domenica 16 febbraio 2014

Belgio: eutanasia dei bambini, degna dei nazisti



di Lorenzo Bertocchi

I vescovi del Belgio sono preoccupati che l'approvazione della estensione della legge sull'eutanasia ai minori «apra le porte ad un futuro ampliamento per le persone con disabilità, persone con demenza, malati mentali o coloro che sono stanchi di vivere». La Camera belga, infatti, dopo il via libera che il Senato aveva già dato lo scorso dicembre, ha definitivamente approvato questa legge che permetterà ad un bambino, dietro certe condizioni, di farla finita.
Senza tanti giri di parole i vescovi affermano che con questa legge si superano tutti i limiti del buon senso, dicono di sostenere pienamente i diritti del bambino, ma «il diritto del bambini di chiedere la propria morte è un passo troppo lungo. Si tratta – concludono – della trasgressione del “non uccidere” che costituisce la base della nostra società umana».
I promotori della legge, invece, pensano che l'eutanasia è un “diritto” del paziente, esercitato sull'altare della propria (assoluta) libertà. È quest’ultima che, di fatto, sta divenendo l'unico dogma alla base della nostra società umana.
È paradossale, ma proprio l'idolatria della libertà può condurre verso risultati che si avvicinano molto a quelli raggiunti da regimi totalitari. In effetti la preoccupazione dei vescovi del Belgio è fondata: oggi, a certe condizioni, è possibile avere l'eutanasia per adulti e bambini, domani, con altre condizioni, potrebbe esserlo per “coloro che sono stanchi di vivere”. Cioè, detto in altri termini, resta sempre il dubbio di chi e come si stabilisce dove comincia e dove finisce la dignità di una vita umana.
Il 1 settembre 1939, su carta intestata della Cancelleria, Adolf Hitler scriveva: «Il Reichsleiter Bouhler e il dottor Brandt sono incaricati, sotto la propria responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da loro nominati, autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l'umano giudizio, previa valutazione critica del loro stato di malattia». Certamente Hitler aveva una concezione molto diversa di libertà rispetto ai compassati onorevoli e senatori belgi, eppure, si deve constatare che i risultati sono pericolosamente simili.
Subito dopo l'emanazione dell'ordine di Hitler Phillip Bouhler e Karl Brandt iniziarono ad organizzare la struttura che avrebbe dovuto condurre l'operazione. In primo luogo venne stabilita la sede dell'organizzazione, un villino, al civico numero 4 della Tiergartenstrasse, e proprio da questo indirizzo fu ricavato il nome in codice per l'operazione eutanasia: "Aktion T4".
Il Programma T4 nel suo svolgimento tra il 1940 ed il 1941 pose fine alla vita di 70.273 personeclassificate come "indegne di vivere". Tra le tante voci che si levarono contro questa operazione vi fu quella dell'arcivescovo di Münster, Clemens August von Galen.
Il 3 agosto 1941 l'arcivescovo pronunziò un sermone durissimo: la condanna dell'eutanasia non solo fu durissima in teoria, ma l'arcivescovo denunziò lo Stato come autore delle uccisioni.
Hitler, di fronte alla marea montante di proteste, decise di sospendere l'Aktion T4, ma l'eliminazione delle persone “indegne di vivere” non terminò: iniziava quella che i medici tedeschi chiamarono "eutanasia selvaggia" e un'altra "Aktion" ancora più segreta: la "Aktion 14F13". Quella che alla fine condusse fino alle camere a gas.
L'idolatria della libertà è molto più sottile e seducente come leva per l'eutanasia, rispetto alla più brutale purezza della razza, tuttavia il problema rimane. A questo proposito André Leonard, Arcivescovo di Bruxelles e primate del Belgio, ha detto: «Stabiliamo che gli adolescenti non siano in grado dal punto di vista legale di prendere importanti decisioni economiche e affettive, però li riteniamo in grado di decidere se devono morire». Uno strano cortocircuito che dovrebbe far riflettere.

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Eutanasia infantile in Belgio: uno scivolone in più

Ci sorprende che si legalizzi l'uccisione di un bambino malato che chiede la morte in paesi dove è legale uccidere un bambino mentre si trova ancora nel grembo di sua madre?

di Gonzalo Miranda L.C.

