martedì 10 settembre 2013

La testimonianza dei musulmani a San Pietro



La testimonianza dei musulmani presenti alla veglia in piazza San Pietro. Papa Francesco esempio da seguire

Si sono uniti anche i musulmani al popolo della pace convocato da Papa Francesco e hanno risposto numerosi al suo invito alla veglia in piazza San Pietro. Sabato sera cristiani e musulmani hanno sfoderato insieme le “armi” della preghiera per la pace. A spiegare le ragioni che hanno mosso il mondo islamico sono Amman e Ismael, due giovani avvolti in una bandiera siriana: «Siamo qui per ringraziare Papa Francesco che ha dimostrato compassione per il nostro popolo e perché oggi cristiani e musulmani sono uniti nella preghiera per la pace. Anche noi abbiamo digiunato e resteremo qui fino alle fine».Con loro c’è anche Minas, una giovane siriana che indossa il chador ed è in luna di miele a Roma. È venuta a San Pietro con il marito proprio per non mancare all’appuntamento per la pace. «Spero — confida — che quando torneremo a Damasco non troveremo case distrutte dalle bombe». Sono giovani che non mostrano segni di appartenenza politica. Qualcuno indossa una t-shirt bianca e con scritte contrarie all’intervento in Siria.
A esprimere l’adesione dei musulmani è Foad Aodi, il medico di origine palestinese a capo del Co-mai, l’associazione che riunisce le comunità del mondo arabo in Italia. Racconta «i sentimenti di entusiasmo e gratitudine per tutto quello che il Papa sta facendo in favore della pace». Tra i primi ad arrivare in piazza San Pietro, Foad Aodi auspica anche per il mondo islamico «una guida come Papa Francesco». Non può quantificare il numero di musulmani presenti alla veglia, «ma certamente non sono pochi» assicura. E racconta di aver «ricevuto migliaia di messaggi di gioia di arabi e musulmani. Con le sue parole contro la guerra il Papa ha fatto cadere un muro di ipocrisia nella politica. La sua iniziativa è davvero forte e segnerà sicuramente una svolta storica nel linguaggio, che anche in politica e in diplomazia deve essere coerente, diretto e trasparente». Inoltre i continui interventi del Papa, per il presidente del Co-mai, «avranno anche come indiretta conseguenza quella di migliorare l’immagine dei cristiani presso alcuni settori musulmani; contribuiranno a un maggiore dialogo e comprensione e soprattutto a un rispetto delle persone e dei luoghi sacri dove si riuniscono in preghiera. Ora, infatti, tocca al mondo arabo fare suo l’appello alla pace e alla fraternità lanciato dal Papa». E conclude: «Papa Francesco per noi è un esempio da seguire».
La presenza dei musulmani alla veglia è avvenuta, comunque, nel segno del rispetto reciproco e della preghiera. Così una decina di musulmani, tra cui siriani con le bandiere della propria nazione, hanno recitato il Corano restando però ai margini di piazza San Pietro, all’esterno delle transenne, per non disturbare la preghiera dei cristiani. Ma unendosi, in qualche modo, all’iniziativa per la pace indetta da Papa Francesco. Stando a quanto hanno poi dichiarato, hanno recitato «il capitolo delle stanze» del Corano. «In quel verso si parla di Allah che ha fatto istituire un popolo e una comunità affinché possiamo conoscerci. Il più nobile che più ama e teme Dio si trattiene da qualunque violenza» spiega Salameh Ashour, presidente della comunità palestinese romana, che ha recitato in italiano i versi del Corano assieme ad altri musulmani, con il palmo delle mani rivolto al cielo. Ma in piedi e senza nessun tappeto, «proprio per non disturbare nessuno». Tanti musulmani — egiziani, libici, siriani, palestinesi, iracheni e di altre nazionalità — hanno scelto invece di partecipare alla veglia in piazza, in mezzo alla folla, fianco a fianco dei cristiani.
