sabato 8 febbraio 2014

L'anti-umanesimo di Heidegger

Di Maurizio Moscone, docente presso i Seminari Diocesani Missionari Redemptoris Mater


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La fase esistenzialista



L’esistenzialismo, in generale, è considerato una filosofia personalista.
Ad esempio, secondo Pareyson:
“L’esistenzialismo intende fondare filosoficamente la persona. La risonanza metafisica dellasituazione in cui l’io è gettato a vivere, la libertà per cui l’individuo si forma e si trasforma nei suoi lineamenti spirituali, la dignità con cui la persona si afferma, al di sopra della particolarità labile ed effimera, in una validità irripetibile ed essenziale: ecco i motivi in cui si concreta, nell’esistenzialismo, l’esigenza personalistica” [1].
Lo storico della filosofia Copleston afferma giustamente che ciò che peculiarmente caratterizza l’esistenzialismo è la concezione secondo cui “l’esistenza precede l’essenza”.
La frase è di Sartre, ma esprime bene un principio antropologico che è presente in tutto l’esistenzialismo: l’essere umano non ha un’essenza immutabile e universale che permane identica nel tempo, definibile concettualmente, ma, come afferma il filosofo francese, “L’uomo sarà innanzitutto quello che avrà progettato di essere”[2].
L’uomo non è una sostanza perché ”non è altro che una serie di iniziative, è la somma, l’organizzazione, l’insieme delle relazioni che costituiscono queste iniziative”[3].
L’esistenza umana è fondamentalmente poter-essere, quindi è caratterizzata dalla progettualità e, scrive Sartre, “se veramente l’esistenza precede l’essenza, l’uomo è responsabile di quello che è. Così il primo passo dell’esistenzialismo è di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli è e di far cadere su di lui la responsabilità totale della sua esistenza [4].
Sartre, a differenza di Heidegger, afferma il valore centrale della libertà nell’esistenza umana[5], ma concorda con il filosofo tedesco nel rifiutare il concetto di persona, inteso come l’unione sostanziale di anima immortale e di corpo, ereditato dalla tradizione metafisica cristiana.
Conseguentemente le antropologie di Sartre e di Heidegger non sono personalistiche, ma sono invece antipersonalistiche perché presentano un paradigma umano antitetico a quello metafisico e contestano esplicitamente quest’ultimo, considerandolo un arcaismo del passato.
L’antropologia cristiana, come è stato evidenziato precedentemente[6],  è affermata sulla base di un’analisi puramente razionale che corrisponde alla vera realtà umana. Heidegger confuta questa antropologia scrivendo:
“Quando si pone il problema dell’essere dell’uomo, non è possibile determinare questo essere congiungendo modi di essere come il corpo, l’anima, lo spirito che, oltre tutto, risultano completamente indeterminati nel loro essere. […] In realtà ciò che deforma o svia il problema fondamentale dell’essere dell’Esserci è il costante predominio dell’antropologia paleo-cristiana[7].
Heidegger denota con il termine Esser-ci (Da-sein) l’essere umano.
Esser-ci significa rapporto all’essere, e l’esistenza umana si identifica con tale rapporto.
Il filosofo afferma infatti che l’uomo è un ente sui generis, perché “l’essenza (essentia) di questo ente […] deve essere intesa a partire dal suo essere  (existentia)[8].
E’ da rilevare che il concetto di esistenza acquisisce nell’interpretazione heideggeriana un significato diverso da quello tradizionale.
Scrive, infatti:
“[…] L’ontologia ha il compito di mostrare che, se noi scegliamo per l’essere di questo ente la designazione di esistenza, questo termine non ha e non può avere il significato ontologico del termine tradizionale existentia. Esistenza significa, per l’ontologia tradizionale, qualcosa come lasemplice-presenza, modo di essere questo, essenzialmente estraneo a un ente che ha il carattere dell’Esserci”[9].
Heidegger, come Sartre, afferma che l’esistenza è un progetto sempre rinnovabile momento per momento, ma, a differenza del filosofo francese, sostiene che è un “progetto gettato”, cioè, come afferma giustamente Vattimo, secondo il filosofo tedesco “l’Esserci può entrare in rapporto con gli enti in quanto è già sempre gettato in una certa apertura storica, cioè in quanto dispone già sempre di un insieme  storicamente dato di criteri, di norme, di pre-giudizi in base ai quali  l’ente gli si fa accessibile”[10].
