venerdì 14 febbraio 2014

450 anni in compagnia di Galileo Galilei




di Paolo Musso (fonte: ilsussidiario.net)
Quello dei 450 anni della nascita di Galileo sembrerebbe il tipico anniversario su cui è impossibile trovare qualcosa da dire che non sia scontato in partenza. In realtà, forse mai come oggi riflettere sul metodo e sulla natura della conoscenza scientifica è tutt’altro che scontato: perché se è vero che la nostra vita materiale è ormai compenetrata e plasmata in ogni suo aspetto dalla scienza, lo stesso non si può dire della nostra cultura, a cominciare dalla scarsa coscienza che essa dimostra di avere del primo aspetto.
Ciò è particolarmente evidente in Italia, dove da decenni esiste una diffusa diffidenza nei confronti della scienza; che si esprime a livello sociale in una crescente tendenza a dubitare del parere degli esperti – spesso in favore di teorie pseudo-scientifiche, oggi dilaganti soprattutto “grazie” a Internet – e a livello politico in una continua sottovalutazione dell’importanza della ricerca scientifica, che da qualche anno in qua si esprime soprattutto nell’assurda denigrazione delle nostre Università (che invece sono ancora tra le migliori al mondo, e addirittura le prime in assoluto per rapporto tra risorse disponibili e risultati ottenuti).
Ma il problema sta ormai assumendo una dimensione mondiale, soprattutto nella forma di una tendenza sempre più marcata a penalizzare, in nome dell’impiego “utile” dei soldi dei contribuenti, la ricerca umanistica rispetto a quella scientifica e, nell’ambito di quest’ultima, la ricerca di base rispetto a quella applicata, cosa che sta accadendo perfino negli Stati Uniti, dove da qualche mese è in atto una violenta polemica proprio per il tentativo dell’amministrazione Obama di imporre una riforma della scuola ispirata ai suddetti criteri.
Ora, ciò potrebbe anche sembrare ragionevole, soprattutto in tempi di crisi, se non fosse per un piccolo particolare: che da sempre la scienza non progredisce grazie all’utilitarismo, ma alla gratuità. Quale gesto più gratuito si potrebbe infatti immaginare di quello di Galileo che lav ora per mesi a migliorare uno strumento, il cannocchiale, già esistente e fin lì usato (appunto) esclusiv amente per scopi pratici e poi, una v olta creatane una versione molto più potente, invece di precipitarsi a venderlo al Doge di Venezia lo alza verso il cielo per vedere come sono fatte la Luna e le stelle?
Poi, certo, Galileo (che fu sempre un ottimo amministratore di se stesso) ha anche venduto il cannocchiale al Doge e agli altri potenti dell’epoca. Ma dopo: la molla iniziale è stato il desiderio di essere il «primo osserv atore di cosa così ammiranda, e tenuta a tutti i secoli occulta», come scrisse al Segretario di Stato fiorentino Belisario Vinta al termine delle sue osserv azioni. E così è stato anche dopo, sempre: è impressionante vedere come tutti i più grandi progressi tecnologici sono venuti da scoperte scientifiche che a prima vista appariv ano assolutamente inutili e che sono nate solo dal desiderio disinteressato di conoscenza.
Ma non è tutto. Benché Galileo sia passato alla storia (giustamente) soprattutto come padre della scienza moderna, egli fu un vero uomo del Rinascimento a tutto tondo, con una grande v astità di interessi e una profonda conoscenza della cultura del suo tempo; come dimostrano non solo le sue discussioni con i filosofi e i teologi, ma anche certi suoi acuti giudizi in campo letterario e musicale, la sua v asta rete di amicizie con molti artisti e il suo personale talento di pittore, che lo aiutò molto nella realizzazione delle mappe della Luna.
