sabato 1 dicembre 2012

Ecco verranno giorni...


Levare il capo vuol dire innalzare le menti alla felicità della patria celeste. Coloro, dunque, che amano Dio, sono invitati a rallegrarsi per la fine del mondo, perché presto incontreranno colui che amano, mentre se ne va ciò che essi non hanno amato.
S. Gregorio Magno, Omelia 1, 3


   
Oggi 2 dicembre celebriamo la:


I DOMENICA DI AVVENTO
 Anno C 



Le due venute di Cristo
Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Cat. 15, 1. 3; PG 33, 870-874)

Noi annunziamo che Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ve n'è una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente. La prima, infatti, ebbe il sigillo della sofferenza, l'altra porterà una corona di divina regalità. Si può affermare che quasi sempre nel nostro Signore Gesù Cristo ogni evento è duplice. Duplice è la generazione, una da Dio Padre, prima del tempo, e l'altra, la nascita umana, da una vergine nella pienezza dei tempi.
Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso, come la pioggia sul vello. Una seconda volta verrà nel futuro in splendore e chiarezza davanti agli occhi di tutti.
Nella sua prima venuta fu avvolto in fasce e posto in una stalla, nella seconda si vestirà di luce come di un manto. Nella prima accettò la croce senza rifiutare il disonore, nell'altra avanzerà scortato dalle schiere degli angeli e sarà pieno di gloria.
Perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda. E poiché nella prima abbiamo acclamato: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (MT 21, 9), la stessa lode proclameremo nella seconda. Così andando incontro al Signore insieme agli angeli e adorandolo canteremo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (MT 21, 9).
Il Salvatore verrà non per essere di nuovo giudicato, ma per farsi giudice di coloro che lo condannarono. Egli, che tacque quando subiva la condanna, ricorderà il loro operato a quei malvagi, che gli fecero subire il tormento della croce, e dirà a ciascuno di essi: Tu hai agito così, io non ho aperto bocca (cfr. Sal 38, 10).
Allora in un disegno di amore misericordioso venne per istruire gli uomini con dolce fermezza, ma alla fine tutti, lo vogliano o no, dovranno sottomettersi per forza al suo dominio regale.
Il profeta Malachia preannunzia le due venute del Signore: «E subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate» (Ml 3, 1). Ecco la prima venuta. E poi riguardo alla seconda egli dice: «Ecco l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, ecco viene... Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare» (Ml 3, 1-3).
Anche Paolo parla di queste due venute scrivendo a Tito in questi termini: «E' apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2, 11-13). Vedi come ha parlato della prima venuta ringraziandone Dio? Della seconda invece fa capire che è quella che aspettiamo.
Questa è dunque la fede che noi proclamiamo: credere in Cristo che è salito al cielo e siede alla destra Padre. Egli verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti. E il suo regno non avrà fine.
Verrà dunque, verrà il Signore nostro Gesù Cristo dai cieli; verrà nella gloria alla fine del mondo creato, nell'ultimo giorno. Vi sarà allora la fine di questo mondo, e la nascita di un mondo nuovo.
 
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 24,1-3
A te, Signore, elèvo l'anima mia,
Dio mio, in te confido: che io non sia confuso.
Non trionfino su di me i miei nemici.
Chiunque spera in te non resti deluso.
 
 
Colletta

O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli. Per il nostro Signore...
 
Oppure:
Padre Santo, che mantieni nei secoli le tue promesse, rialza il capo dell'umanità oppressa da tanti mali e apri i nostri cuori alla speranza, perché sappiamo attendere senza turbamento il ritorno glorioso del Cristo giudice e salvatore. Egli è Dio...
 LITURGIA DELLA PAROLA
   
Prima Lettura  Ger 33,14-16
Farò germogliare per Davide un germoglio giusto.
 

Dal libro del profeta Geremia
Ecco, verranno giorni - oràcolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d'Israele e alla casa di Giuda.
In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.
In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia. 

   
Salmo Responsoriale  Dal Salmo 24
A te, Signore,
innalzo l'anima mia, in te confido.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.
 
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.
 
Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà
per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti.
Il Signore si confida con chi lo teme:
gli fa conoscere la sua alleanza.

Seconda Lettura  1 Ts 3,12-4,2
Il Signore renda saldi e irreprensibili i vostri cuori al momento della venuta di Cristo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio - e così già vi comportate -, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. 
 
Canto al Vangelo   Sal 84,8
Alleluia, alleluia.
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Alleluia.
  
  
Vangelo
  Lc 21,25-28,34-36
La vostra liberazione è vicina.
 

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saran­no segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le po­tenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nu­be con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risol­levatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'im­provviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Ve­gliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di com­parire davanti al Figlio dell'uomo». Parola del Signore.