Ha fatto rabbrividire molte persone la recente approvazione in Belgio dell’eutanasia per i bambini. Attenzione, però, a non perderci tra i rami senza vedere più il tronco, anzi le radici. Fa certamente impressione pensare a un bambino di 10-12 anni, malato grave, che chiede di venire ucciso (perché di questo si tratta) e a un medico che pone fine alla sua vita. Deve, però, fare meno impressione se a chiedere ed ottenere la morte è un adulto o un anziano?
L’eutanasia infantile solleva il problema della capacità di discernimento e di vera libertà da parte di un minore. Ma non è questo il vero problema. La questione di fondo è se sia giusto che una società permetta per legge che un cittadino causi volontariamente la morte ad un altro, quando questo lo chiede e/o quando soffre gravemente.
Ho detto “e/o” con piena consapevolezza. I fautori dell’eutanasia vogliono che si dica sempre “e”: eutanasia legale solo quando il paziente è gravemente malato, sofferente… e quando lo chiede volontariamente.Ma curiosamente, loro stessi approvano spesso l’eutanasia praticata ai neonati malati gravi, come si è visto nel dibattito sul cosiddetto “Protocollo di Groningen” (che nel 2005 stabiliva le modalità di questa pratica nell’ospedale universitario di quella città olandese). Alla faccia della richiesta volontaria del paziente! E sono loro stessi ad approvare ugualmente l’eutanasia quando il paziente la chiede — magari insistentemente —, anche se non si trova in fin di vita, né soffre terribili dolori. Alla faccia della situazione di sofferenza irresistibile!
È interessante il “disagio argomentativo” che si nota tra i difensori dell’eutanasia. Proclamano che ognuno ha il diritto di decidere autonomamente la propria morte, che siamo padroni della nostra vita… Rispondo deducendo che se è così bisognerebbe riconoscere il diritto all’eutanasia anche alle persone sane che la vogliono far finita, per qualunque motivo. Loro reagiscono, offesi: “Lei sta banalizzando il problema! Parliamo solo di casi di malattia grave e terribili sofferenze”. Dunque, concludo io, non è l’autodeterminazione che legittima l’eutanasia.
Proclamano poi che tutti abbiamo il diritto a non soffrire e che per compassione è giusto porre fine a una vita di dolore. Rispondi tu deducendo che se è così si potrebbe praticare l’eutanasia con tanti malati gravi e sofferenti, incapaci di acconsentire a quella pratica. Loro reagiscono, offesi: “Ma no, solo se il paziente lo vuole liberamente”. Dunque, non è la compassione che legittima l’eutanasia.
È un continuo viavai dall’autodeterminazione alla compassione, dalla compassione all’autodeterminazione… Come se mettendo insieme due argomenti non validi venisse fuori uno valido. Come se 0 + 0 facesse 1. Si comprende allora il passo appena fatto dal legislatore belga con l’introduzione dell’eutanasia infantile. Non è altro che uno scivolone in più in quel “pendio scivoloso” che molti autori denunciano nella pratica e nella logica dell’eutanasia. Si strappano le vesti i fautori dell’eutanasia quando si parla di quel pendio (quel famoso slippery slope). Ma non si tratta necessariamente di affermare che una volta legalizzata l’eutanasia si arriverà ai crimini dei nazisti, che la misero in pratica. 
Si costata solamente che, in buona logica, una volta legalizzata l’eutanasia sulla base del principio che ognuno è padrone della propria vita, si potrà legalizzare anche in assenza di malattia grave e di grande dolore; e una volta legalizzata perché tutti hanno diritto a non soffrire, si potrà legalizzare anche in assenza di richiesta volontaria da parte del paziente. Anzi, si constata che, com’era prevedibile in buona logica, di fatto tutto ciò sta avvenendo. 
La legge che depenalizzò l’eutanasia in Olanda nel 1993 stabiliva come condizione l’esistenza di un dolore fisico insopportabile. Un giudice sentenziò, però, che non era punibile lo psichiatra che fece morire una donna sana ma depressa: la sofferenza psichica può essere più grave di quella fisica. Logico. E, logicamente, la legge che legalizzò pienamente l’eutanasia in quel paese, nel 2001, include la motivazione della sofferenza psichica.
La legge del ’93 ammetteva l’eutanasia solo dietro domanda esplicita del paziente. Un altro giudice sentenziò che non erano punibili i genitori del piccolo fatto morire perché soffriva: in casi così gravi, la volontà dei genitori può supplire quella del paziente. Logico? Logicamente, il “Protocollo di Groningen” regola in modo molto pulito questa pratica.
La legge olandese del 2001 ammesse come candidati all’eutanasia i bambini dai 12 ai 16 anni con il permesso dei genitori; dai 16 ai 18 solo con l’obbligo di consultarli. La legge belga del 2002, non includeva i bambini. Ora, logicamente, la permette senza limiti di età. E via scivolando… In fondo è tutto logico. È inutile che adesso parliamo di “legge shock” perché il Belgio è sceso ancora un po’. 
Non perdiamoci tra i rami. Andiamo alla radice: se la vita della persona umana non è più considerata un mistero insondabile; se non viene più protetta come un bene indisponibile; se si perde il senso della sua sacralità o semplicemente della sua dignità intrinseca; se vale più o meno in funzione delle sue condizioni…Ci sorprende che si legalizzi l’uccisione di un bambino malato che chiede la morte (chissà con quale capacità di libero arbitrio) in paesi nei quali è legale uccidere un bambino, anche non malato, che non può ancora chiedere niente, mentre si trova ancora nel grembo di sua madre?

