sabato 26 ottobre 2013

Perché lui è lì e io no?


di Mario Barbieri
«Perché lui è lì e non io?». «Ogni volta che chiamo i carcerati di Buenos Aires, ogni tanto la domenica per una chiacchiera, mi domando: perché lui e non io?», ha detto parlando a braccio. «Io – ha aggiunto – che meriti più di lui ho per non stare lì». «Fa bene domandarsi: `Perché lui è caduto e non io?´ Le debolezze che abbiamo sono le stesse… È un mistero che ci avvicina a loro».
Queste frasi,  seppur riportate con virgolettato in varie “versioni”, in occasione della recente udienza del Santo Padre ai Cappellani delle carceri italiane, non cambiano la sostanza della domanda che Papa Francesco si pone e, in fondo, invita noi tutti a porci: «Perché lui è lì e non io?».
Ancora una volta la semplicità espressiva di una altrettanto semplice domanda diretta, ci spinge ad un interrogativo tutt’altro che semplice, che ci chiama a conversione.
Non ho dubbi che il Papa si ponga sinceramente questa domanda e che, da questa domanda, scaturisca la sua gratitudine a Dio (per non essere lui lì…) e compassione. Compassione nel senso più pregnante del termine, verso chi sta “dietro le sbarre”.
Ma qual è la mia convinzione? Davvero credo che senza l’aiuto della Grazia, se Dio non avesse messo e tenesse “la Sua mano” sulla mia testa, come diceva San Filippo Neri, io sarei dove sono ora, libero e senza debiti con la giustizia umana (rispetto quella Divina, confido nella Sua Infinita Misericordia), piuttosto che carcerato o magari condannato a morte, se avessi avuto l’avventura di nascere in un altro Stato?
Davvero sono convinto che potrei trovarmi accusato dei peggiori peccati, giacché non mi pare il Papa abbia fatto dei distinguo: rapina, omicidio, stupro, violenze… magari perpetrati verso i più deboli e indifesi?
O in fondo dentro di me alberga, come da sempre, lo spirito farisaico, che afferma sicuro nel suo orgoglio: “Io non sono e non sarò mai così, rubare io? Uccidere poi! Stuprare… mi fa ribrezzo solo dirlo!”
Ecco che già questo pensiero, fa pendere la bilancia del mio giudizio, verso chi questi crimini (e peccati) ha commesso, più sul piatto della condanna, che su quello della misericordia. Non rispetto la giusta condanna dell’atto in sé, ma all’ingiusta condanna, senza appello, di chi il crimine a commesso… perché in fondo, se io sono stato capace di non commettere alcun male (ma secondo l’insegnamento di Cristo, già sarei nell’inganno…) perché lui è lì e non io? Ed ecco che la domanda, o meglio la risposta, tristemente si ribalta nel suo senso profondo.
Diventa allora inutile elencare i possibili motivi, umani ancorché spirituali, che hanno portato l’altro in carcere per giusta sentenza e vedono me graziato dalla Divina Misericordia: dove sono nato; che famiglia ho avuto; che insegnamento ho ricevuto; che amicizie ho incontrato; quali debolezze; quali fragilità; quali circostanze; quale mancanza di una coscienza retta e illuminata dalla Verità; quali armi per resistere alla tentazione, quale conoscenza di Cristo! Insomma quale Storia…
Diventa inutile perché avendo già risposto alla domanda ribaltandone il senso profondo, ecco che è giusto sì, che lui e non io, marcisca in carcere. Meglio che si butti via la chiave… non dico la pena di morte perché sono cristiano…
Ma se il Papa si pone questa domanda, che è già una constatazione e contiene già, a ben vedere, la risposta, mi chiedo: “Perché lui si e io no?!”