E comunque niente bandiere, striscioni, slogan in piazza San Pietro. Nessun gruppo numeroso a riempire i settori. C’erano soprattutto famiglie, gruppi di amici, parrocchie. Nessun pellegrinaggio imponente. Molte persone erano alla loro prima partecipazione a un incontro di preghiera in piazza San Pietro e, forse, in assoluto. Un dato significativo secondo i leader della Comunità di Sant’Egidio. Per il fondatore Andrea Riccardi e il presidente Marco Impagliazzo «il Papa ha smosso l’impasse in cui è caduta la comunità internazionale, ha spezzato il silenzio dei potenti, scuotendo i cuori delle singole persone che si sono sentite protagoniste, interpellate direttamente». Ecco, dunque, che «la piazza appartiene proprio a tutti» conferma Franco Miano, presidente dell’Azione Cattolica Italiana. «Questa è la preghiera della gente semplice — dice — perché la pace si costruisce testimoniando la fede nella quotidianità». E «le persone di buona volontà — aggiunge Miano — stanno rispondendo all’appello del Papa e mostrano come i problemi di ogni giorno non distraggano la loro attenzione dalle grandi questioni internazionali».
A dar voce a questa realtà c’è, in piazza San Pietro, proprio un gruppo di ragazzi dell’Azione Cattolica. «È bello pregare con i miei amici nella casa del Papa» dice Samuel, bolognese di nove anni, mentre per Elisa, dodicenne torinese, «è molto divertente essere qui, conoscere persone nuove e, anche se stanca, sono felice perché ho potuto dire la mia fede». E se Michela, nove anni, di Ozieri, esprime con schiettezza la propria speranza «che vinca la pace», per Maria, tredici anni, di Bari, «è bello l’incontro di tanti volti, tanti ragazzi, tante persone diverse ma con unico sentire: il nostro sì a Gesù». Infine Giovanni, dodici anni, di Caltagirone, confida di sentirsi «piccolo ma anche grande nell’appartenere alla grande famiglia della Chiesa. Come un piccolo pezzo di un grande puzzle dove unendo l’uno all’altro viene fuori lo splendore del creato».
A un loro coetaneo del Paraguay, Roque, spetta un piccolo primato: il primo a essere entrato in piazza San Pietro alle ore 16 in punto, quando sono stati aperti i varchi d’ingresso. Ha undici anni ed è a Roma in vacanza con la famiglia. «Non potevamo mancare» dice per esprimere le ragioni della partecipazione alla veglia. E aggiunge con un pizzico di stupore indicando la marea di passeggini: «Ma qui ci sono tanti bambini, tante famiglie!». Soprattutto famiglie romane: evidente che ha ben funzionato la mobilitazione spirituale delle parrocchie della diocesi del Papa.
L’elenco dei presenti in piazza — difficile riconoscere tutte le appartenenze e le provenienze perché, con un’opportuna scelta, non ci sono né bandiere né cartelli — è «impressionante», conferma Salvatore Martinez, presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo. Ci sono anche i poveri assistiti dalle suore di Madre Teresa nella casa Dono di Maria in Vaticano: «non sono voluti mancare» spiegano le religiose «e hanno accolto l’invito del Papa alla preghiera e al digiuno».
Ci sono, poi, tantissimi giovani con le magliette verdi della giornata mondiale di Rio de Janeiro. «Sono sicura che tutti coloro che erano in Brasile oggi pregano con il Papa: qui, nelle loro case o nelle loro comunità» dice Alessia, trentenne fiorentina. E soprattutto ci sono i malati e i disabili. In prima fila. È Valentina, tredicenne romana con la sindrome di Down, a esprimere con semplicità il pensiero di tutti: «Come sarebbe bello il mondo se fosse come piazza San Pietro stasera. Ma perché a qualcuno viene in mente di sparare?».
L'Osservatore Romano