Questa apertura storica è il “mondo”, che non è il mondo-ambiente, ma è il contesto storico-temporale in cui l’essere umano vive concretamente.
Il “mondo” è uno degli “esistenziali”, che sono costitutivi dell’Esserci. Essi sono “caratteri d’essere dell’Esserci”[11], strutture universali a priori, possibilità che l’uomo ha di esistere.
Gli esistenziali, in quanto possibilità, sono indeterminabili e, come vedremo, pur rimanendo formalmente identici, variano contenutisticamente in rapporto ai diversi contesti storico-temporali, cioè ai diversi mondi, in cui l’uomo vive.
Essere e Tempo, l’opera più esistenzialistica che Heidegger ha scritto, è in gran parte l’analisi articolata e complessa degli esistenziali, propri dell’Esserci.
Gli esistenziali maggiormente significativi per comprendere la specificità dell’antropologia heideggeriana e la sua differenza da quella personalistica sono la “comprensione” (Verstehen), l’”interpretazione” (Auslegung), il “discorso” (Rede), la “situazione affettiva” (Beifindlichkeit).
Il Verstehen è la possibilità dell’uomo di orientarsi nel mondo, cioè nell’apertura storico- temporale in cui vive; questa possibilità[12] non deve essere intesa in senso intellettualistico come un’attività razionale tramite la quale l’uomo conosce astrattamente la realtà. Il Verstehen, infatti, antecede la distinzione tra teoria e prassi ed è la capacità specifica dell’uomo di sapersi orientare nel mondo e di rapportarsi alle cose.
L’esplicitazione del Verstehen è l’ “interpretazione” (Auslegung), quest’ultima infatti sviluppa, elaborandole, le virtualità insite nel Verstehen, sul quale si fonda.
Scrive in proposito Heidegger:
“Il progettare proprio della comprensione ha una possibilità di sviluppo sua propria. A questo sviluppo del comprendere diamo il nome di interpretazione (Auslegung). In essa la comprensione, comprendendo, si appropria di ciò che ha compreso. Nell’interpretazione, la comprensione non diventa altra da sé ma se stessa. L’interpretazione si fonda esistenzialmente nella comprensione: non è dunque questa a derivare da quella. L’interpretazione non consiste nell’assunzione del compreso, ma nell’elaborazione delle possibilità progettate nella comprensione”[13].
Il discorso (Rede) è la linguisticità immanente nei fenomeni, cioè è la loro significatività, perché i fenomeni sono sempre portatori di un senso.
La Rede, essendo la significatività del reale, è, afferma Heidegger, “il fondamento ontologico-esistenziale del linguaggio”[14]. La Rede è quindi distinta dal linguaggio (Sprache), che è la parola tramite la quale gli uomini comunicano tra loro; la Rede non è il linguaggio inteso come comunicazione verbale, infatti è costitutivo di questo esistenziale sia l’”ascoltare” che il “tacere”[15].
La “situazione affettiva” (Beifindlichkeit) è l’esperienza di esistere, cioè è il “sentimento” che accompagna l’uomo nella sua ex-sistentia, cioè nel suo relazionarsi all’essere. Il sentimento di esistere antecede ogni attività riflessiva ed è il “sentimento fondamentale”[16] in base al quale l’uomo si sente gettato nell’ ex-sistentia.
Chi getta nell’esistenza? In Essere e Tempo non è detto esplicitamente, ma nelle opere successive risulta sempre più evidente che l’origine della “gettatezza” (Geworfenheit) è l’Essere.
L’Essere non è Dio, come equivocamente è stato pensato, perché soprattutto in Identità e Differenza il termine per designare l’Essere è Ereignis, che in Italiano è tradotto con ”evento”. 
Affermare che l’Essere è evento significa dire che esso non ha un’essenza permanente, perché esso “si dà” (es-gibt) storicamente, esprimendosi in modi sempre diversi nelle varie epoche: “Si dà esser solo di volta in volta nei singoli modi di determinarsi del suo destino storico […]”[17].
L’Essere “accade” storicamente, infatti  “si annuncia e si nasconde” nelle varie epoche storiche che si succedono temporalmente e l’Esserci è il “luogo” in cui l’Essere misteriosamente si rivela, infatti, secondo Heidegger  egli è “il luogo proprio della verità dell’essere”[18]
L’Essere si rivela nell’esistenza umana, infatti
“chi pensa rettamente l’«esistenza» - scrive il filosofo – pensa l’«essenza» dell’esserci, nell’ apertura del quale l’essere stesso si annuncia e si nasconde, si dona e si sottrae, poiché la verità dell’essere non si esaurisce nell’esserci”[19].
