mercoledì 23 ottobre 2013

Segno di speranza per i popoli dell’Asia

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Nel 2016 le Filippine ospiteranno il cinquantunesimo congresso eucaristico internazionale. 

(Piero Marini) I Congressi eucaristici internazionali hanno avuto un impatto profondo, anche se non sempre misurabile, sulla vita della Chiesa. Nel cuore del Novecento essi hanno contribuito in maniera determinante a ritrovare la consapevolezza del rapporto essenziale tra Chiesa ed Eucaristia, a sviluppare la “partecipazione attiva” dei fedeli alla liturgia, a ricollocare l’Eucaristia all’interno del suo alveo originario, cioè la celebrazione. Realtà queste che, inserite nel disegno globale della riforma liturgica, sono diventate ormai patrimonio di tutta la Chiesa.
Il costante approfondimento del mistero eucaristico a beneficio della Chiesa universale continuerà anche a Cebu basandosi sul rapporto tra speranza ed Eucaristia; tema, quello della speranza, spesso ignorato nella riflessione e nella prassi pastorale delle comunità cristiane. Tema che illumina anche le sfide che la Chiesa nelle Filippine è chiamata ad affrontare in vista del cinquantunesimo Congresso eucaristico internazionale.
L’Asia è un continente dove l’Eucaristia può offrire speranza a una moltitudine di poveri, dove le innumerevoli “periferie” geografiche e “marginalità” sociali attendono l’annuncio del Vangelo del Regno. In questo senso l’Eucaristia, secondo l’espressione di Johann Baptist Metz, è una «memoria pericolosa» forza sovversiva del presente, coscienza critica della vicenda umana. Essa, infatti, fa risuonare perennemente nella comunità l’invito a compiere quanto Gesù ha vissuto in prima persona, ossia l’offerta totale di sé per la salvezza di tutti. La comunità eucaristica, mangiando «il corpo donato» diventa «corpo per gli altri», «corpo offerto per le moltitudini». Nel memoriale pasquale, mentre annunciano la memoria passionis, mortis et resurrectionis Jesu Christi, i cristiani che vivono nell’attesa della venuta del Signore, fanno della loro esistenza un dono totale.
La Chiesa intera attualizza così, nel proprio contesto storico, l’icona di colui che «avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine. Durante la cena (...) cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto (...) “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”» (Giovanni, 13, 1-5. 14). Prima di essere un’opera o un’iniziativa, la carità è un complesso di atteggiamenti esemplati sul dono di Cristo che maturano in gesti di pazienza, fede, coraggio, perdono, condivisione, solidarietà. Perché «la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo» (Sacramentum caritatis, 88).
Ubi eucharistia, ibi ecclesia. Dovunque si celebra l’Eucaristia lì c’è la Chiesa. Questo è il principio dell’ecclesiologia eucaristica che troviamo nei teologi ortodossi e, in modo diverso, anche in singoli passi del concilio Vaticano II e nei teologi cattolici. L’Eucaristia in quanto attuazione del banchetto dei tempi messianici si offre come comunione all’unica mensa e convocazione universale non solo dei credenti ma di tutti gli uomini. Di fatto, l’Eucaristia non rappresenta solo un segno di fede personale; non è celebrata per rafforzare parzialità e chiusure ma per far saltare gli steccati e aprire all’universalità della convocazione salvifica. E se, nella situazione attuale non è possibile che tutti i battezzati di qualsiasi confessione cristiana si radunino intorno all’unica mensa del Signore, è però possibile già fin d’ora realizzare l’«ecumenismo della vita» che, posto sotto il segno della croce, impegna ciascuno a vivere la compassione e la misericordia di Dio. Esso si traduce fondamentalmente nella testimonianza di fede vissuta quotidianamente attraverso la meditazione delle Sacre Scritture, il lavoro comune con i battezzati di altre Chiese, l’impegno in gruppi ecumenici, la collaborazione per iniziative di catechesi e di formazione nelle comunità locali di diverse confessioni. All’interno di una società percorsa da vene profonde di neopaganesimo che hanno fatto scomparire l’orizzonte escatologico, la partecipazione all’Eucaristia continua a coltivare nel cuore dei credenti la speranza: «Come questo pane spezzato era sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della terra» (Didachè, 9, 4).
Nell’Eucaristia, Cristo fa suo il banchetto imbandito con i frutti della terra e del lavoro umano e i doni deposti sulla mensa diventano cibo e bevanda di salvezza, nutrimento per la vita eterna. Egli assume in sé la vita di ogni uomo e trasforma i deboli legami della comunione umana in un vinculum caritatis capace di dare significato positivo alle differenze.
La diversità delle culture — diversità di lingua, storia e tradizioni di cui l’Asia, in particolare, è estremamente ricca — può talvolta essere di ostacolo alla comunione tra i popoli, trasformando il mondo globalizzato in una torre di Babele. Ma nell’Eucaristia le diversità diventano, prima di tutto, l’espressione della varietà infinita delle risorse e dei doni dell’umanità. Le diversità non ostacolano la comunione ma la arricchiscono e l’inculturazione non è una semplice strategia per l’evangelizzazione ma risponde al principio d’incarnazione.
