giovedì 27 febbraio 2014

Perché San Paolo scrive che la donna deve essere «in piena sottomissione»?




In una lettera di Paolo di Tarso a Timoteo si legge: «La donna impari in silenzio, in piena sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre». Come si giustifica questa scarsa considerazione di San Paolo, che considero grandissimo, verso la donna?

Gian Gabriele Benedetti

Risponde don Filippo Belli, docente di Teologia biblica alla Facoltà teologica dell'Italia centrale.

Il testo in questione è tratto dalla prima lettera a Timoteo. È certo che brani di questo genere scandalizzino un po’ la nostra sensibilità attuale. Nessuno si permetterebbe di pronunciare simili parole, soprattutto in pubblico e apoditticamente.

Ora, occorre perlomeno precisare alcune cose del contesto in cui queste parole furono scritte, capirne il significato, ma anche cercare di comprendere se esse hanno ancora un valore oggi e quale.

Quattro considerazioni su questo testo mi sembrano importanti.

La prima è che praticamente tutta la prima lettera a Timoteo è, direi, una messa in guardia da abusi, deviazioni, confusioni che possono minare la vita della Chiesa. Paolo stesso indica lo scopo dello scritto: «voglio che tu sappia come comportarti nella Casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente» (1Tm 3,14-15). Non deve sorprendere allora di ritrovare in numerosi punti della lettera richiami, ammonizioni e correzioni. Fa parte del ministero apostolico, come succede anche oggi. Evidentemente sul punto in questione c’era qualche problema, diciamo dei rischi di abuso. È proprio in forza della novità cristiana, la quale aveva introdotto una sostanziale uguaglianza (non c’è Giudeo né Greco, né uomo né donna, né schiavo né libero, ma tutti siete Uno in Cristo Gesù Gal 3,28) che potevano accadere fatti spiacevoli, soprusi, protagonismi, come molti punti delle lettere paoline ci testimoniano.

La seconda considerazione è che se è vero che Paolo ha qualcosa da dire sul comportamento delle donne in assemblea, è vero anche che lo stesso fa per gli uomini richiamandoli a una preghiera che sia sincera: voglio dunque che in ogni luogo gli uomini (leggi i maschi) preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche (1Tm 2,8). Ce n’è dunque anche per loro. Ma la stessa cosa vale per ogni categoria di persona: vescovo, presbitero, diacono, schiavo, insegnanti, ecc. ai quali Paolo rivolge severi ammonimenti.

La terza considerazione parte da una constatazione: nella stessa lettera ci sono due accenni al un ruolo positivo e costruttivo della donna nella vita della Chiesa. In 3,11 Paolo sembra alludere alla possibilità di un ministero diaconale anche femminile (la cosa a dire il vero è molto discussa, ma non si può escludere) e in 5,3ss anche le vedove sono ritenute una risorsa per la Chiesa, qualora non deviino dal loro status. Nonostante la durezza del linguaggio, non si può dire allora che Paolo abbia una visione totalmente e assolutamente negativa della donna. Tanto più se teniamo in conto tutto l’epistolario paolino e non soltanto la nostra lettera.

Infine, è da ricordare che Paolo scrive in un contesto culturale certamente diverso dal nostro, nel quale la donna era vista in modo sicuramente diverso da come oggi la consideriamo e che l’idea della sua sottomissione all’uomo era l’idea fondamentale (è arrivata fino ai giorni nostri comunque!). In questo caso Paolo, come anche in altri - vedi gli schiavi - non fa rivoluzioni, ben cosciente che la vera rivoluzione avviene con il cambiamento del cuore e non con cambiamenti strutturali immediati (che invece seguiranno nel tempo grazie anche al cristianesimo). È da considerare per esempio che in ambito giudaico era impensabile (e lo è tutt’ora in gran parte dell’ebraismo) che una donna partecipi attivamente e ministerialmente alla liturgia sinagogale. Anche le motivazioni teologiche addotte, la primazia creaturale dell’uomo sulla donna e la fragilità della prima donna alle lusinghe del peccato sono tipicamente giudaiche e alle queste Paolo si attiene da buon giudeo.

