, ma che non avrebbe mai lasciato in un momento di tempesta. Benedetto ha portato la nave in porto, poi ha ceduto il passo restando però all’interno della Chiesa. La croce è rimasta sulle sue spalle.
Ripercorrere l’intero pontificato di Benedetto XVI in poche righe è un’impresa impossibile. E’ stato un pontificato fecondo, complesso, ricco. Forse non ancora compreso – da nessuno di noi – nella sua totalità. E soprattutto da non ridurre – semplificando – al gesto della rinuncia. Un grande gesto, che però deve essere inserito nel contesto corretto, come l’ultima tessera di un imponente, storico, stupefacente mosaico che Papa Benedetto ha donato con il suo operato e la sua testimonianza alla Chiesa e al suo Successore sulla Cattedra di Pietro.