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COMMENTI

1. CONGREGAZIONE PER IL CLERO
«Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo» (Lc 21,36).
La raccomandazione di Cristo ci introduce nel Tempo d’Avvento, in un nuovo Anno Liturgico della Chiesa, nel tempo di grazia, cioè, ove veniamo guidati ad incontrare, conoscere e riconoscere il Mistero! Quel Mistero che, tra meno di un mese, adoreremo Bambino tra le braccia di una giovane israelita, la Beata e sempre Vergine Maria.
Perché la Chiesa, però, all’alba di questo nuovo Anno di grazia, ci fa ascoltare una simile pagina evangelica? Il Signore Gesù, infatti, ci ha rivolto delle parole, che poco sembrerebbero avere a che fare con la delicatezza e l’armonia del Mistero del Natale; parole che – se solo le prendessimo sul serio – dovrebbero “terrorizzarci”, poiché sanciscono la fine delle cose di questo mondo, alle quali quotidianamente dedichiamo attenzione e cure; parole che ci dicono che, alla fine dei tempi – quando e come, Dio solo lo sa –, un solo “fatto”, una sola evidenza, come un laccio, «si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra» (Lc 21,35).
Di quale fatto si tratta? «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande» (Lc 21,27).
In quel momento, tutto ciò che era appena un “riflesso”, svanirà, per lasciare spazio alla Luce vera! L’ombra cederà il posto al Giorno, il tempo all’Eterno, e i nostri cuori rimarranno per sempre esattamente nella posizione che avevano un istante prima che tutto ciò accadesse: se erano rivolti alla Luce, saranno liberati da ogni affanno, per appartenere a Cristo soltanto, nell’eterno abbraccio del Paradiso; se, invece – Dio non voglia –, si erano rivolti al “riflesso”, anziché alla Fonte della Luce, dalla quale anche quel riflesso proveniva, allo spuntare del Giorno senza tramonto, all’apparire del Figlio dell’uomo, saranno ripiegati sulla propria ombra e non potranno accogliere il misericordiosissimo abbraccio di Cristo.
Ma come prepararsi a questo Giorno? E come vivere questo tempo di attesa, senza angoscia né timori? Come vivere questo tempo, nella sovrabbondanza d’amore che ci è indicata dall’Apostolo: «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (Ts 3,12)? Come vivere tutto questo?
Ascoltiamo ancora le parole del Salvatore: «Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,36). Cristo ci indica il modo: vegliare, pregando!
Anzitutto, ci chiama a “vegliare”, in ogni momento, cioè a rimanere “svegli”. In che senso? Seppur nella Chiesa, vi siano uomini e donne, che “materialmente” vegliano, cioè sacrificano ore di sonno, per dedicarsi alla preghiera nel cuore della notte e, così, intercedere per tutti gli uomini – sono i monaci e le monache e, con essi, tante preziose vite nascoste, che nella sofferenza offrono e pregano, e che sono vere “fiammelle di fede” nel buoi –, la “veglia” cui Cristo ci chiama è, ancor prima di questo, guardare la realtà. Chi veglia, infatti, non dorme. Chi veglia, cioè, non vive rinchiuso in se stesso e, così, separato dalla realtà; ma vive, fino in fondo, senza censure e senza “fughe”, accogliendo anche quanto di “doloroso” o “indesiderato” la storia possa riservargli.
Cristo ci indica, inoltre, il modo in cui vegliare: pregando! Guardando, cioè, nel cuore della realtà, al fondamento di tutto, al Mistero dal quale tutto proviene – anche noi – e verso il quale tutto tende. Vegliamo, pregando, guardando la realtà fino in fondo e implorando che Egli ci “accada”! Che il Mistero ci mostri il Suo Volto e ci prenda per mano.
Nessun artificioso sogno, nessun pallido riflesso, nessuna falsa preoccupazione potranno davvero corrispondere all’intimo desiderio del nostro cuore.
Vegliamo e preghiamo! E allora saremo tra coloro che ascolteranno le parole dell’Angelo: «Ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Allora ci porteremo, con i pastori, alla culla di Betlemme e, lì, potremo immergere il cuore nella contemplazione del Mistero fatto Bambino, con Lui crescere, a Lui affidarci e non perderLo più di vista, fino al Giorno in cui verrà Glorioso, con i Suoi santi, a prenderci con Sé, per sempre.
Alla Beata Vergine Maria, che, prima e più di tutte le creature, visse questa quotidiana e orante veglia, alla presenza del Mistero, domandiamo la grazia di non appesantirci in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita (cf. Lc 21,34), ma di rendere saldi e irreprensibili i nostri cuore nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù Cristo (cf. Ts 3,13). Amen!