Di nuovo, ciò non rappresenta un caso isolato, ma una caratteristica di quasi tutti i grandi scienziati.E,di nuovo, ciò non è affatto casuale. Infatti, proprio perché le grandi scoperte sono sempre inattese e sorprendenti, esse non possono venire programmate a tavolino: di conseguenza, è molto più probabile che l’idea giusta venga in mente a chi, pur avendo certo una profonda conoscenza tecnica del proprio campo di ricerca (che oggi più che mai è indispensabile), ha però anche una mente elastica e aperta a molteplici sollecitazioni. Quindi non solo la cultura umanistica non v a artificiosamente contrapposta alla scienza, ma anzi esiste tra loro un feed-back virtuoso, giacché ciascuna delle due aiuta l’altra a non chiudersi in se stessa e ad allargare continuamente i propri orizzonti.
Ancora una volta, ciò era ben chiaro a Galileo, il quale ha sempre specificato chiaramente, come scrisse nel famosissimo passo delle Macchie solari, che il metodo sperimentale da lui fondato vale solo per studiare «alcune affezioni» delle «sustanze naturali» e che le altre forme della cultura, a cominciare dalla teologia e dall’arte, pur seguendo metodi diversi (giustamente, perché diversi sono i loro oggetti), sono anch’esse autentiche forme diconoscenza. Riscoprire questa fondamentale lezione galileiana è dunque particolarmente importante; anzi, oserei dire autenticamente rivoluzionario, proprio ai giorni nostri, in cui l’auto-dissoluzione del razionalismo moderno (che non ha nulla a che vedere con la scienza: dato che pretende che il metodo della conoscenza sia unico; e che anche storicamente è nato in tutt’altro ambito) ha prodotto un relativismo nichilista che ha ormai pervaso quasi completamente la nostra società.
In effetti, a ben pensarci, gli unici due ambiti in cui oggi viene ancora affermata l’importanza della ricerca disinteressata della verità, nonché la fiducia nella capacità della ragione umana di raggiungerla, sono da un lato la comunità scientifica e dall’altro la Chiesa cattolica. Ciò potrà forse apparire strano a chi è abituato ai luoghi comuni circa “l’inevitabile opposizione tra scienza e fede”, spesso basati proprio su una lettura fuorviante della vicenda di Galileo: ma è anche un dato di fatto, che dovrebbe far riflettere. Comunque, di certo ciò non sarebbe sembrato strano a Galileo, «sincero credente» (Giov anni Paolo II), che è sempre stato «convinto che Dio ci ha donato due libri: quello della Sacra Scrittura e quello della natura» (Benedetto XVI)

*
Guida politicamente scorretta a Galileo
di Luciano Benassi
Il 15 febbraio corrono 450 anni dalla nascita di Galileo Galilei (Pisa, 1564 – Arcetri (FI), 1642). Galileo è stato uno dei più importanti iniziatori del metodo scientifico, cioè di quel modo di fare scienza che, unendo teoria e verifica sperimentale, costituisce “la scienza” quale oggi è conosciuta e praticata in tutto il mondo. Tuttavia, il suo nome, è soprattutto legato alla vicenda che lo vide contrapposto alla Chiesa cattolica e il “caso Galileo” è diventato — come “il Medioevo”, “le Crociate”, “l’Inquisizione” – il simbolo della lotta fra una Chiesa “oscurantista” e “retrograda” e una scienza “luminosa” e “moderna”. Qui di seguito viene proposto un breve vademecum, una piccola guida da tenere sempre a portata di mente ogni volta che siamo chiamati a riflettere e a rispondere sulla vicenda che da troppi secoli avvelena i rapporti tra scienza e fede.
La terra al centro e gli astri attorno: falso, ma “funziona”. Tutto il “caso Galileo” ruota, si può ben dire, attorno alla polemica sui “Massimi Sistemi”, cioè sui due modelli antitetici con cui veniva rappresentato il movimento degli astri: il modello geocentrico, o tolemaico (da Claudio Tolomeo, circa 100 – 178 d.C.), e il modello eliocentrico o copernicano (da Nicola Copernico 1473 – 1543). Nel sistema tolemaico la Terra è immobile, è il “centro del mondo” e anche il centro dei movimenti di tutti gli astri, un’idea risalente alle prime concezioni cosmologiche dell’antica Grecia. Il sistema tolemaico “funziona”, perché rende conto delle apparenze (“è il sole che si muove”) e della quasi totalità dei fenomeni celesti allora osservabili. Inoltre, benché sia nato in ambiente pagano, non presenta difficoltà al pensiero cristiano, che vi trova la conferma dei racconti biblici in cui viene evocata la fissità della Terra. Di tutto questo si deve tenere conto quando si considera la riluttanza della Chiesa a cedere sul punto: l’abbandono del tolemaismo, senza prove evidenti, appariva come una messa in discussione di tutto l’edificio cristiano.
