mercoledì 30 ottobre 2013

Può un Papa da solo può cambiare la Chiesa?



Due risposte: Jean Marie Guénois e Lucetta Scaraffia

(La vera riforma  - Jean Marie Guénois) La personalità di Papa Francesco è complessa. È prematuro e pretenzioso pensare che sia possibile coglierne tutta la ricchezza e le sfumature per cercare di formulare un giudizio, seppur prudente, sul suo pontificato. Questa precauzione di metodo va applicata anche alla questione delle riforme nella Chiesa.
La sola vera riforma dipende dall’aspetto sul quale pone l’accento un determinato Papa, che mette i propri talenti e il proprio carisma al servizio della Chiesa. Allora la coscienza dei cattolici si concentra su quel determinato aspetto.
Nel caso di Papa Francesco, è stato lo spogliarsi di se stesso, lo stare vicino a tutti. L’identità e la precisione dogmatica lo sono state per Benedetto XVI che, come un ingegnoso sistema informatico, ha rimesso in ordine un software cattolico che aveva bisogno di una versione corretta per evitare una serie di bug. La vastità e l’audacia evangelica a livello mondiale lo sono state per Giovanni Paolo II. In poche parole, si tratta di accenti diversi, che spingono questo lento — e unico — movimento della Chiesa cattolica verso ciò che essa deve essere. Sebbene non sappia sempre dove va, sa che deve correggere e migliorare. A dire il vero, la Chiesa spesso avanza più per correzione di difetti che per compimento di un grande disegno.
In tal senso molto significativa è stata la recente “messa a punto” del cardinale Rodríguez Maradiaga, che ha precisato che la “riforma” avrà bisogno di tempo e che le tappe verranno rispettate. Altrettanto significativa è stata a tale proposito la fisionomia del prossimo Sinodo sulla famiglia e del suo sotto-capitolo sui divorziati risposati, che sarà un grande Sinodo classico nel suo metodo, a meno che, da qui al prossimo anno, tutto venga rivisto. Interessante è stata pure l’insistenza di Papa Francesco ad Assisi, all’inizio di ottobre, sul celibato sacerdotale. E via dicendo.
In questa lista si potrebbe dimenticare la poca insistenza del nuovo Papa sulle questioni morali? Ma si potrebbe dimenticare anche che Benedetto XVI ha a sua volta eluso questo tema, parlandone solo quando era necessario, in circostanze molto rare, precise e circostanziate?
Non bisogna neppure sottovalutare la forza di resistenza passiva — educata ma potente — di quanti nella Chiesa cattolica non condividono spontaneamente gli accenti e gli orientamenti pastorali di Papa Francesco. Saranno leali, in quanto la lealtà è una regola implicita nella Chiesa, ma non è da escludere che quello che si può ben definire un certo scetticismo, a contatto con il carattere temprato di Papa Francesco, potrebbe provocare dei blocchi nel corpo ecclesiale stesso. Il binomio carisma-autorità di Francesco può sia attirare sia allontanare.
In definitiva, questo Papa, di cui così pochi prevedevano l’elezione prima del suo ingresso nella cappella Sistina, è stato eletto dalla Provvidenza, non c’è dubbio, ma anche — fatto non sufficientemente notato — da un “colpo di cuore” dei cardinali, quando Bergoglio ha preso la parola dinanzi a loro. Il suo discorso-shock, di tre minuti, con parole semplici, toccanti e vere, ha sedotto i suoi pari, come oggi incanta il mondo intero. In quel momento ha colpito — e di certo lo Spirito Santo era con lui — al punto di ricevere la fiducia e di apparire come l’uomo della provvidenza.
Ma per quale programma? È proprio qui che bisogna cercare le chiavi della questione della riforma nella Chiesa e della possibilità di questo Papa di realizzarla. La richiesta dei cardinali era in realtà molto semplice: rimettere ordine nel governo centrale della Chiesa cattolica, la curia romana; ripartire alla conquista dei territori perduti della Chiesa cattolica, quei deserti d’indifferenza sovrappopolati ma totalmente gelati per la proposta cristiana; riformare — il che è possibile — in ambiti sensibili e importanti per molte persone di buona volontà.
