giovedì 5 settembre 2013

Il grido della pace raggiunge il G20



 Al centro del vertice di San Pietroburgo la crisi siriana.

Saranno capaci i cosiddetti “grandi della terra” a recepire il grido della pace innalzato da Papa Francesco? È l’interrogativo che accompagna l’apertura di uno dei massimi appuntamenti diplomatici mondiali, il vertice del G20 di San Pietroburgo. Sull’appuntamento — in un primo momento convocato per affrontare temi cruciali di economia e di giustizia sociale — incombe ora l’ombra di un conflitto, quello siriano, già da tempo segnato da orrori e che oggi, con la dichiarata intenzione di alcuni Paesi di intervenirvi con le armi, minaccia un allargamento dagli esiti potenzialmente devastanti. L’attenzione degli osservatori è concentrata sul presidente statunitense, Barack Obama, e su quello russo, Vladimir Putin. In una tappa in Svezia prima di recarsi a San Pietroburgo, Obama si è detto deciso a trovare consenso internazionale alla sua decisione di un’azione punitiva nei confronti del Governo del presidente siriano Bashar Al Assad. Obama ha inoltre ribadito che il suo Governo ha «un’elevata certezza» sull’uso di armi chimiche da parte delle forze siriane lo scorso 21 agosto.
Finora, tra i leader del G20, oltre al re saudita Abdallah, il cui Governo non nasconde la volontà di vedere rovesciato Assad, si sono detti favorevoli all’intervento armato solo i primi ministri di Australia, Kevin Rudd, e di Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, e il presidente francese, François Hollande. Come è noto, il primo ministro britannico, David Cameron, si è visto invece bocciare dal Parlamento di Londra l’ipotesi di un intervento militare. Anche nel dibattito all’Assemblea nazionale francese, che però non prevedeva un voto, sono emerse fortissime contrarietà alla linea del presidente Hollande.
Obama giunge a San Pietroburgo dopo essersi garantito un sostanziale sostegno del Congresso degli Stati Uniti all’uso della forza — ieri si è espressa in questo senso, con 10 voti contro 7, la commissione Esteri del Senato — peraltro con modifiche alla risoluzione presentata in un primo momento dalla Casa Bianca, che aveva più volte affermato di non volere intervenire direttamente nella guerra civile siriana. La nuova formulazione, infatti, come comunicato dalla Presidenza, fa riferimento anche a una strategia più ampia di rafforzamento dell’opposizione in Siria.
A Stoccolma, comunque, Obama ha insistito sul fatto che l’intera vicenda non è circoscrivibile alla posizione statunitense. «Non sono stato io a fissare una linea rossa, ma è stato il mondo stesso», ha osservato il presidente statunitense, in riferimento al trattato internazionale che mette al bando le armi chimiche. «Se non agiamo, di fatto stiamo dicendo che chiunque può continuare a operare impunemente», ha sostenuto Obama, assicurando che non intende ripetere gli errori commessi con l’intervento militare in Iraq, di basare cioè «le decisioni su errate notizie di intelligence».
Dal canto suo, Putin ha ricordato che non è accettabile alcuna decisione presa al di fuori del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, unica istituzione legittimata ad autorizzare l’uso della forza contro un Paese sovrano. E sulla responsabilità di Assad riguardo ad attacchi con gas nervino ha chiesto prove inconfutabili, ricordando la possibilità di manipolazioni mediatiche.
L'Osservatore Romano

