domenica 16 febbraio 2014

La grande bellezza. Nei quadri di El Greco

File:El Expolio del Greco Catedral de Toledo.jpg


Nel quarto centenario della morte. Nei quadri di El Greco. La grande bellezza

Pubblichiamo in una nostra traduzione un articolo del cardinale prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, arcivescovo emerito di Toledo, pubblicato su «La Razón» del 6 febbraio.
(Antonio Cañizares Llovera)
Sono già iniziate le celebrazioni per commemorare il quarto centenario della morte di El Greco. Né la persona, né di conseguenza l’opera di El Greco possono essere separate dalla sua dimensione religiosa. Tutto in lui riflette la grandezza di un uomo spirituale con uno speciale tocco divino, capace di percepire e di plasmare, nei tratti ampi o nella stesura dei colori della sua singolare pittura, la Suprema Bellezza, abisso infinito di armonia ineguagliabile e sovrana.
In tutta la sua opera, grande e unica, rispecchiò la parte più profonda della sua anima, immagine del Creatore che la plasmò con il delicato tocco dei suoi “pennelli divini”. In essa appare sempre lo spirito sublime che ha contemplato e penetrato il Mistero, ne ha colto lo spessore e lo ha espresso con tutta l’elevazione dell’arte che scaturisce dal profondo dell’essere illuminato da questa esperienza che trascende lo sguardo superficiale, incapace di scalare le alte vette dello spirito. El Greco si è immerso, con naturalezza e insieme verità, nella profondità del Vangelo, nel mistero dell’incarnazione di Dio fatto uomo per gli uomini e offertosi per loro sulla croce, o nella vittoria sulla morte, così nemica dell’uomo, che la sua opera esprime con tanta bellezza e drammaticità insieme.
Così, con una fede cristiana profondamente radicata, ben formata e capace di rendere conto della sua verità, El Greco, in tutta la sua opera pittorica, mostra realtà fondamentali della fede e insegna, parla agli ignoranti e ai semplici dei misteri più abissali, catechizza, eleva, porta alla contemplazione, alla meraviglia, alla venerazione, alla preghiera nella supplica e nella lode; rende conto della fede e della speranza e mostra la sinfonia e l’armonia della loro bellezza, il loro radicamento e la loro espressione nella parte più viva e più genuina dell’essere umano.
El Greco lo fece nel suo momento storico, ma la sua arte continua a parlare ancora oggi, con vivissima attualità, come in passato, perché a contare in essa non è la circostanza o il momento effimero che passa presto; esprime anzi realtà imperiture e lo fa a partire dal linguaggio della “punta dell’anima”, come direbbero i nostri mistici spagnoli. Parla con i pennelli e i colori da quel profondo centro dell’anima dove ogni uomo intende se stesso e si sente coinvolto, a qualunque generazione appartenga.
Come uomo dalla radicata cristianità, e figlio del suo tempo, El Greco riflette, indivisibilmente, l’uomo, per il quale mostra una viva e singolare passione. Chi non vede questa passione nella Sepoltura del conte di Orgaz, o nella Spoliazione di Cristo, o nell’Apostolato della sacrestia della cattedrale toledana, o nel San Giuseppe della stessa cattedrale? Le mani, gli occhi, i volti, il movimento dei corpi dei personaggi, tutto, tutta la sua opera, è espressione di come egli vede l’uomo e il suo dramma: l’uomo che soffre e che ama, che vive il dramma dell’esistenza, il suo anelito di felicità, l’uomo caro a Dio, da Lui amato ed elevato, l’uomo salvato e chiamato a partecipare della sua gloria.
Nella sua arte si riflette bene l’idea che «la gloria di Dio è l’uomo che vive» (sant’Ireneo di Lione). Tutta la sua opera manifesta l’uomo, mostra com’è entrato nella profondità dell’umano; ma non come lo vedrebbe il pagano o il mero umanista. C’è una notevole differenza: è quella che gli dà la visione di fede, che lo porta a guardare con uno sguardo proprio.
Dietro i volti o i corpi, le mani o gli occhi, i colori o le pieghe delle vesti o il movimento dei corpi, c’è la verità che professa la sua fede al di sopra dell’uomo. Tale fede, chiaramente cristiana e cristocentrica e, proprio per questo, profondamente antropologica, umana, è la chiave fondamentale per addentrarsi e immergersi nella ricchezza e nella grandezza di El Greco. Le sue opere, come altre nate dalla fede cristiana, sono opere che non sono state spogliate — né si possono spogliare — della loro aura; ancora non sono diventate, e non vogliamo né permettiamo che lo diventino, per le loro qualità estetiche formali, un puro e semplice oggetto del piacere, dell’erudizione degli esperti, della curiosità distratta dei visitatori in mostre e musei.
Laddove si trovano il sacro e il credente, la bellezza è il fulgore della grazia, e la bellezza ci rimanda a qualcosa di “estraneo”, di cui non possiamo disporre, e che tuttavia ci attrae rasserenandoci e riconciliandoci. Là, attraverso la bellezza, sgorga una forza che non schiaccia né soggioga, ma che sostiene. Là appare una libertà raccolta su uno sfondo da dove sgorga instancabilmente una libertà più grande che ci libera dal centro del nostro essere. Là, soprattutto, si fa strada la comunicazione del dono divino e dell’amore che in esso ci comunica; là si apre la speranza e là si delinea il futuro di un’umanità nuova e di un’umanità con un futuro.
L'Osservatore Romano