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P. Raniero Cantalamessa ofmcapp.
Comincia con questa prima Domenica di Avvento un nuovo anno liturgico. Il Vangelo che ci accompagnerà nel corso di questo terzo anno del ciclo triennale è quello di Luca. La tradizione cristiana si è compiaciuta nel mettere in risalto alcune caratteristiche di questo vangelo: è il Vangelo della misericordia (a causa di alcune celebri parabole, come quella del figliol prodigo), il Vangelo dei poveri (per la speciale attenzione alla dimensione sociale della predicazione di Cristo), il Vangelo della preghiera, dello Spirito Santo, per il rilievo accordato a questi temi. È anche il Vangelo in cui più chiara appare la preoccupazione storica. Nel prologo l’autore ci parla delle sue fonti e delle “ricerche accurate” premesse alla redazione del suo Vangelo. Anche in seguito, più volte egli si preoccupa di indicare le coordinate storiche e geografiche, dentro cui si svolge il ministero terreno di Cristo.
La liturgia, nelle sue letture, ci spinge oggi a guardare in avanti, ci rimette, come fa puntualmente all’inizio di ogni anno, in stato di attesa. Tutti i verbi sono al futuro. Nella prima lettura ascoltiamo queste parole di Geremia:
“Ecco verranno giorni -oracolo del Signore- nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per David un germoglio di giustizia….”
A questa attesa, realizzata con la venuta del Messia, il brano evangelico dà un orizzonte o contenuto nuovo che è il ritorno glorioso di Cristo alla fine dei tempi:
“Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande”.
Il Salmo responsoriale invita il credente a proiettarsi in avanti, a lanciare ancora una volta in alto la sua anima, come fa il mare a ogni alta marea:
“A te, Signore, innalzo l’anima mia”.
Questo invito della liturgia a rimetterci sempre di nuovo in cammino riflette quello che avviene anche nella vita. La capacità di tornare a sperare dopo l’ennesima smentita della realtà, è una delle capacità più incredibili dell’uomo. (Chi conosce l’opera Aspettando Godot di Samuel Beckett ha davanti una immagine efficacissima di questa prerogativa umana). Come la canna si raddrizza dopo ogni colpo di vento, così l’essere umano torna a sperare dopo ogni rovescio di fortuna. È forse la nostra risorsa più grande, quella, in ogni caso, che ci permette di continuare a vivere. Poveri noi il giorno che essa venisse meno! Si fermerebbe la vita. Noi abbiamo bisogno di sperare per vivere. Vivere è sperare! Cos’è l’uomo, nella sua realtà esistenziale più profonda, se non capacità di sperare, di proiettarsi verso il futuro, o, come dicono i filosofi, di trascendersi? Un buon motore si giudica dalla capacità di “ripresa” che ha; un uomo, dalla capacità di riprendersi dopo ogni delusione. Anche se non dovesse ottenere quello per cui ha lottato, il suo lottare e tornare a sperare dopo ogni insuccesso non è stato vano. Lo ha elevato a una consapevolezza e a una saggezza che nessuna scuola gli avrebbe potuto insegnare. È verissimo, anche sul piano umano, ciò che afferma san Paolo: “La speranza non delude” (Romani 5,5). Mai!
La speranza è la sola cosa che rende bella e vivibile la vita. Il nostro poeta Leopardi ha espresso questa verità in una delle sue operette morali intitolata Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggero. Siamo all’inizio del nuovo anno. Un passeggero (che rappresenta il poeta) si avvicina a un venditore di calendari all’angolo della strada. Prima di acquistare il suo calendario, ingaggia con lui una conversazione. Inizia a parlare il passeggero:
-Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
-Venditore: Sì, certo.
-Come quest’anno passato?
-Più, più assai.
-Vi piacerebbe che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi che avete vissuti?
-Signor no, non mi piacerebbe.
-Tornereste a vivere tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
-Piacesse a Dio che si potesse!
-Anche se doveste rifare la vita che avete fatta, né più né meno, con tutti i piaceri e di dispiaceri che avete passati?
-Questo no, non lo vorrei.
-Che vita allora vorresti fare?
-Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
-Così vorrei anch’io se avessi a rivivere, e così vogliono tutti… Bella non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, la sorte incomincerà a trattare bene voi e me e tutti gli altri, e comincerà la vita felice. Non è vero?
-Speriamo.
-Datemi allora l’almanacco più bello che avete.