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Primi effetti collaterali del pacifismo integrale di Francesco sulla Siria


L’indubbio successo, non solo mediatico, della veglia di preghiera con digiuno per la pace in Siria presieduta sabato in Piazza San Pietro da Papa Francesco e il rinnovato attivismo diplomatico vaticano (ieri un nuovo tweet del Pontefice, “chiedo  d’intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato”) stanno provocando un effetto d’onda ormai visibile a occhio nudo. Sul fronte mediorientale, significativa la lettera che monsignor Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi, ha scritto a Barack Obama. Ne ha dato notizia ieri l’agenzia Fides: “E’ per la pace che vi scrivo, la nostra pace. E’ contro la guerra che le scrivo, la vostra guerra”. Parole dure, raddoppiate dai dubbi che il vescovo avanza anche sulle prove dell’uso di armi chimiche da parte di Assad, e dall’appello a “risparmiare i massacri, le distruzioni e altre sofferenze”. La lettera di monsignor Hindo giunge a ridosso del successo ottenuto dall’iniziativa del patriarca cattolico libanese Boutros Bechara Rai, che aveva invitato al digiuno in corrispondenza con quello “romano”, e da quello della veglia di preghiera svoltasi, in concomitanza, in varie diocesi siriane e a cui hanno partecipato anche migliaia di musulmani. Ad AsiaNews, il nunzio apostolico a Damasco, monsignor Mario Zenari, ha definito l’iniziativa “un evento eccezionale”. Parallelamente, si era svolta una celebrazione di preghiera e digiuno per la pace anche nella grande moschea degli Omayyadi a Damasco. A presiederla il Gran Muftì di Siria, Ahmad Badreddin Hassou, leader dell’islam sunnita, alla presenza di capi religiosi sunniti, sciiti, alawiti, ismaeliti, drusi e anche di rappresentanti di altre religioni, ebrei e cristiani. “Noi musulmani siriani – ha dichiarato a Fides Ahmad Badreddin Hassou – siamo orgogliosi non solo di proteggere i cristiani, ma di essere la cornice entro cui la cristianità si è potuta esprimere e diffondere nel mondo come messaggio di pace, in quanto Gesù Cristo è il Principe della pace”. Affermazioni che, pur con quel margine di retorica che può ragionevolmente essere imputata alla eccezionalità della situazione, sembrano amplificare le parole del Papa sulla necessaria convivenza delle fedi e il suo auspicio – nella lettera al G20 – che la Siria possa tornare a essere un paese multireligioso, e non diviso in base ad appartenenze etniche. Sul fronte dell’iniziativa diplomatica della Santa Sede, dopo l’Angelus di domenica con le dure accuse di Bergoglio al traffico delle armi, c’è da segnalare un’intervista altrettanto dura rilasciata da monsignor Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’ufficio Onu di Ginevra alla Radio Vaticana: “Il legame tra il complesso industriale e militare è reale e ha un peso politico sproporzionato all’interesse del bene comune di un paese”.
La forte accelerazione impressa all’iniziativa contro la guerra da Bergoglio sta rapidamente modificando anche i connotati delle posizioni interne alla chiesa cattolica. Se il filosofo cattolico conservatore americano Michael Novak, intervistato dal sito Vaticaninsider, ha espresso perplessità sul pacifismo inteso come unica posizione dottrinale corrispondente al pensiero della chiesa – “Per noi americani, in sostanza, non è vero che la guerra non ha mai risolto nulla”, ha detto –, il cardinale emerito di Washington, Theodore E. McCarrick, ha invece dichiarato al Catholic News Service di essere contrario all’intervento militare americano, specificando di non credere per nulla alla teoria che “fare la guerra porti la pace”. E allargando il giudizio politico al passato, ha aggiunto: “Abbiamo fatto un errore in Iraq. Spero che non lo rifacciamo ancora in Siria”. Che il clima in Vaticano sia un po’ mutato, favorendo l’abbandono di certe meticolose prudenze del passato, lo si nota anche da qualche particolare giornalistico. Ieri sul sito della Radio Vaticana spiccava un reportage sui conti economici del traffico delle armi. Ma soprattutto, sulla prima pagina dell’Osservatore Romano di domenica, compariva un articolo di fondo firmato dal vescovo emerito di Ivrea, ed ex leader di Pax Christi, Luigi Bettazzi, un “pacifista senza se e senza ma” non particolarmente di moda nei Sacri Palazzi negli anni passati, chiamato invece ora a ricapitolare il pensiero dei papi del Novecento “come profeti e missionari di pace”.
M. Crippa