sabato 29 novembre 2014

I Domenica di Avvento 2014 - Anno B


Oggi, prima domenica di Avvento, la Chiesa inizia un nuovo Anno Liturgico, un nuovo tempo di grazia per vivere il Mistero della vita di Cristo in noi: ci poniamo in attesa della venuta del nostro Signore Gesù.
“Vegliate, perché non sapete quando è il momento”.
Su questo brano evangelico  la riflessione di don Ezechiele Pasotti:
Il Vangelo di oggi si apre con due imperativi – tre secondo diversi codici antichi: “Fate attenzione, vegliate e pregate, perché non sapete quando è il momento”. Noi non conosciamo i tempi di Dio. Nella nostra cultura il tempo è denaro, è per divertirsi. Spesso ci illudiamo di dominarlo, programmandoci la vita nei minimi dettagli. Ma il tempo ci rimane mistero. Non ci appartiene. Scrive un autore: “L’età moderna abitua a considerare l’uomo come assoluto, autonomo e superbo padrone del tempo, di cui dispone a piacimento. E’ un autoinganno. Ogni uomo infatti nasce senza saperlo, vive non sa per quanto tempo, muore senza conoscere quella data. L’irrisorio segmento di tempo che vive non è ‘suo’. Gli è donato con amore affinché ne disponga per il bene suo e dei fratelli” (T. Federici). L’avvento è per noi tempo di grazia. Ci annuncia che il Signore viene, che la sua venuta è prossima ed è importante prepararci ad essa, vegliando e pregando. Non si tratta tanto di due atteggiamenti “devoti”, e “noiosi”: è lo Sposo che viene per  strappare la nostra vita dal vuoto e dal non senso delle cose da fare, per lanciarla verso una dimensione sponsale di pienezza, di eternità. Vegliare è “stare” col Signore. Pregare è trovare un’intimità sponsale con Lui. L’attesa del Signore, allora, non solo non ci metterà paura, ma rinvigorirà le nostre ginocchia vacillanti, metterà le ali al cuore per correre incontro al Signore che viene. L’Eucaristia domenicale annuncia e anticipa la venuta del Signore in mezzo a noi. Essa dà al tempo il suo compimento nella comunione con Dio e con i fratelli.

I DOMENICA DI AVVENTOAnno B
MESSALE

Antifona d'Ingresso  Sal 24,1-3
A te, Signore, elèvo l'anima mia,
Dio mio, in te confido: che io non sia confuso.
Non trionfino su di me i miei nemici.
Chiunque spera in te non resti deluso.
 
Colletta

O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli. Per il nostro Signore...
  
Oppure:
O Dio, nostro Padre, nella tua fedeltà che mai vien meno ricordati di noi, opera delle tue mani, e donaci l'aiuto della tua grazia, perché attendiamo vigilanti con amore irreprensibile la gloriosa venuta del nostro redentore, Gesù Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
   
LITURGIA DELLA PAROLA
    
Prima Lettura  Is 63, 16b-17.19b; 64, 2-7
Se tu squarciassi i cieli e scendessi!
 

Dal libro del profeta Isaia
Tu, Signore, sei nostro padre,
da sempre ti chiami nostro redentore.
Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie
e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema?
Ritorna per amore dei tuoi servi,
per amore delle tribù, tua eredità.
Se tu squarciassi i cieli e scendessi!
Davanti a te sussulterebbero i monti.
Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo,
tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti.
Mai si udì parlare da tempi lontani,
orecchio non ha sentito,
occhio non ha visto
che un Dio, fuori di te,
abbia fatto tanto per chi confida in lui.
Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia
e si ricordano delle tue vie.
Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato
contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli.
Siamo divenuti tutti come una cosa impura,
e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia;
tutti siamo avvizziti come foglie,
le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento.
Nessuno invocava il tuo nome,
nessuno si risvegliava per stringersi a te;
perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto,
ci avevi messo in balìa della nostra iniquità.
Ma, Signore, tu sei nostro padre;
noi siamo argilla e tu colui che ci plasma,
tutti noi siamo opera delle tue mani.

    
Salmo Responsoriale  Dal Salmo 79
Signore, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvati.
    
Tu, pastore d’Israele, ascolta,
seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci.

Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.

Sia la tua mano sull’uomo della tua destra,
sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. 

     
Seconda Lettura  1 Cor 1, 3-9
Aspettiamo la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo.
 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.
Fratelli, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!
Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza.
La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!

  
Canto al Vangelo   Sal 84,8
Alleluia, alleluia.
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.

Alleluia.
   
   
Vangelo  
Mc 13, 33-37
Vegliate: non sapete quando il padrone di casa ritornerà.
 