Tale “richiesta” passata al futuro Papa è grande ma allo stesso tempo piccola. Non è in ogni caso “rivoluzionaria”. Anche qui è assurdo pensare che il senato della Chiesa avrebbe eletto un Papa rivoluzionario. Ha eletto un uomo coraggioso, che non ha nulla da perdere in termini di carriera ecclesiastica e dunque profondamente libero, un uomo del sud, non europeo, per aiutare la Chiesa a compiere un nuovo passo e posizionarsi al meglio per entrare nel corpo del XXI secolo.
Per convincersi di ciò, i cristiani cosiddetti di sinistra o progressisti, dovrebbero meditare sulle radici o fonti spirituali classiche e marcate a cui questo Papa si abbevera ogni mattina per trarre la forza per la giornata. Egli ha imposto san Giuseppe nel canone della messa, venera la Vergine Maria, a lei ha consacrato il mondo, e punta il dito senza complessi contro il «diavolo e le sue opere» per indicare meglio la rotta, drastica, e la scelta da fare, quella di Cristo sulle cui “piaghe” ha meditato in modo profondamente ispirato, crudo e quasi indecente per la sua verità, ad Assisi.
Lo strumento di analisi della “riforma” nella Chiesa, e del “potere” o meno di questo Papa, se vuole essere pertinente, non deve quindi accontentarsi della mera griglia politica. È lì che la sola sociologia religiosa “arranca”, non controcorrente, ma accanto al suo oggetto, poiché non coglie le risorse spirituali potenti che nondimeno sono il motore dell’evoluzione del corpo ecclesiale.
Dov’è dunque questa riforma, una volta esplicitata la parte del mito e dell’illusione del clima attuale?
In Benedetto XVI prima di tutto. È stato lui il grande riformatore. Sua è stata la grande riforma dell’11 febbraio! È inutile ritornare sui dettagli, sulla sua motivazione, sulla sua portata. È e resterà un atto storico per la Chiesa del XXI secolo, come lo sono stati i concili dell’età contemporanea.
Secondo elemento: la massima di Francesco, «la prima delle riforme è quella di se stessi», è il cuore, la pila atomica di tutto il suo programma.
Terza osservazione: la vera riforma di questo pontificato avverrà senza dubbio più all’esterno della Chiesa cattolica che all’interno, soprattutto per il fatto di saper toccare i cuori e le menti e di vedere ritornare le intelligenze e le anime allontanatesi, indifferenti alla bellezza del cristianesimo, eccezionale patrimonio dell’umanità.
Come Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Francesco apporterà la sua pietra all’edificio del successore di Pietro, sapendo che lascerà sicuramente alcune belle pietre intarsiate, che modificheranno forse l’equilibrio passato, ma che soprattutto renderanno testimonianza di un atteggiamento, di un messaggio fondamentale, che saranno i suoi veri vettori d’influenza, sull’esempio del carisma unico di ognuno dei suoi predecessori. Dimostrando così forse che la vera riforma, profonda, duratura, provvidenziale, che un Papa può compiere, si realizza a volte a sua insaputa. Ed è bene che sia così.
Oltre la complementarietà - (Lucetta Scaraffia) 
Può un Papa da solo cambiare la Chiesa? Naturalmente la prima risposta è che il Papa non è solo, che sta coinvolgendo cardinali e sinodo dei vescovi, che sta rivolgendosi a tutti per essere aiutato nel cambiamento. Però, senza dubbio, è lui il motore attivo del cambiamento, è lui che ne stabilisce i tempi e le modalità, ed è anche lui che decide fin dove la “rivoluzione” si può spingere.
Penso che possa farcela, anche se ovviamente un cambiamento ha bisogno di un certo lasso di tempo per realizzarsi sostanzialmente per due motivi. Il primo è la struttura di governo della Chiesa, tanto criticata e considerata antiquata, ma anche straordinariamente agile proprio perché non appesantita dai troppi passaggi che caratterizzano le democrazie. La Chiesa è governata da una monarchia elettiva: il nuovo Papa ha abbastanza potere e margine di manovra per agire, e la struttura è costruita in nome di un’obbedienza al comandante supremo.