Il sole al centro e la terra attorno: vero, ma “non sembra”. Il punto di vista eliocentrico, sostenuto con passione da Galileo, è antico quanto quello tolemaico ed è sempre stato presente ai dotti e agli studiosi: qui è il Sole il “centro del mondo”, e tutti gli astri gli ruotano attorno, compresa la Terra. Dunque, ciò che caratterizza la dottrina eliocentrica non è tanto il fatto che gli astri si muovano – lo fanno anche nel sistema tolemaico –, ma che il Sole sia fisso e che anche la Terra sia dotata di un proprio movimento. Tuttavia, il sistema eliocentrico non ebbe fortuna. Uno dei motivi principali fu che esso urtava contro l’evidenza immediata dei fenomeni astronomici. Le difficoltà che esso presenta sono di due ordini: fisico e teologico-scritturale. Fra queste ultime, la più nota è quella che riguarda l’intimazione di Giosuè durante la battaglia contro gli Amorrei: «Sole, fermati in Gàbaon …» [Gs 10, 12-13]. Che senso avrebbe ordinare al Sole di fermarsi se già è fermo?
La Chiesa non si oppone a che il sistema eliocentrico sia insegnato, studiato e discusso: in assenza di prove evidenti, pretende solo che sia proposto come “ipotesi matematica”. Il dibattito sull’eliocentrismo è, dunque, libero e, di fatto, lo sarà nel corso di tutto il Medioevo. Quando Copernico, nella prima metà del 1500, rilancia l’eliocentrismo, le implicazioni della teoria sono note e dibattute da tempo, ma, intanto, è venuta meno l’unità spirituale del mondo cristiano, un fattore tutt’altro che trascurabile.
La Chiesa era disposta a cambiare idea sul movimento della terra. Non è vero che la Chiesa fosse irremovibile “di principio” sulla dottrina del moto terrestre, dottrina che, fra l’altro, non aveva neppure lo statuto di dogma. La sua storia, il suo magistero e la sua predicazione testimoniano, al contrario, la disponibilità a mutare giudizio persino nell’interpretazione delle Scritture Sacre, qualora l’evidenza dei fatti lo rendesse necessario. Questa posizione si trova già in S. Agostino (354 – 430) e, sempre la stessa, in San Roberto Bellarmino (1542 – 1621), amico e difensore di Galileo, al quale pazientemente, il cardinale ricordava che in assenza di un experimentum crucis – di una prova decisiva – non è possibile pretendere, come Galileo pretendeva, un rovesciamento nell’interpretazione dei testi sacri. Contrariamente alla vulgata, in questa storia è la Chiesa ad avere assunto un atteggiamento “scientifico”.
Galileo non disponeva delle “prove” del movimento della terra. Galileo aveva ragione? Dopo le osservazioni astronomiche del 1609-1610, compiute con il cannocchiale – il nuovo strumento ottico che non inventò, ma che perfezionò notevolmente – egli intuisce, correttamente, che le cose, in cielo, non vanno secondo l’astronomia tolemaica. Si fa sostenitore dell’ipotesi copernicana e si mette alla ricerca delle “prove” che dimostrino il moto terrestre: quello di rotazione (o diurno) e quello di rivoluzione (o annuale). Ne troverà tre, ma nessuna risulta conclusiva: lo capiscono gli studiosi del tempo e, forse, lo capisce anche Galileo che, tuttavia, meno correttamente, e trasportato dal suo temperamento irruente e volitivo, irride gli avversari tacciandoli di “ignoranza” e arroventando il clima. Come riprova della difficoltà di dimostrare i moti della Terra, si tenga sempre presente che: il moto di rivoluzione terrestre fu dimostrato solo nel 1837, mentre quello di rotazione fu provato nel 1852, cioè, rispettivamente, 195 e 210 anni dopo la morte di Galileo.