La verità dell’essere è inesauribile e storicamente si manifesta in modi sempre nuovi, conseguentemente l’uomo comprende e interpreta la realtà in maniere sempre diverse a seconda dei contesti storico-culturali in cui vive: ciò che era valido ieri può non essere valido oggi, i valori cambiano con il variare delle epoche storiche.
Non possono esistere verità assolute e gli “esistenziali” tramite i quali l’uomo si rapporta al mondo rimangono identici, ma il modo di comprendere (Verstehen) e interpretare (Aus-legung) le cose e di sentire (Bifindlichkeit) e di vivere varia con il variare delle epoche.
Si capisce perché Heidegger ripeta più volte nelle sue opere che “l’essenza dell’Esserci consiste nella sua esistenza[20], infatti con questa affermazione vuole intendere che l’uomo esiste, cioè vive in un  mondo storico, al cui interno progetta se stesso e quindi, in qualche modo, costruisce se stesso.
La parola “essenza”, come tutti i termini metafisici, assume in Heidegger un significato diverso da quello tradizionale; infatti, secondo lui, “ciò che l’uomo è, ossia ciò che nel linguaggio tradizionale della metafisica si chiama la sua «essenza», ha la sua base nella sua ex-sistentia[21].
Dire che l’essenza ha la sua base nell’esistenza, significa affermare, alla luce della filosofia heideggeriana, che l’essenza umana non è sempre la stessa, ma cambia con il cambiamento delle epoche storiche, per cui l’uomo greco è diverso essenzialmente da quello medioevale e così di seguito, fino ad arrivare ai giorni d’oggi. Si succedono quindi nel tempo vari modelli di umanità tutti ugualmente veri, perché tutti “accadimenti” della storia dell’essere.
L’essere umano si risolve nella sua esistenza, non è quindi una sostanza con una specifica e stabile essenza:  non è uno spirito incarnato che permane identico in ogni luogo e in ogni tempo. L’esserci non è quindi persona e l’antropologia di Heidegger (indipendentemente da quanto da lui sostenuto[22]) è analoga a quella di Sartre poiché nega che l’uomo abbia una natura, che è sempre la stessa indipendentemente dal tempo e dallo spazio, infatti l’essere umano è inteso come “ex-sistentia” e quindi varia epocalmente.
(La seconda parte sarà pubblicata sabato 8 febbraio)
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NOTE
[1] L. Pareyson, Studi sull’esistenzialismo, Sansoni, Firenze 1972, p. 25. Il corsivo è nel testo.
[2] J.P.  Sartre. L’esistenzialismo è un umanismo , Mursia, Milano 1990, VI ed.,  p. 28.
[3] Ibidem, p. 57.
[4] Ibidem, p. 30.
[5] Riguardo alla libertà umana, Sartre  scrive: “L’uomo è condannato a essere libero. Condannato perché non si è creato da solo, e ciò nondimeno libero perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto quanto fa (ibidem, p. 41). 
[6] Vedi articoli pubblicati su Zenit con il titolo: L’essere umano è uno spirito incarnato.
[7] M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1976, p. 71. Il corsivo è mio.
[8] Ibidem, p. 64.
[9] Ibidem.
[10]G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Roma-Bari 1981, III ed., p.73.
[11] M. Heidegger, Essere e Tempo, cit., p. 67. L’«esistenziale» si differenzia dall’«esistentivo», che è l’esistenza nella sua effettività. La dimensione esistentiva è il concreto realizzarsi nello hic et nunc della dimensione esistenziale.
[12] Il Verstehen è un esistenziale e non è il metodo delle scienze storiche, come sosteneva Dilthey.
[13] M. Heidegger, Essere e Tempo, cit., p. 189.
[14] Ibidem, p. 203.
[15] Cfr. ibidem, pp. 203-210.
[16] Questo esistenziale è analogo al “sentimento fondamentale” di cui parla Rosmini.
[17] M. Heidegger, Identità e differenza, citato in G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, cit., p. 107.
[18] M. Heidegger, Ritorno al fondamento della metafisica, in Idem, Che cos’è la metafisica, a cura di A. Carlini, La Nuova Italia, Firenze 1974, p. 74.
[19] Ibidem.
[20] M. Heidegger, Essere e Tempo, cit., p. 64.
[21] M. Heidegger, Su l’umanesimo (Estratti), in Che cos’è la metafisica, cit. p. 100.
[22] Heidegger scrive in proposito: “La proposizione principale di Sartre, sul primato dell’esistenza sull’essenza, giustifica il nome di «esistenzialismo» in quanto titolo appropriato a questa filosofia. Ma tale esistenzialismo non ha proprio nulla in comune con la posizione dell’esistenza in Essere e Tempo” (ibidem, p. 103).