Tutti metterebbero la firma a ricominciare da capo la vita, ma nessuno accetterebbe di farlo se essa dovesse svolgersi esattamente come quella che ha già vissuto. Perché? Cosa le mancherebbe? Le mancherebbe la speranza, cioè la novità. E cos’è la vita senza novità? Nient’altro che inutile e morta ripetizione!
Quello di cui abbiamo più bisogno nella vita sono dei “sussulti” di speranza ed è ciò che la liturgia vuole aiutarci a realizzare all’inizio del nuovo anno. La Bibbia ci presenta esempi bellissimi di questi sussulti di speranza. Uno si trova nella Terza Lamentazione di Geremia. In mezzo alla desolazione più totale, durante l’esilio, con la città in rovina e la gente stremata dalla fame, il profeta intona la sua lamentazione: “Io sono l’uomo che ha provato la miseria… Ho detto: È finita per noi. Non c’è più speranza”. Ma a un certo punto il profeta si ferma e dice a se stesso: “Ma le misericordie del Signore non sono finite…Voglio sperare!” (cfr. Lamentazioni 3, 24). Questa semplice parola cambia di colpo tutto; il tono della lamentazione si rasserena e si torna a fare progetti per il futuro. Proviamo a dire anche noi, in certe circostanze: “Voglio sperare!” e sperimenteremo la forza incredibile che dà questa decisione.
Ma non posso chiudere questa riflessione sulla speranza, senza accennare a un diverso aspetto del problema. Quando noi parliamo di speranza, intendiamo sempre qualcosa che noi ci aspettiamo da Dio. C’è un rischio anche nella speranza: quello di farne un nostro credito di fronte Dio. Abbiamo sperato tante volte una grazia, l’esaudimento di una preghiera, sicuri che questa volta sarebbe stata la volta buona. E niente, silenzio totale. Si finisce per pensare inconsciamente che è Dio che ci è debitore di una risposta; che siamo stati fin troppo pazienti ad aspettare fino ad ora; che, dopo tutto, siamo noi che gli facciamo un favore tornando, ancora una volta, a sperare in lui. (Questa è l’impressione di chi legge Aspettando Godot; le simpatie del pubblico sono tutte per quei due poveracci che aspettano, non certo per Godot che si fa aspettare tanto e che, sembra, rappresenta proprio Dio).
Dimentichiamo una cosa: che anche Dio spera qualcosa da noi; che all’inizio di ogni nuovo anno, anche lui torna, puntualmente, a sperare che sarà l’anno buono, la volta buona. Buono per che cosa? Ma è chiaro: per la nostra conversione! Quanti anni sono che Dio aspetta e spera questo da noi? Da me, sono cinquantasei anni (escludo i primi dieci anni, quando ero troppo piccolo, per avere bisogno di conversione).
Voglio esporvi il pensiero di un poeta a me caro, Charles Péguy. Anche Dio, dice, conosce la speranza. Dio ama l’uomo e non vuole che si perda, ma non può salvarlo “senza di lui”, contro la sua libertà. Allora che può fare, se non quello che fa ogni padre in queste condizioni, e cioè sperare? Cosa faceva il padre del figliol prodigo nell’attesa, se non guardare ogni tanto dalla finestra e attendere? “Il ravvedimento di un uomo è il coronamento di una speranza di Dio”.
Tutti i sentimenti che dobbiamo avere per Dio, è Dio che ha cominciato ad averli prima per noi. Ci dice di amarlo, ma è lui che per primo ha amato noi; ci chiede di credere in lui, ma è lui che ha creduto e ha avuto fiducia per primo nell’uomo; ci chiede di sperare, ma è lui che per primo spera in noi. Spera che accettiamo di salvarci. Ecco in che situazione si è cacciato Dio, per amore dell’uomo. Deve sperare che noi ci salviamo. Bisogna che Dio aspetti il comodo del peccatore. “Bisogna che aspetti che il signor peccatore abbia la compiacenza di pensare un poco alla sua salvezza”.
La domanda più importante, all’inizio di un nuovo anno liturgico, è dunque questa: sarà, esso, l’anno buono per Dio? L’anno in cui coroneremo la sua speranza e la sua attesa a nostro riguardo, convertendoci sul serio, pensando davvero un poco alla nostra salvezza? L’importante non è che in questa vita noi otteniamo quello che aspettiamo da Dio, ma che Dio ottenga quello che aspetta da noi. Lui ha la vita eterna per rifarsi nei nostri riguardi e riempire in un attimo tutte le nostre attese e farsi “perdonare” il ritardo.
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3. Enzo Bianchi