Quindi possiamo vedere che — ancora una volta nella storia della Chiesa — il vecchio, cioè la struttura di potere tradizionale, può giocare a favore del rinnovamento. Lo abbiamo visto più volte nella storia della Chiesa: tanto per fare due esempi ovvi, la riforma gregoriana intorno all’anno 1000, e l’applicazione del concilio di Trento. In entrambi i casi, le resistenze del clero furono forti, ma in un lasso temporale non troppo lungo affrontate e vinte. Oggi, che i mezzi di comunicazione e quindi anche di controllo e di verifica sono molto più capillari e veloci, il rinnovamento potrebbe affermarsi in tempi più rapidi.
La seconda ragione è che il Papa ha in mano uno strumento di rivoluzione potente, che sembra abbia intenzione di usare: il ruolo delle donne nella Chiesa.
Il solo fatto di riconoscere alle donne il posto che spetta loro nella struttura dirigente della Chiesa provoca di fatto una rivoluzione della attuale classe dirigente, e costringe a ripensare alle cariche direttive come un servizio — proprio come desidera il Papa — e non come un rango di potere. Le donne, infatti, non avendo accesso al sacerdozio, sono escluse dalla carriera ecclesiastica: questo dà a loro una straordinaria libertà di azione e di pensiero, come già avviene nella vita quotidiana della Chiesa. Il loro ingresso negli organi direttivi porterebbe quindi veramente dell’aria fresca, un punto di vista diverso, soprattutto maggiore coraggio nel dire e nel programmare.
Con questo non voglio dire che le donne sono migliori degli uomini, ma che la loro condizione nella Chiesa le porterebbe naturalmente a essere meno condizionate dalla speranza di salire a gradi più elevati, e quindi più libere di pensare in modo diverso, di rinnovare.
Se le donne venissero davvero valorizzate nelle strutture centrali della Chiesa, l’innovazione si diffonderebbe rapidamente in tutto il mondo cattolico, creando profondi cambiamenti nel modo di vivere e di intendere la missione religiosa e il ruolo dei laici.
Certo per arrivare a questo bisognerebbe — come ha previsto il Papa — rivedere la teologia elaborata sul problema delle donne. Non tanto quella relativa al sacerdozio femminile, problema chiuso e in un certo senso così risolto, ma più in generale sul rapporto fra le donne e la Chiesa. Fino a oggi, nella Chiesa si è fatto riferimento alla Mulieris dignitatem, lettera bellissima ma che attribuisce alla presenza femminile solo il ruolo complementare a quella maschile.
È evidente che questa complementarietà — che si fonda sostanzialmente sulla maternità — è importante e deve essere vissuta e valorizzata, e non considerata occasione di emarginazione delle donne, sia religiose che laiche. Ma, soprattutto, non deve essere assolutizzata: ci sono dei ruoli e delle competenze in cui le donne possono lavorare accanto agli uomini in modi identici, e non solo complementari.
La complementarietà — cioè la differenza delle donne — può agire in modo positivo anche se le donne svolgono ruoli finora solo considerati maschili, come quelli di decisione e di comando. In una Chiesa che Papa Francesco vuole più calda, più accogliente, le donne hanno molto da insegnare e da offrire: tutti noi abbiamo esperienza del maggior calore che si percepisce entrando in un’istituzione religiosa femminile invece che entrando in un edificio abitato da religiosi o da sacerdoti. Anche questo contribuisce a costruire un’immagine più viva della Chiesa, a richiamare i dispersi.
Le donne sono un tesoro prezioso, ma nascosto, a cui la Chiesa può attingere in questo momento di crisi e trasformazione per illuminare il cammino, per scaldare i cuori. Chiamarle a ricoprire i ruoli che meritano è solo giustizia, ma al tempo stesso provocherebbe un cambiamento positivo.
L'Osservatore Romano

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Forbes: The World's Most Powerful People 2013. Pope Francis No. 4   
Forbes
 
Who’s more powerful: the autocratic leader of a former superpower or the handcuffed commander in chief of the most dominant country in the world? This year the votes for the World’s Most Powerful went to Russian President Vladimir Putin. He climbs one spot ahead (...)