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L’Olanda di Hitler

di Francesco Agnoli
Continua l’ascesa del suicidio assistito in Olanda. Scrive Giulio Meotti sul Foglio di giovedì:
“La legge sull’eutanasia in Olanda sta deragliando”. Non lo ha detto un cardinale dell’Aia o Utrecht, ma niente meno che il dottor Boudewijn Chabot, lo psichiatra che nel 1994 per primo fornì in Olanda un farmaco letale per il suicidio assistito a una sua paziente con problemi mentali. Riconosciuto colpevole, Chabot non è stato condannato dai giudici, che hanno invece ritenuto la sua azione “amorevole”, e sul suo caso è stata poi costruita la legge sull’eutanasia approvata nel 2001. Adesso, sul quotidiano olandese Nrc Handelsblad, il padre della legge sull’eutanasia Chabot denuncia l’anarchia eutanasica nei Paesi Bassi, dove tra l’altro la federazione dei medici ha autorizzato i camici bianchi a togliere la vita a bimbi nati con gravi malformazioni, una norma, che entrerà in vigore dal 2014 e che, stando al giornale Volkskrant, riguarda trecento bambini l’anno.
Il pioniere dell’eutanasia olandese dice di non sentirsi più a suo agio con questa legge, che ha troppi “difetti”, e di essere rimasto “sorpreso dai recenti sviluppi”.
Gli sviluppi recenti sono quelli esposti dal ministro della Sanità, Edith Schippers, che due giorni fa è andata in Parlamento a rendere conto della situazione della “dolce morte”. Il dato più drammatico riguarda i malati di mente, i disabili psichiatrici, i folli e i dementi: 42 olandesi che soffrivano di patologie psichiatriche non terminali sono stati messi a morte nel 2013. Erano stati 14 nel 2012. Un aumento del trecentoventi per cento. Il giornale degli specialisti di malattie mentali, Tijdschrift voor Psychiatrie, parla della morte come “emancipazione” del paziente psichiatrico.
Il boom di disabili psichiatrici messi a morte si deve in gran parte al programma “Levenseinde”, fine vita, quindici unità eutanasiche mobili che uccidono i pazienti a domicilio. E’ il primo esperimento al mondo di eutanasia porta a porta e ha già una lista di attesa di duecento persone…”.
Riguardo all’eutanasia in Olanda, alcuni anni fa facevo queste osservazioni:
Riguardo a quest’ultimo (suicidio assistito), l’Olanda è stato il primo paese a legalizzarlo, determinando, immediatamente, quel fenomeno che va sotto il nome di “china scivolosa” o “pendio inclinato”, già presente all’epoca dell’eutanasia nazista, iniziata con i casi estremi, “pietosi”, e via via allargatasi a malattie non gravi.
Infatti solo qualche giorno dopo la legalizzazione dell’eutanasia, il ministro della sanità Els Borst ha proposto di “consentire il suicidio di anziani che non hanno più voglia di vivere, pur non essendo malati terminali”. E’ giusto, ha affermato il ministro, che “persone molto anziane le quali ne abbiano abbastanza della vita” siano aiutate dallo stato con delle pillole liberanti (Repubblica, 14/4/2001).
A ruota sono nati un manuale per il suicidio, compilato con “l’aiuto di scienziati e psichiatri”, “il primo del genere mai pubblicato”, volto a incentivare una pratica già piuttosto diffusa: se in Italia i suicidi sono circa 3000 all’anno, in Olanda sono 4500 circa, con una popolazione quattro volte inferiore! “Molti suicidi continua l’agenzia dell’Aduc del 24/3/2008, sono compiuti con l’aiuto di familiari e amici, e la pratica più comune è quella di rifiutare il cibo e l’acqua, oppure con una overdose di medicinali”.
