giovedì 13 marzo 2014

Quell’amore che avvicina gli uomini a Dio



Gli esercizi spirituali della Curia romana.

Giudicare ogni gesto nella logica del mondo, o meglio nella logica dell’economia di mercato, significa rischiare di non comprendere il valore di quell’amore che avvicina gli uomini a Dio, Dio agli uomini e gli uomini agli altri uomini, in modo da creare quella comunione d’amore che è una Chiesa accogliente. Un bambino — certamente inconsapevolmente e in modo indiretto — ha ispirato stamane, giovedì 13 marzo, la riflessione della penultima giornata di esercizi spirituali di Papa Francesco e della Curia romana, che si concluderanno nella mattina di domani, venerdì 14 marzo. 
Monsignor Angelo De Donatis ha infatti iniziato la sua predica, nella cappella della Casa Divin Maestro ad Ariccia, individuando nella domanda postagli da un bimbo — che si preparava alla prima comunione — la capacità di Dio di trasformare un gesto semplice, ma fatto con amore, in qualcosa che si diffonde intorno a sé e crea comunione: «Ma tu conosci così bene Gesù per motivi di lavoro o perché siete amici?» è stata la sua richiesta. La conoscenza profonda di Gesù che sconfina nell’amicizia, dunque nell’accoglienza e nell’amore, è stato l’argomento della meditazione.
Il predicatore ha commentato l’episodio evangelico della donna sconosciuta la quale raggiunge Gesù nella casa del lebbroso a Betania e gli unge il capo con un olio preziosissimo, l’olio di nardo (Marco 14, 1-9). Un racconto, ha detto, denso di contenuti sia per il luogo in cui si svolge, sia per il periodo, sia per gli effetti che produce. Il luogo, ha spiegato è la casa del lebbroso, cioè un luogo in cui c’è il male. Gesù dunque va là dove c’è il male. Va perché sa che comunque è amato. La casa infatti si trova a Betania, simbolo dell’accoglienza. Gesù aveva tanti amici a Betania e sapeva di essere amato in quel luogo. Una sensazione, ha sottolineato, a cui aspira oggi ogni uomo che lascia la sua città per altri lidi.
Il Signore è a tavola con i suoi amici, cioè nel momento della condivisione, quando arriva la donna, rompe un vasetto di marmo e comincia a cospargergli il capo con quell’olio prezioso. È un gesto d’amore gratuito, ha spiegato monsignor De Donatis, che acquista ancor più importanza perché compiuto in un tempo in cui si respirava piuttosto un clima di violenza e di odio contro Gesù: mancavano due giorni alla Pasqua e gli scribi stavano cercando un motivo valido per mandarlo a morte.
Il gesto della donna, «forse una prostituta», assume un significato ancor più profondo: mentre c’è chi odia Gesù, lei gli si fa incontro e gli offre tutto ciò che possiede. L’olio infatti, ha spiegato il predicatore, costava quasi quanto lo stipendio di un intero anno di lavoro per un manovale. Dunque la donna aveva offerto a Gesù tutto ciò che aveva risparmiato.
Il profumo di quell’olio si diffonde così su tutti quelli che erano intorno a Gesù; anche se, ha sottolineato monsignor De Donatis, essi non lo apprezzano, anzi criticano quel gesto proprio perché lo considerano uno spreco. Lo giudicano cioè secondo la logica di mercato. Gesù difende quella donna proprio perché non ha dato prezzo all’amore per il suo Dio. Ecco, ha precisato, «è come se Gesù avesse trasformato la prostituzione in profumo». In questo è la sua grandezza: l’uomo deve presentarsi a lui per quello che è, senza timore, con tutti i suoi peccati e con tutto il suo amore. Gesù è capace «di recuperare tutto e trasformarlo in bene». Da parte sua, Dio non chiede mai più di quello che possiamo dare e ci lascia liberi di dare. Ma anche quel poco che riusciamo a dare ci avvicina a lui. E più gli uomini si avvicinano a Dio, più lui si avvicina agli uomini e più gli uomini si avvicinano tra loro. E si crea così quella comunione «che va oltre la morte e passa all’eternità». La Chiesa è come morire a se stessi per rinascere nella comunione.
Amore e accoglienza sono stati argomenti anche della riflessione di ieri pomeriggio, mercoledì 12. Per argomentarla la sua riflessione il predicatore ha proposto l’annunciazione così come è raccontata da Luca (1, 26-38). Con una premessa sul significato della sterilità, intesa come manifestazione della esclusività del potere di Dio di dare la vita. L’uomo può fare di tutto per prepararsi a dare la vita, ma senza la volontà di Dio non può nulla. L’unica cosa di creativo che può fare, ha detto, è proprio accogliere. E la prima a dare testimonianza di ciò è stata Maria.
Monsignor De Donatis si è soffermato a lungo su questo momento e ne ha evidenziato ogni aspetto per sottolineare la grandezza del progetto di Dio. Anche questa volta ha puntualizzato il significato simbolico di alcuni particolari: l’annuncio dell’angelo al sesto mese, il luogo dell’annuncio, Nazareth, e la verginità di Maria.
Il sei, ha spiegato, è il giorno dell’uomo, che fu creato il sesto giorno. Dunque Dio ha scelto il giorno dell’uomo per l’incarnazione del Figlio, per renderlo così ancor più dentro la storia dell’umanità. Nazareth era un borgo dimenticato e privo di ogni considerazione. E Dio ha scelto proprio un luogo insignificante per fare una cosa grande. Quanto alla verginità di Maria, essa sta a significare la potestà di Dio di donare la vita. La verginità, ha spiegato il predicatore, è in un certo senso il fallimento dell’uomo, la sua passività di fronte alla capacità di promuovere la vita. In sostanza però Maria è l’esempio di come la nostra umiltà e la nostra povertà possa essere trasformata da Dio in grandezza spirituale. La sua verginità, ha precisato infatti, «non è per sottovalutare la sessualità, ma è per evidenziare che quel bambino deve nascere come dono della grazia di Dio, non come prodotto della capacità del mondo».
Il predicatore ha infine allargato il discorso al celibato. Per essere celibe — ha spiegato — «non ci vuole la fede: decido e vivo così; non faccio l’amore e sono celibe». Se la scelta invece è quella del celibato sacerdotale, che comporta una paternità spirituale verso ogni uomo e ogni donna, allora è necessaria l’opera dello Spirito Santo, cioè la fede.
In conclusione, un invito a riscoprire il coraggio della fede, perché — ha detto citando un proverbio — «quando la paura bussa alla porta e la fede va ad aprire, non trova nessuno».
 
L'Osservatore Romano