Inizia il tempo di Avvento, cioè il tempo della Venuta del Signore Gesù Cristo. Nella nostra professione di fede confessiamo che il Figlio di Dio si è fatto uomo, è stato crocifisso, è morto ed è risorto e “verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti”: questa venuta gloriosa di Gesù Cristo è parte integrante del mistero cristiano, perché c’è un “Giorno”, già annunciato dai profeti (cf., per es., Gl 1,15; 2,1.11 ecc.) e poi testimoniato più volte dallo stesso Gesù ai suoi discepoli (cf. Lc 10,12; 17,24 ecc.), in cui il Signore stabilirà pienamente la sua presenza nella storia dell’umanità. In quel giorno avverrà il giudizio dei vivi e dei morti, in modo che siano ristabilite definitivamente la giustizia e la verità, e così si compia il disegno di Dio e sia resa testimonianza a coloro che nel mondo hanno subìto afflizione e hanno atteso con fiducia l’epifania del Signore. Avvento, dunque, è un tempo diattesa e di speranza gioiosa, un tempo in cui risuona il grido della chiesa, la Sposa che nello Spirito invoca: “Vieni, Signore Gesù! Maranà tha!” (Ap 22,17; 1Cor 16,22), e ascolta la risposta sicura: “Sì, vengo presto!” (Ap 22,20).
La pagina del vangelo secondo Luca – il vangelo che ascolteremo lungo tutto questo anno liturgico che inizia – con cui si apre l’Avvento è quella in cui Gesù proclama la sua venuta imminente quale Figlio dell’uomo. Questa manifestazione del Signore è presentata come undramma che coinvolgerà le esistenze umane e segnerà la fine della storia: ci saranno nella natura eventi che indicheranno una fine e un nuovo inizio; ci saranno situazioni di grande crisi tra gli uomini, i quali si troveranno di fronte al giudizio, allo svelamento del loro comportamento, delle loro azioni giuste o ingiuste verso i loro fratelli…
Allora “il Figlio dell’uomo verrà su una nube con potenza e gloria grande” (cf. Dn 7,13-14), e questo sarà in realtà un “evento beato” per i discepoli fedeli al loro Signore! Essi infatti saranno invitati a contemplare l’avvento di quel giorno, saranno chiamati ad alzare la testa con fierezza e saldezza, poiché vedranno il compimento della promessa del Signore e la liberazione da tutto il male che hanno subìto nel corso della storia. Queste parole di Gesù non devono pertanto suscitare una reazione di spavento, ma vanno accolte come un annuncio di ciò che può dare senso alla vita degli uomini feriti e oppressi: la giustizia avrà l’ultima parola e per le vittime della storia vi sarà finalmente la beatitudine…
Di fronte a questo evento che, se anche sembra tardare, tuttavia giungerà con certezza (cf. Eb 10,37; 2Pt 3,8-10), i cristiani sono chiamati a vigilare, a stare attenti, per evitare di essere intontiti, smarriti, in balia di falsi affanni. Essi devono lottare affinché il loro cuore non si appesantisca, non diventi cioè insensibile o preda della vertigine, quello stordimento che impedisce di vivere un’esistenza consapevole. Nel presentare questi rischi, Gesù ci indica anche le armi con cui possiamo farvi fronte: “Vegliate e pregate in ogni momento!”. Vigilanza epreghiera pongono di fatto il credente già oggi alla presenza del Signore e, di conseguenza, lo abilitano a “comparire davanti al Figlio dell’uomo” per incontrarlo nel giorno del giudizio!
L’Avvento è dunque un tempo forte, vissuto da tutta la chiesa, in cui i cristiani si impegnano nell’attesa del Signore, si esercitano nella contemplazione delle realtà invisibili (cf. Eb 11,27) e si responsabilizzano qui e ora, nella storia e nella compagnia degli uomini, sapendo che ci sarà il giudizio terribile e misericordioso di tutto il loro operare. Chiediamoci allora onestamente durante queste settimane di Avvento: noi cristiani attendiamo il Signore, sì o no? Desideriamo veramente incontrarlo? Dalla risposta a questi interrogativi nasce un comportamento quotidiano capace di rendere conto della speranza che ci abita.
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Commenti patristici
Eusebio di Cesarea Ci saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle. In tale tempo, infatti, quando avverrà il compimento della vita mortale e passerà la scena di questo mondo, secondo la parola dell'Apostolo, avverrà all'improvviso la nuova era. Al posto di tutti i luminari visibili che fanno luce nel mondo precedente, da allora in avanti risplenderà e apparirà il nostro Salvatore, Capo e Astro, e si stabilirà come Re del nuovo mondo. Sarà tanto grande la potenza della sua divinità e insuperabile la sua gloria, che il sole presente, la luna e gli altri luminari che sono nel cielo saranno nascosti per la vicinanza con il Luminare più potente e saranno coperti dalla sua gloria. ... Le potenze dei cieli saranno sconvolte. Quando sopraggiungerà infatti il Figlio di Dio con potenza e molta gloria, quando starà per rendere inoperosa la tirannide empia e