Detto tutto questo, abbiamo cercato di «giustificare» Paolo e le sue affermazioni nel loro contesto.

Ma dobbiamo domandarci se queste parole abbiano ancora un valore per noi oggi e quale, o se non dobbiamo invece tralasciarle come retaggi culturali ormai sorpassati. Ma quest’ultima soluzione significherebbe non lasciare che la Parola di Dio illumini il nostro cammino e decidere da noi stessi quello che vale in essa e quello che si può abbandonare. Essa però non sarebbe più, secondo l’espressione della lettera agli Ebrei, viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e del corpo, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore (Eb 4,12)

Mi permetto quindi tre brevi riflessioni.

La prima, forse molto utile oggi in un contesto in cui si vuole a tutti i costi eliminare la differenza sessuata tra maschio e femmina, consiste nel fatto che è nella struttura stessa delle cose che l’uomo e la donna siano diversi. La differenza sessuale non è un mero dato fisiologico e funzionale, ma stabilisce anche caratteristiche diverse come temperamento fondamentale, come attitudini generali, e quindi anche come ruolo nell’economia globale della vita, soprattutto familiare e sociale, ma anche ecclesiale. Non a caso la Chiesa cattolica si rifiuta di cedere a istanze egualitarie che non rispettino, per il bene della donna stessa, tale differenza. Le parole di Paolo richiamando ciascuno dei due sessi ai loro fondamentali difetti e derive possibili (l’ira e la vis polemica per gli uomini e la chiacchiera, la vanità e la volontà di riscatto per la donna) non fanno che avvertire tutti noi ancora oggi di questo dato fondamentale che, se vissuto bene, assicura un ordine e una pacifica convivenza.

In secondo luogo, per entrare nel vivo, gli ammonimenti di Paolo sono buoni in sé, tenendo conto delle possibili derive e abusi che un comportamento smodato possono ingenerare. Senza generalizzare e assolutizzare, non è tanto raro trovare nelle nostre comunità cristiane combriccole di donne che soprattutto con chiacchiere, pettegolezzi, pretese, minano la serenità della vita comunitaria. Quindi le parole di Paolo in questi casi valgono ancora, eccome!

Infine la finale di questo brano mi sembra sia un bell’elogio a ciò che è più proprio alla donna, e cioè la maternità, con la quale essa esprime al meglio la sua precipua condizione femminile. Se è vero che tutti siamo peccatori, Paolo vede nella maternità, nella cura e educazione dei figli la possibilità concreta per ogni donna di riscattare a pieno se stessa, di nobilitare la propria vita davanti a Dio e agli uomini vivendo ciò che è più importante vivere: le virtù teologali e la santità e sapienza, ma non in astratto, ma nella concreta maternità. Quanto abbiamo oggi bisogno di donne che facciano figli, e che li educhino nella fede, nella carità e santificazione. Che queste parole di Paolo ci siano di aiuto e sprone a favorire questa grande opera della vita che è la maternità.

sources: Novena.it

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Cosa significa essere genitori?

L'impegno a educare è il primo dovere della famiglia


di Cecilia Elizondo

Quando nasciamo siamo esseri indifesi che hanno bisogno di cure, dedizione e amore da parte dei nostri genitori, del sostegno della nostra famiglia.

La famiglia è il luogo ideale in cui crescere, svilupparsi e imparare valori, condotte, atteggiamenti e tutte quelle risorse che ci aiuteranno nel corso della vita.

È per questo che noi genitori dobbiamo essere consapevoli di cosa significa “essere genitori” e ciò che rappresenta questo grande impegno di educare. Dobbiamo renderci conto che noi genitori siamo i primi responsabili dell'educazione dei nostri figli, della loro cura e della loro formazione nelle varie tappe della vita.

