martedì 25 novembre 2014

Brigate “W. & J. Grimm”

DI AUTORI VARI

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il pescatore e sua moglie
 (NUCLEO COMBATTENTE DI REAZIONE FIABESCA ALLA GENDER THEORY)
ATTO I – IL PESCATORE E SUA MOGLIE
Le mie colleghe di lavoro lamentano spesso il fatto che io vada a raccontare tutto a mia moglie, che peraltro, dato che ne hanno solo sentito parlare, sospettano nemmeno esista, come la moglie del Tenente Colombo – paragone immeritato: infatti del tenente ho solo quell’aria che vagamente aleggia fra distratto e il ritardato. Comunque, è vero, nel matrimonio è indispensabile il dialogo, ma non è che bisogna andare a raccontare proprio tutto. Ne sa qualcosa il pescatore della fiaba dei Grimm, il quale, pescato un rombo parlante, che in realtà era un principe, ebbe la sciagurata idea di riferirlo alla moglie. Pescatore anomalo per la verità, quelli che conosco io avrebbero tutt’al più raccontato al bar di aver preso “un rombo così!!”.
Ora, si dà il caso che i due vivessero “in un lurido buco presso il mare”, per cui, una volta capito che il pesce è magico, appare ragionevole la richiesta della moglie al fine di avere un luogo decoroso dove vivere, “una piccola capanna”. Tuttavia, tanto è semplice la mente dell’uomo, quanto gravida di curiosità quella della donna. E allora ecco, in barba ad un attonito marito pescatore, una pruriginosa sequela di desideri presto esauditi dal pescato parlante. Dal bene materiale immediato, la menzionata piccola capanna, al bene di lusso, “un castello di pietra”, ma proprio un gran palazzo. Richieste che rientrano in una logica umana comprensibile, ma poi cominciano le storture e la donna lascia libero sfogo alla propria cupidigia: prima vuol essere re (badate non regina), poi imperatore (non imperatrice), infine Papa (sic!). Tutte le richieste vengono inoltrate “con il cuore grosso” dal marito, poco convinto della bontà della cosa, e subito esaudite dal rombo parlante. Ma, da ultimo, il delirio incontrollato sfocia con una prepotenza che va dal conturbante al tracotante. “La cupidigia non la lasciava dormire”. L’intera fiaba vuol mettere in guardia dalla cupidigia, è vero, ma, a mio parere, essa può avere anche una lettura inaspettata, perché il racconto contiene, in nuce, problematiche attualissime. Perché semplicemente: la signora vuol “diventare come il buon Dio”.
Per quanto il pescatore fosse uomo di buon senso, naturalmente e fiduciosamente aperto al soprannaturale (Eh! – disse l’uomo –, non hai bisogno di far tanti discorsi; un rombo che parla l’avrei certo lasciato libero”) e per quanto, di conseguenza, avesse intuito l’inadeguatezza morale delle richieste (“Non è giusto, non è giusto!”) e l’hybris intrinseca al comportamento dell’amata, non seppe opporvisi, non seppe reagire (“eppure andò”). “Ebbe paura” e la paura di testimoniare la verità rende deboli e stolidi: “era tutto fiacco, tremante e accasciato e gli vacillavano le gambe e le ginocchia”.
Invece, come hanno detto più volte Mario Adinolfi e Costanza Miriano “vale la pena resistere”. Io dico “vale la pena reagire”. In modo non violento, per carità, o, se preferite, in modo fiabesco.
Esimi cultori e professori della teoria gender, sappiate che ricominceremo ad acquistare quintali di libri di fiabe, sì, quelli pieni zeppi di odiosi stereotipi di genere, in cui le femmine sono femmine e si comportano e si vestono da femmine; e i maschi sono maschi, si vestono come maschi e si comportano da maschi: non capita mai che il principe azzurro si vesta di rosa o che sia una bella ragazza, né capita mai che i cattivi siano anche buoni, come l’ultima cinematografia pasticciona lascia credere.
Non solo. Questa classe dirigente che vorrebbe usare il maglio della legge per plasmare l’opinione pubblica, in politica e nell’istruzione, per imporre una nuova e bizzarra forma di moralità immorale, è bene che sappia che queste fiabe così violente ed omofobe le leggeremo ai nostri figli. E forse anche ai figli degli altri. Le leggeremo loro affinché sappiano riconoscere il volto del drago sofista e sappiano resistergli, affinché sappiano reagire coraggiosamente all’irruenza tremenda dell’orco che vuole rubare loro la speranza, o almeno fuggano via, e non si bevano intrugli avvelenati di relativismo e falsità, preparati dalla strega cattiva – vecchia con il porro sulla punta del naso adunco o giovane ninfa a petto nudo che sia. Lo faremo per amore dei nostri figli, per amore della verità, lo faremo da dissidenti se necessario, leggendo con voci sommesse nei nostri nascondigli. Lo faremo anche solo perché non vogliamo tornare a vivere in un buco. Vogliamo restare cattolici, ma prima di tutto vogliamo restare umani, tutto compreso nel prezzo: pregi, difetti, dolori e Redenzione.
L’essere umano che, invece, vuole prepotentemente decidere del proprio essere in toto, fin nel più profondo, intimo significato, contro la natura delle cose, contro il proprio stesso corpo; l’uomo che vuol essere Dio e progettare la vita nel grembo di una povera donna a soddisfazione del proprio mero capriccio, si snatura, violenta il corpo umano, avendo ingannato prima la propria mente con sofismi accomodanti. E se qualcuno non è d’accordo ed ha l’ardire di presentargli ciò che è sotto gli occhi di tutti, evidente come il sole, e cioè il piano d’amore di Dio che tutto ha sapientemente creato ed ordinato, egli si infuria, mostrando una natura nuova, violenta, frutto di una filosofia cattiva quanto artificiosa ed intollerante alla verità: la “papessa” non può sopportare che il sole sorga senza il suo permesso, la natura stessa deve sottostare alla sua volontà sovrana. La sovrana della fiaba voleva poter far sorgere e tramontare il sole e, di fronte alle rimostranze del marito, “andò su tutte le furie, i capelli le turbinavano selvaggiamente attorno al capo, si strappò la camiciola, gli diede una pedata e gridò – Non posso più resistere, non posso più resistere!”. Ma, come avviene spesso nelle storie, le richieste contro la logica e contro natura hanno una derivazione malefica, fanno ribollire la natura stessa, tanto che “il mare era tutto plumbeo e nero e gonfio, e l’acqua ribolliva dal profondo e puzzava di marcio”. La creazione di una società contro Dio, il mondo senza Dio, non fa altro che rendere il mondo un inferno.
Ed è così che i discordi coniugi si ritrovarono a vivere in un lurido buco. E ci stanno ancora.
Matteo Donadoni