Galileo subì un processo equo e non fu torturato. Il processo che Galileo subì dal 12 aprile al 22 giugno 1633 fu una cosa diversa dal racconto che ne fa la vulgata galileiana, quello di Galileo “martire della scienza”. Si tratta, come ha scritto (il card.) Walter Brandmüller, di una «[…] favola, messa in circolazione già nella letteratura del secolo XVIII, che affonda le sue radici in tempi precedenti». I fatti dicono diversamente. Galileo non subì il carcere, neppure durante il processo. Nei giorni che trascorse a Roma, infatti, fu ospitato sia nell’abitazione di uno dei più alti ufficiali dell’Inquisizione – il “Fiscale” –, dove il suo servitore poteva assisterlo, che nella residenza dell’ambasciatore fiorentino, presso Trinità dei Monti. Anche la tortura che Galileo avrebbe subito è un’invenzione: si trattò di una territio verbalis, ossia di una minaccia orale che non poteva avere seguito perché questa crudele procedura non veniva applicata alle persone oltre i sessant’anni: insomma, la minaccia era una formalità processuale. La sentenza, infine, dispose che Galileo dovesse risiedere in domicilio forzato presso la propria abitazione, cioè nella sua villetta ‘il Gioiello’ in Arcetri, con l’obbligo della recita per tre anni, una volta alla settimana, dei sette Salmi penitenziali.
 
La rivoluzione scientifica del XVII secolo è debitrice della scienza medievale. Non è vero che la scienza moderna nasca all’improvviso, fra XVI e XVII secolo, dopo la “notte” del Medioevo. La scienza nasce, sì, in Europa e in quel periodo, ma non all’improvviso. Come ogni nascita, è stata preparata da una gestazione e, all’inizio, da un incontro. La gestazione fu il lento, ma costante, lavoro intellettuale – sempre incoraggiato e protetto dalla Chiesa – con cui, dall’XI secolo in poi, una nuova disciplina, la “teologia naturale”, tendeva a distinguersi dalla teologia simpliciter, per diventare “filosofia naturale” e, infine, scienza fisica, con un oggetto proprio: il mondo naturale con le sue leggi razionalmente comprensibili. Il luogo in cui avvenne questo passaggio fondamentale per la civiltà, le vere fucine del sapere scientifico, furono le università medievali, istituzioni – come sostiene lo storico della scienza Edward Grant – «[…] diverse da tutto quanto il mondo avesse mai conosciuto: nulla nell’Islam, in Cina, in India o nelle antiche civiltà sudamericane era paragonabile all’università medievale. È in questa così importante istituzione, e nelle sue inconsuete attività, che vanno ricercati i fondamenti della scienza moderna».
La visione cristiana del cosmo è il presupposto della scienza. Da ultimo, occorre chiedersi: esiste un rapporto fra nascita della scienza e religione? Chi “sbaglia” religione, “sbaglia” scienza? Il cristianesimo ha diffuso un racconto della creazione del mondo diverso da tutti quelli delle antiche religioni. Il primo capitolo del libro della Genesi insiste fortemente sul fatto che il mondo uscito dalle mani di Dio è “buono” ed è stato creato in modo ordinato e soggetto a regole immutabili. Inoltre, il creato è distinto da Dio stesso, a differenza di tante credenze pagane, per questo dette panteistiche, che divinizzavano la natura o parti di essa. L’idea che la natura sia essa stessa creata e governata da leggi stabili e comprensibili è la condizione necessaria perché la naturale curiosità dell’uomo possa evolvere nella scienza. Non è un caso, quindi, che la scienza abbia visto la luce proprio nell’Europa cristiana.