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Di seguito la versione italiana dell’intervista rilasciata dal Superiore Generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás, S.J., a John Pontifex, dell’Independent Catholic News.
La traduzione italiana è tratta dal sito della Curia generalizia della Compagnia di Gesù.
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Il Santo Padre ha lanciato un appello fuori del comune a favore della pace in Siria. Qual'è la sua opinione in proposito? 
Padre Adolfo Nicolás: Non ho l'abitudine di fare commenti su questioni di carattere internazionale o politico. Ma in questo caso siamo di fronte ad una situazione umanitaria che va oltre i limiti che normalmente mi farebbero restare in silenzio. Devo ammettere che non capisco che diritto abbiano gli Stati Uniti o la Francia ad agire contro un Paese in un modo che senza dubbio aumenterà le sofferenze di una popolazione che ha già sofferto abbastanza. La violenza o le azioni violente, come quella che si sta preparando, sono giustificabili unicamente come ultimo tentativo e in modo tale che solamente i colpevoli ne subiscano il danno. Nel caso di un Paese ciò è chiaramente impossibile e quindi mi sembra completamente inaccettabile. Noi gesuiti appoggiamo al 100% l'azione del Santo Padre e ci auguriamo con tutto il cuore che l'annunciato attacco contro la Siria non abbia luogo. 
Ma il mondo non ha la responsabilità di fare qualcosa contro chi abusa del potere contro il suo stesso popolo, come nel caso di un governo che in un conflitto usa armi chimiche? 
Padre Adolfo Nicolás: Qui si tratta di tre diversi aspetti, che conviene separare con chiarezza. Il primo ha a che fare con il fatto che ogni abuso di potere deve essere condannato e rifiutato. E, con tutto il rispetto per il popolo degli Stati Uniti, credo che l'intervento militare che si sta preparando costituisca un abuso di potere. Gli Stati Uniti d'America devono smettere di comportarsi e reagire come il fratello maggiore del quartiere del mondo.  Questo porta inevitabilmente all'abuso, molestia e bullismo sui membri più deboli della comunità. 
Il secondo è che se c'è stato l'uso di armi chimiche abbiamo comunque l'obbligo di mostrare chiaramente al mondo intero che un gruppo del conflitto e non l'altro le ha usate. Non è sufficiente che qualche membro del governo del Paese che intende intervenire emetta un verdetto di colpevolezza. Bisogna che dimostrino al mondo che è così, senza dubbi, affinché il mondo possa fidarsi di loro. Questa fiducia oggi non c'è e sono già iniziate le speculazioni su altri motivi degli Stati Uniti per il previsto intervento.
E il terzo è che i mezzi considerati adeguati per punire l'abuso non danneggino le stesse vittime del primo abuso, una volta dimostrato che esso sia avvenuto. L'esperienza passata ci insegna che questo è praticamente impossibile (anche se chiamiamo le vittime con l'eufemismo di "danno collaterale") e il risultato è l'aumento delle sofferenze per il popolo innocente e estraneo al conflitto.  Tutti sappiamo che la grande preoccupazione dei Saggi e dei Fondatori Religiosi di tutte le tradizioni e culture era "come ridurre la sofferenza umana"? E' molto preoccupante che in nome della giustizia si pianifichi un attacco che aumenterà la sofferenza delle vittime. 
Non è troppo duro con gli Stati Uniti?
Padre Adolfo Nicolás: Non credo. Non ho mai avuto pregiudizi verso questo grande Paese e attualmente lavoro con alcuni gesuiti statunitensi la cui opinione e collaborazione tengo in grande considerazione. Mai ho avuto sentimenti negativi verso gli Stati Uniti, un Paese che ammiro molto per diversi motivi, tra cui l'impegno, la spiritualità e il pensiero. Ciò che più mi preoccupa è che proprio questo Paese, che io ammiro sinceramente, sta sul punto di commettere un grande errore. E potrei dire lo stesso della Francia: un Paese che è stato un vero leader in spirito, intelligenza, che ha contribuito notevolmente alla civilizzazione e alla cultura e che ora è tentato di condurre di nuovo l'umanità verso la barbarie, in aperta contraddizione con tutto quello che esso ha significato per molte generazioni. Che questi due Paesi si uniscano adesso per una decisione così oltraggiosa che suscita la rabbia di tanti Paesi nel mondo. Non abbiamo paura dell'attacco, ci spaventa la barbarie verso cui siamo condotti.  
Perchè parlare così adesso?
Padre Adolfo Nicolás: Perché il pericolo è adesso.  Perché il Santo Padre sta prendendo provvedimenti straordinari per renderci consapevoli dell'urgenza del momento.  L'aver dichiarato il sette settembre giorno di digiuno per la pace in Siria è una misura straordinaria e noi vogliamo unirci a lui.  Possiamo ricordare che in un passaggio del Vangelo quando i discepoli non riescono a liberare un giovane da uno spirito malvagio, Gesù gli dice: "Questa specie di spirito si può cacciare solo con la preghiera e il digiuno". Per me è molto difficile accettare che un Paese che si considera, almeno nominalmente, cristiano in una situazione di conflitto non possa concepire altro che l'azione militare e con essa portare il mondo nuovamente alla legge della giungla.