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La fase "ontologica"


Heidegger, come Sartre, nega l’esistenza dell’anima spirituale. I motivi di questa negazione sono diversi nei due filosofi: Sartre è materialista e conseguentemente  sostiene che l’essere umano è soltanto corporeo, Heidegger è un anti-metafisico e i concetti di anima e di corpo e i loro rapporti sono stati, secondo il filosofo, una elaborazione del pensiero rappresentativo-concettuale della metafisica, la quale ha “obliato” la verità dell’essere.
Heidegger, a differenza di Sartre, nega che l’uomo sia libero, perché “l’uomo non «possiede» la libertà come una sua proprietà, ma tutt’al più vale il contrario: la libertà, l’esser-ci ek-sistente e disvelante, possiede l’uomo in un modo così originario da essere in grado, essa sola, di custodire e garantire ad un’umanità il rapporto all’ente come tale nella sua totalità […]”[1].
La libertà non è quindi una facoltà dell’uomo, ma è la libertà dell’Essere, il quale necessita di un “luogo” per rivelarsi, perché, scrive il filosofo, “il predominante come tale [l’Essere], per apparire nella sua predominanza, ha bisogno di un luogo per la sua apertura. L’essenza dell’essere-uomo ci si schiude solo se è intesa a partire da questa necessità necessitata dall’essere stesso. Esistenza (Da-sein) dell’uomo storico significa esser posto come il varco in cui la strapotenza dell’essere apparendo irrompe, affinché questo medesimo varco si infranga alla fine sull’essere”[2].
L’uomo è questo “varco” nel quale l’Essere “si annuncia e si nasconde”, l’essere umano non ha quindi una sua consistenza ontologica, ma è la “proiezione dell’essere, in cui è radicato il suo essere gettato nel mondo”[3].
L’uomo è gettato nel mondo dall’Essere ed è il luogo della sua manifestazione e del suo nascondimento.
Egli ha la vocazione di custodire l’Essere,  essendo il suo pastore.
Scrive infatti Heidegger:
“L’uomo non è il padrone dell’essente. L’uomo è il pastore dell’Essere. In questo meno l’uomo non ci perde, anzi ci guadagna, poiché egli  perviene alla verità dell’Essere. Egli guadagna l’essenziale povertà del pastore, la cui dignità consiste in questo: di essere chiamato dall’Essere stesso alla custodia della sua verità”[4].
L’espressione “pastore dell’Essere”, come sostiene Carlini, significa che “l’Essere lo adopera come suo pastore”[5].
L’Essere è il centro di tutta la riflessione filosofica di Heidegger e il suo interesse per l’ uomo è legato unicamente al fatto che egli è l’Esser-ci, e propriamente il “ci”, il luogo storico della rivelazione dell’Essere.
In tutti gli scritti del filosofo tedesco l’indagine verte sempre e soltanto sul problema dell’Essere. Anche Essere e Tempo,  pur essendo un’opera nella quale viene analizzata profondamente l’esistenza umana  in tutti i suoi aspetti, è un testo di ontologia, perché Heidegger, fino dalle prime pagine, afferma di ricercare il senso dell’essere.
Questa ricerca avviene però tramite l’indagine filosofica di colui che si pone il problema dell’Essere , cioè mediante l’analisi “di quell’ente che noi stessi, i cercanti, sempre siamo”[6].
E’ evidente, quindi, come in Essere e Tempo l’indagine riguardante l’uomo ha un fine non antropologico ma ontologico. Scrive infatti:
“La posizione esplicita e trasparente del problema del senso dell’essere richiede l’adeguata posizione preliminare di un ente (l’Esserci [Da-sein]) nei riguardi del suo essere”[7].
Negli scritti successivi a Essere e Tempo, dopo la cosiddetta “svolta”  la ricerca riguarderà direttamente la “verità dell’essere” e il suo rapporto con la storia senza più fare riferimento alle strutture (gli “esistenziali”) dell’essere umano.
La storia è la storia dell’essere e dei suoi accadimenti e l’uomo, cioè l’esserci “è se stesso per il suo essenziale rapporto (Bezug) all’essere in generale”[8].
L’essere umano si risolve in questo rapporto, quindi non è uno spirito incarnato, che possiede le facoltà della ragione e della volontà tramite le quali è libero di autodeterminarsi; in sintesi: è unquid indeterminato e indeterminabile, la cui “essenza” diviene e quindi cambia nel tempo a seconda del rapporto che l’uomo instaura con l’Essere nei diversi contesti storico-culturali.

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NOTE
[1] M. Heidegger, Sull’essenza della verità, Introduzione di U. Galimberti, Editrice La Scuola, Brescia 1973, p. 27.
[2] M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, Presentazione di G. Vattimo, U. Mursia, Milano 1972, II ed., p. 170.
[3] M. Heidegger, Lettera sull’umanesimo (Estratti), in Che cos’è la metafisica, a cura di A. Carlini, La Nuova Italia, Firenze 1974, p. 111.
[4] Ibidem.
[5] A. Carlini, Nota 2, in ibidem.
[6] M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1976, p. 22.
[7] Ibidem, p. 23.
[8] M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, cit., p. 39.