Come genitori, possiamo appoggiarci agli insegnanti, ai nonni, agli amici... per delegare loro certe funzioni dell'educazione dei nostri figli, ma la responsabilità totale ricade su di noi. Questo “dovere” non è trasferibile, nessuno può sostituirci. È importante non dimenticarlo, perché durante l'esercizio della genitorialità può risultare facile abbandonare l'impegno.

Ogni famiglia è unica e ha uno schema culturale e di valori proprio, che è quello che trasmette ai figli. La famiglia, formando esseri umani integri che vivono la verità e si comportano con rettitudine, contribuisce alla società, perché questa sia più piena, sana e produttiva. È questo il grande compito della famiglia nei confronti della società e di Dio.

Visto che ogni famiglia è “unica e irripetibile”, non ci sono ricette specifiche per tutte. Non c'è un manuale universale che ci dica cosa fare e cosa evitare nell'educazione familiare. In ogni famiglia, i genitori sono quelli che imprimono il sigillo familiare a partire dalla propria situazione, dalle condizioni di vita, dall'esperienza, dal proprio schema di valori e dal loro progetto di vita familiare. Da ciò deriva l'importanza di porsi, come genitori, questi obiettivi e questi progetti.

La ricchezza dell'educazione familiare si basa sul fatto di raggiungere lo sviluppo armonico delle potenzialità specificatamente umane (intelligenza e volontà) di ciascuno dei membri di una famiglia, per perseguire la sua perfezione. Ciò significa aiutare ogni figlio ad essere il meglio e a poter mettere a frutto con pienezza i propri talenti, e aiutarlo a superare certi limiti che gli si presenteranno. Ciò si ottiene non con libri, scuole o mezzi di comunicazione, ma attraverso l'amore, la cura, l'affetto e la dedizione, ovvero un servizio di amore totale.

I figli dipendono da qualsiasi espressione di amore o rifiuto dei loro genitori, sono come “spugne” che assorbono tutto, buono e cattivo, per questo ciò che si impara nei primi sette anni di vita lascia un'impronta profonda nell'anima di ogni bambino, nel bene – virtù e valori – o nel male – pregiudizi e comportamenti difficili da superare.

Qual è la sfida in questa educazione familiare? Raggiungere un'“armonia”, una “formazione integrale” che abbracci le varie aree che compongono l'essere umano: fisica – buona salute, buona alimentazione, sport –, affettiva – affetto, sostegno, amore –, sociale – ambiente, famiglia, amici –, spirituale – credenze, fede, tradizioni.

Come raggiungerla? In modo semplice, naturale, trasmettendo valori, formando una retta coscienza, dando un esempio costante, vivendo con un ordine morale, non educando su “sabbie mobili”, ovvero sull'insicurezza, la confusione, la mancanza di conoscenza, ma identificando chiaramente qual è il progetto di Dio per la famiglia e realizzandolo.

Questa formazione che offre la famiglia avviene naturalmente, spontaneamente nelle varie attività quotidiane, perché i figli imparano più da ciò che facciamo che da quello che diciamo, osservano condotte di amore, di rispetto, di rifiuto, di indifferenza...

Essere genitori significa prendersi un impegno per tutta la vita, in cui la coerenza con i valori che predichiamo e la congruenza con ciò che pensiamo, facciamo e diciamo diventano “Legge di vita”.

Che risorse educative ha la famiglia? Molte! Sì, in effetti abbiamo tutti gli strumenti che servono per rendere quest'opera più facile, spontanea ed efficace.

Nell'articolo della prossima settimana presenteremo alcuni “tipi” concreti perché noi genitori possiamo vedere cosa possiamo fare - e come - per educare, formare virtù e integrare valori. Non ve li perdete!


[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]
 sources: Desde la fe