A questo numero già alto di suicidi olandesi, si aggiungano ora i casi di eutanasia: dal 2002 al 2004, secondo Micromega, si parla di 7.637 casi. Ma il numero è destinato a crescere.
Non si dimentichi infatti, accanto alla china scivolosa, il cosiddetto “effetto Werther”, cioè il fatto che i suicidi tendono a moltiplicarsi per emulazione, imitazione, come all’epoca in cui il famoso romanzo di Goethe, “I dolori del giovane Werther”, determinò un’epidemia di suicidi tale da indurre alcuni governi a vietare la diffusione del libro.
Ebbene, quando una cultura finisce per accettare e legalizzare il suicidio assistito, anche le barriere religiose, culturali e morali, di fronte a questo gesto estremo, cadono, ed è inevitabile che l’eutanasia legale di qualcuno, influenzi e determini altre eutanasie, a catena. Si faranno uccidere malati in preda allo sconforto (è questa l’autodeterminazione?), ma anche malati che in una cultura eutanasica finiscono per sentirsi un peso, in una società che finisce gradualmente per concepirli come tali. Quale sarà la libertà, l’autodeterminazione di costoro? Quale è, in generale, la libertà, l’autodeterminazione, di chi si suicida?
Un esempio riportato da un personaggio non sospettabile come Umberto Veronesi, ci dice dove possa portare l’idea di una società che invece di farsi carico del dolore dei suoi membri, si fa carico di eliminarli. Scrive Veronesi: “Mi ha raccontato un amico, un medico in un paese in cui la legge consente il suicidio assistito: ‘Ho accompagnato un mio paziente, che voleva essere aiutato a morire. L’inviato dell’organizzazione ha preparato la pozione letale, il paziente ne ha bevuta la metà e poi ha avuto un ripensamento. L’incaricato gli ha detto: ‘Guardi che così rischia di avere delle sofferenze indicibili. Beva tutto perché io sono venuto qui perché lei finisca di bere!’I l paziente ha obbedito ed è morto” (Umberto Veronesi, Il diritto di morire, Mondadori).
Quale la libertà del suicidio? Quanto più probabile, in una società eutanasizzata, più dell’accanimento terapeutico, l’abbandono terapeutico e l’eutanasia “imposta”, come nel caso citato?
Ma non è tutto: se torniamo all’Olanda vediamo che il fenomeno della china scivolosa ha dimostrato la sua realtà con l’introduzione dell’eutanasia sui bambini, evidente dimostrazione, anche qui, di come l’autodeterminazione costituisca un alibi per introdurre una cultura di morte. Nessuno infatti potrà sostenere che l’infanticidio praticato in Olanda su decisione di mendici e genitori è un caso di autodeterminazione! Ebbene in Olanda, secondo il protocollo di Groningen, bambini con la spina bifida vengono tranquillamente uccisi.
Repubblica del 2/9/2004 esordisce così, in un articolo intitolato “Così aiutiamo i bimbi a morire”: “Sorridono, sorridono tutti, nella clinica della dolce morte bambina. Anche l’asino dipinto alla parete con un buffo cappellaccio in testa. Sorride anche lui, il DottorDolce morte, bello come un attore americano, alto e biondo…”. Cosa fa l’eroe alto e biondo di Repubblica? Uccide, ma lui preferisce farisaicamente il verbo “terminare”, la vita di bambini nati con spina bifida! Li uccide, perché per lui, per la cultura eutanasica, è la vera pietas.