Il profeta Isaia così presenta il pellegrinaggio escatologico delle nazioni alla santa montagna di Dio: «Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda (...) I tuoi figli vengono da lontano, verrà a te la ricchezza delle genti» (cfr. Isaia, 60, 3ss). Ebbene, che altro sono queste «ricchezze delle genti» se non le culture dei diversi popoli, ciò che essi hanno creato con la loro intelligenza e le loro mani, i tesori della loro saggezza e delle loro tradizioni secolari, il loro modo concreto di essere umani? Come nel banchetto messianico preparato sul monte (cfr. Isaia, 25, 6 ss.) la comunione sorpassa ogni frontiera umana, così attorno alla mensa del Corpo e del Sangue del Signore, si radunano tutte le nazioni del mondo con la loro meravigliosa varietà di tradizioni e di culture che esse contengono. L’opera di incarnazione del Verbo evangelico trasforma ogni differenza in un rendimento di grazie che orienta verso una nuova civiltà. «L’Eucaristia costituisce una sorta di “antidoto”, che opera nelle menti e nei cuori dei credenti e continuamente semina in essi la logica della comunione, del servizio, della condivisione, insomma, la logica del Vangelo» (Benedetto XVI, Angelus del 26 giugno 2011).
Su questo orizzonte, «Cristo in noi, speranza della gloria» spinge i battezzati a vivere la speranza nella storia e a coniugare l’impegno terreno con l’escatologia.
Per esempio, attraverso un inserimento coraggioso nella vita politica e sociale secondo il Vangelo. Se il sacrificio di Cristo è mistero di liberazione che interpella e provoca i credenti, dall’Eucaristia nasce il primato della responsabilità verso gli altri, verso se stessi e verso l’ambiente; la chiamata alla solidarietà; l’impegno per una globalizzazione rispettosa della giustizia e della pace; la salvaguardia del diritto dei più deboli. «È nell’impegno a trasformare le strutture ingiuste per ristabilire la dignità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, che l’Eucaristia diventa nella vita ciò che essa significa nella celebrazione» (Undicesimo Sinodo dei vescovi, elenco finale delle proposizioni, n. 48).
E, ancora, si può vivere la speranza attraverso un lavoro incessante a difesa della vita. Nell’Eucaristia, dove la vita viene continuamente celebrata e donata vi è la sorgente di una nuova cultura della vita. Il pane di vita ricevuto nell’Eucaristia spinge a un impegno profetico nella costruzione dei rapporti umani, nell’offerta di spazi di vita per l’ospitalità e l’accoglienza. Se il prossimo Congresso Eucaristico di Cebu riuscirà a offrire a tutti i partecipanti questi fecondi orizzonti, esso potrà immettere nelle comunità cristiane una forza e un dinamismo di cui potranno beneficiare la Chiesa e l’umanità. Un altro mondo, un mondo diverso, un mondo migliore è sempre possibile. L’Eucaristia, per sua stessa natura, continua a richiamare questa meta e questo impegno ogni volta che viene celebrata.
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I preparativi nell’arcidiocesi di Cebu
Dal 25 al 31 gennaio 2016 — sul tema «Cristo in voi, speranza della gloria» (Colossesi, 1, 27) — si terrà a Cebu, nelle Filippine, la celebrazione del cinquantunesimo Congresso eucaristico internazionale. In vista di tale appuntamento, una delegazione del Pontificio Comitato per i Congressi eucaristici internazionali, guidata dal suo arcivescovo presidente, ha visitato il mese scorso — quindi prima del sisma che ha colpito l’area — l’isola di Cebu, che tra l’altro accoglie il cuore della devozione alla statua del Santo Niño diffusa in tutto il Paese. Capoluogo della provincia omonima nella regione del Visayas Centrale, Cebu è una città altamente urbanizzata con più di 4 milioni e mezzo di abitanti, di cui quasi il 90 per cento cattolici. La visita della delegazione alla diocesi guidata dall’arcivescovo Jose S. Palma, ha permesso di raggiungere alcuni importanti risultati. In collaborazione con il Comitato locale, sono stati scelti i luoghi in cui si svolgeranno le celebrazioni, le sessioni plenarie, la processione e la statio orbis del Congresso. Nell’incontro con responsabili delle diverse commissioni si è insistito sul fatto che nel grande evento del 2016 non dovranno mancare riferimenti diretti ai poveri, ai giovani e alle culture asiatiche. Per dare un segno di speranza alle Chiese di quel continente che, oltre a essere minoranze numeriche, vivono anche in situazioni di periferia esistenziale, ai margini delle grandi tradizioni religiose del continente. Nella sede della Conferenza episcopale filippina, a Manila, la delegazione del Pontificio Comitato ha incontrato, infine, la Commissione teologica del Congresso chiamata a studiare il tema approvato dal Papa e a elaborare un testo-base che ne favorisca l’approfondimento. In vista della stesura definitiva di tale documento fondamentale, l’arcivescovo presidente del Pontificio Comitato ha presentato alcune riflessioni di cui pubblichiamo la parte finale.
L'Osservatore Romano