superba del figlio della perdizione con la manifestazione della sua presenza, e quando starà per consumarlo con lo spirito della sua bocca, allora le potenze dei cieli saranno sconvolte; quando gli spiriti celesti e divini e gli esseri angelici che sono liturghi di Dio e che scortano il Figlio di Dio si faranno presenti insieme a lui, allora si adempirà la parola: Alzate, o principi, le vostre porte, ed entrerà il re della gloria (Sal 23,7). E dove entrerà se non nel nuovo mondo? ... Lo stesso Salvatore insegnò a supplicare affinché tale regno giunga rapidamente, ordinando di dire nella preghiera: "Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra". Passando così le cose corruttibili e corporee, sopraggiungeranno quelle intellegibili e celesti; quando il regno che non si può scuotere darà inizio al mondo che non passerà più, ed avrà esistenza la nuova terra secondo il profeta che ha detto: Ci sarà un cielo nuovo e una terra nuova, che io farò perché rimanga al mio cospetto, dice il Signore (Is 55, 17). ... Quando queste cose cominceranno ad accadere, sollevate il capo e levate le vostre teste. Dice queste cose ai discepoli, non come se essi fossero destinati a vivere e rimanere in vita fino alla consumazione del mondo, ma parlando a noi e a loro come facenti parte di un solo corpo, insieme anche a coloro che in seguito crederanno in lui, fino alla fine del tempo, e che a causa sua furono umiliati nella vita presente. Allora certo, ottenendo le promesse nelle quali sperammo, noi, un tempo incurvati, solleveremo la testa, e noi, prima umiliati, alzeremo i nostri capi. Quella infatti sarà la nostra redenzione attesa con impazienza, quella che anche tutta la creazione attende con impazienza, secondo l'insegnamento apostolico, e che, anche Paolo, aspettando, geme, mentre compie il suo servizio alle parole di salvezza. ... Opportunamente certo dice: E allora vedranno il Figlio dell'uomo che viene in una nube nella gloria. Mettila a confronto con la profezia di Daniele (cfr. Dn 7, 13), attraverso la quale è contemplato il Figlio dell'uomo e la nube e il regno che gli sarà dato. Allora però un solo profeta portavoce di Dio, per lo spirito divino, contemplava ciò che stava per accadere; ma nel tempo della consumazione del mondo tutti, come dice il Salvatore, lo vedranno venire nella nube con una grande potenza apportatrice della vita e della luce del nuovo mondo, e con molta gloria, la gloria evidentemente della divinità paterna. E quando accadranno queste cose? Quando saranno compiuti i tempi delle genti. Quando sarà passato il tempo stabilito già definito per le genti, allora ci saranno i segni del compimento del mondo. ... State attenti a voi stessi che non accada che i vostri cuori siano appesantiti dall'ebbrezza. Ammonisce i discepoli ad essere sempre pronti, preparati per la sua venuta, riguardo alla quale egli stesso, esortando noi tutti, diceva parole di insegnamento; ordina di essere sobri e di vigilare, e di vegliare per tutta la notte della vita mortale, per il fatto che a nessuno è noto il momento della fine. Ma voi, certo, dice, dovete guardarvi dal peso che viene da quaggiù, affinché possiate essere sobri, perché non sopraggiunga su di voi imprevisto il giorno, riguardo al quale il santo Apostolo ci esorta scrivendo: Fratelli, sappiate con certezza, che il giorno del Signore viene come un ladro nella notte. E quando diranno: pace e sicurezza, allora improvvisa giungerà su di loro la rovina. Ma voi non siete nelle tenebre, affinché tal giorno vi sorprenda come un ladro. Tutti voi infatti siete figli della luce e figli del giorno (1Ts 5, 2). Dobbiamo dunque vigilare non solo per la venuta senza rumore e inaspettata del padrone, ma anche a causa del ladro che ci insidia. Il ladro è il momento della fine di ciascuno oppure anche l'angelo che deve ricevere l'anima di ciascuno. Infatti la presenza del Signore sopraggiungerà come un laccio su tutti coloro che sono sulla terra: quelli che staranno attenti a se stessi saranno salvati, come gazzelle dalle corde e come un uccello dal laccio; quelli invece appesantiti dall'ubriachezza, sonnecchianti in un torpore mortale, cadranno in un inaspettato pericolo. Vegliate dunque pregando in ogni tempo. Accordandosi a queste parole l'Apostolo diceva: Perciò prendete l'armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio, e dopo aver compiuto tutto, stare saldi. State dunque saldi, cinti i vostri fianchi nella verità (Ef 6, 13). (Dai Commentari su Luca, cap. 21 passim)

S. Agostino

Il mondo passa, come passano i suoi desideri; ma chi avrà fatto la volontà di Dio, resterà in eterno (1 Gv 2, 16) come Dio stesso rimane in eterno. Perché non dovrei amare ciò che Dio ha fatto? Ebbene scegli: vuoi amare le cose temporali ed esser travolto dal tempo insieme con esse? Non preferirai forse odiare il mondo e vivere in eterno con Dio? La corrente delle cose temporali ci trascina dietro di sé: ma il Signore nostro Gesù Cristo nacque come un albero presso le acque di un fiume. Egli assunse la carne, morì, risorse, ascese al cielo. Volle in questo modo mettere le sue radici presso il fiume delle cose temporali. Tu sei trascinato con violenza dalla forza della corrente? Attaccati al legno. Ti travolge l'amore del mondo? Stringiti a Cristo. Per te egli è comparso nel tempo, proprio perché tu divenissi eterno. Anch'egli si è sottomesso al tempo, ma per restare eterno. Si è inserito nel tempo, ma senza staccarsi dall'eternità. Tu invece sei nato nel tempo, e sei diventato schiavo del tempo a causa del peccato. Tu dunque sei diventato schiavo del tempo a causa del peccato; egli invece si è sottomesso al tempo, per esercitare la misericordia nel perdono dei peccati. Quale differenza tra il reo e chi è venuto in carcere per visitarlo anche se queste due persone rimangono insieme nel carcere! Uno venne un giorno a visitare l'amico ed ambedue sembravano dei carcerati. Ma grande è la differenza che passa tra di loro, che rimangono assai diversi. II processo imminente riempie di angoscia il primo, mentre un senso di umanità ha guidato il secondo. Così nella nostra condizione mortale: noi eravamo in carcere a causa di un reato ed egli, mosso da misericordia, è sceso fino a noi; è venuto a trovare, in veste di redentore, chi era prigioniero. Non è venuto come aguzzino. Il Signore ha versato per noi il suo sangue, ci ha redento, ha rinverdito la nostra speranza. Mentre portiamo ancora con noi la carne mortale, possiamo pensare che certamente possederemo l'immortalità futura; mentre ancora siamo sballottati dai flutti del mare, già gettiamo verso terra l'ancora della speranza. Ma non dobbiamo amare il mondo e le cose del mondo. Esse sono: le cupidigie carnali, la cupidigia degli occhi, l'ambizione degli onori mondani. Sono tre realtà di fronte alle quali nessuno dica: non è opera di Dio tutto ciò che è nel mondo? Non sono opera di Dio il cielo, la terra, il mare, il sole, la luna, le stelle, ornamento dei cieli? Ed i pesci non sono l'ornamento del mare? Così dicasi per la terra degli animali, degli alberi, degli uccelli. Queste realtà sono nel mondo e le ha fatte il Signore. Perché allora non dovrei amare ciò che Dio ha fatto? Lo Spirito del Signore ti aiuti a vedere realmente queste cose buone; ma guai a te se amerai le creature ed abbandonerai il Creatore. Queste cose ti appaiono belle ma quanto più bello sarà l'autore della loro bellezza? Cercate di comprendermi, fratelli carissimi. I paragoni possono servire ad istruirvi, onde Satana non vi tragga in inganno, mettendovi davanti questa obiezione.
Nelle creature di Dio non vi è altro che bene; non per altro egli le avrebbe create che per arrecarvi del bene. Molti si lasciano persuadere a loro perdizione e dimenticano il Creatore e quando delle creature si fa un uso smodato si reca offesa al Creatore. Di costoro dice l'Apostolo: Onorarono e servirono le creature invece del Creatore che è benedetto nei secoli (Rm 1, 25). No! Dio non ti proibisce di amare le sue creature, ma ti proibisce di amarle allo scopo di ottenere da esse la felicità. Non è proibito invece accettare ed ammirare le creature per amare il Creatore. Fratelli, ponete che uno sposo fabbricasse l'anello destinato alla sposa e questa amasse di più l'anello che non il suo sposo che lo costruì; forse che attraverso quel dono non risulterebbe che la sposa ha un cuore adultero anche se essa ama ciò che è dono del suo sposo? Certo essa ama ciò che ha fatto il suo sposo, ma se dicesse: a me basta il suo anello e non mi interessa affatto di vedere lui, che sposa sarebbe mai costei? Chi non detesterebbe la sua insulsaggine? Chi non porrebbe sotto accusa quest'animo da adultera? Invece del marito, tu che sei la sua sposa ami l'oro, ami un anello; se tali sono i tuoi sentimenti da amare un anello invece del tuo sposo e lui non vuoi neppure vederlo, significa che egli ti ha dato questo dono in caparra non per possederti ma per perderti. Lo scopo per cui un fidanzato offre un dono come caparra, è di assicurarsi l'amore della sposa, per mezzo di quel dono. Dio ti ha dunque dato le cose create ma perché tu amassi chi le ha fatte. Egli ti vuole dare assai di più, cioè vuole darti se stesso. Ma se avrai amato le cose, pur fatte da Dio, se avrai trascurato il loro Creatore per amare il mondo, il tuo non può essere giudicato altro che un amore adultero.
(Dai Trattati sulla prima lettera di Giovanni, 2, 10-11)


S. Leone Magno

Dobbiamo attaccarci per sempre ai beni eterni, e usare invece dei beni temporali solamente di passaggio; così a noi, che peregriniamo e ci affrettiamo a tornare in patria, qualsiasi forma di benessere in questo mondo serva come cibo per il viaggio, non come attrattiva di una fissa dimora. Per questo il beato Apostolo ci predica: Il tempo è breve; ormai chi ha moglie, sia come se non l'avesse; e chi piange, come se non piangesse; e chi gode, come se non godesse; e chi compera, come se nulla possedesse; e chi usa di questo mondo, come non ne usasse: passa infatti la figura di questo mondo (1Cor 7, 29 ss).
Ma da ciò che blandisce con la bellezza, l'abbondanza e la varietà non ci si allontana facilmente, se in tale bellezza non si ama il Creatore delle realtà visibili piuttosto che la creatura; egli, dicendo: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, e tutte le tue forze (Mt 22, 37), esige che noi non ci sciogliamo in nulla dal vincolo del suo amore. E unendo a questo precetto quello dell'amore per il prossimo ci propone l'esempio della sua bontà, perché noi amiamo ciò che egli ama e operiamo come egli opera. Infatti, pur essendo noi campi coltivati da Dio, edifici innalzati da Dio (1 Cor 3, 9), e quantunque né chi pianta sia qualcosa, né chi irriga, ma colui che dà la crescita, Dio (1 Cor 3, 7), egli esige in tutto la prestazione del nostro servizio e vuole che noi siamo dispensatori dei suoi doni, perché così chi porta in sé l'immagine di Dio fa la volontà di Dio. Per questo nella preghiera del Signore pronunciamo le parole sacratissime: Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra (Mt 6, 10). Con queste parole, che altro chiediamo se non che Dio assoggetti a sé chi ancora non gli è soggetto, e faccia gli uomini in terra servi della sua volontà come lo sono gli angeli in cielo? Chiedendo ciò, amiamo Dio e amiamo il prossimo: unico è in noi e non distinto l'amore, quando desideriamo che il servo serva e che il Signore regni.

(Dal Sermone 90, 1-3)


Gregorio Magno. La fine del mondo segna il trionfo di Gesù Cristo e il premio degli eletti.

Fratelli carissimi, il nostro Signore e Redentore, volendoci trovare preparati e per allontanarci dall’amore del mondo, ci dice quali mali ne accompagnino la fine. Ci scopre quali colpi ne indichino la fine, in modo che se non temiamo Dio nella tranquillità, il terrore di quei colpi ci faccia temere l’imminenza del suo giudizio. Infatti alla pagina del santo Vangelo che avete ora sentito, il Signore poco prima ha premesso: "Si leverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno terremoti, pestilenze e carestie dappertutto" (Lc 21,10-11); e poi ancora: "Ci saranno anche cose nuove nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra le genti saranno prese da angoscia e spavento per il fragore del mare in tempesta" (Lc 21,25); dalle cui parole vediamo che alcune cose già sono avvenute e tremiamo per quelle che devono ancora arrivare. Che le genti si levino contro altre genti e che la loro angoscia si sia diffusa sulla terra l’abbiam visto più ai nostri tempi che non sia avvenuto nel passato. Che il terremoto abbia sconquassato innumerevoli città, sapete quante volte l’abbiam letto. Di pestilenze ne abbiamo senza fine. Di fatti nuovi nel sole, nella luna e nelle stelle, apertamente per ora non ne abbiam visto nulla, ma che non siano lontani ce ne dà un segno il cambiamento dell’aria. Tuttavia prima che l’Italia cadesse sotto la spada dei pagani, vedemmo in cielo eserciti di fuoco, cioè proprio quel sangue rosseggiante del genere umano, che poi fu sparso. Di notevoli confusioni di onde e di mare non ne abbiamo ancora avute, ma poiché molte delle cose predette già si sono avverate, non c’è dubbio che avvengano anche le poche, che ancora non si sono avverate; il passato è garanzia del futuro.

       Queste cose, fratelli carissimi, le andiamo dicendo, perché le vostre menti stiano vigilanti nell’attesa, non s’intorpidiscano nella sicurezza, non s’addormentino nell’ignoranza e vi stimoli alle opere buone il pensiero del Redentore che dice: "Gli abitanti della terra moriranno per la paura e per il presentimento delle cose che devono avvenire. Infatti le forze del cielo saranno sconvolte" (Lc 21,26). Che cosa il Signore intende per forze dei cieli, se non gli angeli, arcangeli, troni, dominazioni, principati e potestà, che appariranno visibilmente all’arrivo del giudice severo, perché severamente esigano da noi ciò che oggi l’invisibile Creatore tollera pazientemente? Ivi stesso si aggiunge: "E allora vedranno venire il Figlio dell’uomo sulle nubi con gran potenza e maestà". Come se volesse dire: Vedranno in maestà e potenza colui che non vollero sentire nell’umiltà, perché ne sentano tanto più severamente la forza, quanto meno oggi piegano l’orgoglio del loro cuore innanzi a lui.

       Ma poiché queste cose sono state dette contro i malvagi, ecco ora la consolazione degli eletti. Difatti viene soggiunto: "All’inizio di questi avvenimenti, guardate e sollevate le vostre teste, perché s’avvicina il vostro riscatto". È la Verità che avverte i suoi eletti dicendo: Mentre s’addensano le piaghe del mondo, quando il terrore del giudizio si fa palese per lo sconvolgimento di tutte le cose, alzate la testa, cioè prendete animo, perché, se finisce il mondo, di cui non siete amici, si compie il riscatto che aspettate. Spesso nella Scrittura il capo sta per la mente, perché come le membra son guidate dal capo, così i pensieri sono ordinati dalla mente. Sollevare la testa, quindi, vuol dire innalzare le menti alla felicità della patria celeste. Coloro, dunque, che amano Dio sono invitati a rallegrarsi per la fine del mondo, perché presto incontreranno colui che amano, mentre se ne va colui ch’essi non amavano. Non sia mai che un fedele che aspetta di vedere Dio, s’abbia a rattristare per la fine del mondo. Sta scritto infatti: "Chi vorrà essere amico di questo mondo, diventerà nemico di Dio" (Jc 4,4). Colui che, allora, avvicinandosi la fine del mondo, non si rallegra, si dimostra amico del mondo e nemico di Dio. Ma non può essere questo per un fedele, che crede che c’è un’altra vita e l’ama nelle sue opere. Si può dispiacere della fine di questo mondo, chi ha posto in esso le radici del suo cuore, chi non tende a una vita futura, chi neanche sospetta che ci sia. Ma noi che sappiamo dell’eterna felicità della patria, dobbiamo affrettarne il conseguimento. Dobbiamo desiderare d’andarvi al più presto possibile per la via più breve. Quali mali non ha il mondo? Quale tristezza e angustia vi manca? Che cosa è la vita mortale, se non una via? E giudicate voi stessi, fratelli, che significherebbe stancarsi nel cammino d’un viaggio e tuttavia non desiderare ch’esso sia finito.

       Gregorio Magno, Sermo 1, 1-3