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

*

Chiamati ad essere desti nell'ascolto, nella preghiera, nella comunione con i fratelli

Commento al Vangelo della I Domenica di Avvento 2014 - Anno B


“Signore, tu sei nostro Padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”: la ragione della vigilanza alla quale il Signore ci chiama in questa prima domenica di Avvento è racchiusa in queste parole.
Siamo una sua opera, “perché in lui siamo stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza”. Siamo ricchi, ecco perché è necessario “vegliare”. Chi ha una casa disadorna, senza tesori, non si preoccuperà di mettere allarmi, sbarre alle finestre e un cane ben addestrato in giardino. Chi invece ha beni ingenti a cui tiene molto si preoccuperà di difenderli in qualsiasi modo.
E noi, dice san Paolo, siamo stati arricchiti di tutti i doni! Non ci manca nulla, come recita il Salmo 23, perché il Signore è il nostro “Pastore”. “La sua destra ci ha piantati come figli che per Lui ha reso forti”.
Ci ha fondato sulla roccia della fede nella Chiesa, la “sua casa”, dove “la testimonianza di Cristo si è stabilita tra noi così saldamente che ci non manca più alcun carisma”.
Questa certezza intima dell’amore di Dio rivelato in Cristo è il dono più importante da custodire ad ogni costo, perché è proprio quello sottoposto agli attacchi più violenti.
Il demonio sa che se riesce a raffreddare la fede nei cristiani, scompariranno dal radar del mondo anche la speranza e la carità, trasformandolo così in un cimitero a cielo aperto.
Mai come in questa generazione la “casa” del Signore è assediata dal pensiero mondano, che mette in serio pericolo il deposito della fede, il tesoro più grande della Chiesa. Perché è la fede che vince il mondo!
Diceva l’allora Card. Ratzinger: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro… e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore”.
E’ di questo che parla Gesù chiamandoci così seriamente alla vigilanza. “Non sappiamo”, infatti, quando il Signore “ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino”. Tornerà e sarà come una notte di Pasqua, la notte delle notti, l'ultima, in cui tutti passeremo, per sempre al Padre.
Ciò significa che la vita intera, ogni giorno, è da vivere come una notte di Pasqua, un seno benedetto che gesta l'aurora della libertà. Ma lo viviamo così? Lui stesso se lo è chiesto, chiamandoci così a conversione: “quando il Figlio dell’uomo tornerà troverà la fede sulla terra?”.
Per far sì che Gesù trovi la fede quando verrà alla fine del mondo, come ogni giorno negli eventi della storia, come nella nostra vita, Gesù ha dato “il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare”, nella certezza che “le porte degli inferi non prevarranno mai”.
Per questo occorre “fare in modo che, giungendo all’improvviso”, non trovi i cristiani, tu ed io, “addormentati”, ovvero senza fede. Ma concretamente, quale è il modo per fare sì che il demonio non ci rubi la fede? C’è un solo modo, quello che la Chiesa ha sempre usato, sin dagli albori della sua storia: l’iniziazione cristiana.
In essa la Chiesa esercita il “potere” conferitole per accompagnare i cristiani sino alla fede adulta: “adulta non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità” (Benedetto XVI).
Per questo, la liturgia con la quale la Chiesa ci introduce nel nuovo Anno Liturgico è, prima di tutto, un invito a fare memoria al dell’opera di Dio nella nostra vita, perché i suoi prodigi, come invoca la Prima lettura, siano di nuovo realizzati; e perché si possa rinnovare lo zelo per camminare e crescere ancora, giorno dopo giorno, nella fede.
Se, approfittando delle difficoltà in famiglia, delle sofferenze e delle malattie, il demonio ci ha rubato il ricordo, arriva questo Avvento perguardare di nuovo alla nostra storia.
A “quando Dio compiva cose terribili che non attendevamo”. “Guardiamo con attenzione”, cominciando dai momenti nei quali ci siamo sentiti accolti così come siamo e perdonati sino in fondo. Comincia qui la “vigilanza”.
Apriamo gli occhi e rivediamo i fatti concreti nei quali abbiamo sperimentato la vita nuova muoverci verso l’altro per perdonarlo a nostra volta; sino a quando abbiamo visto il “potere” di Cristo dato ai suoi “servi” predicarci la Parola che ricostruito la nostra famiglia, e amministrarci i sacramenti nei quali, morto l’uomo vecchio nelle acque della sua misericordia, ci ha “svegliato” dai peccati ricreandoci come uomini nuovi.
Non a caso i verbi usati da Gesù non indicano l’azione di svegliarsi ma un modo di essere, lo stare svegli dopo essersi destati. In pratica ci sta chiamando ad essere l’opera che Lui ha creato: ci ha destato dalla morte, ora si tratta di vivere secondo la Grazia ricevuta; come un “portiere”, “sveglio nella notte” che avvolge il mondo.
Come i portieri che Dio scelse per custodire la Tenda della Riunione: è santa la Chiesa, è santa la nostra vita: siamo stati scelti per la missione più grande, annunciare ad ogni uomo il Vangelo che abbiamo sperimentato.
Per questo Gesù “dice a tutti” di “vegliare”, perché tutti, non solo i pastori, nella Chiesa sono inviati come “servi del Vangelo” e della fede; non possiamo perdere il sapore scendendo dalla Croce sulla quale ci ha uniti a sé, il posto migliore per vegliare, la garitta dove vigilare per discernere il kairos, il “momento favorevole” per l’annuncio capace di salvare chi ci è accanto.
Il Signore ci chiama dunque ad essere desti nell’ascolto, nella preghiera, nella comunione con i fratelli. A “guardare con attenzione” senza distrarci dal mondo ormai così virtuale, mettendo a fuoco ogni insidia, nella buona battaglia della fede, custodendo la porta del cuore e delle labbra.  
A fissare tutto a trecentosessanta gradi, come una sentinella sempre sulla porta della famiglia e delle relazioni, della comunità e di ogni nostro luogo, attenti perché il demonio non vi entri con i giudizi, le invidie, le concupiscenze. E pronti ad aprirla al Signore che viene proprio quando non ce lo aspettiamo, forse nascosto nella parolina velenosa del coniuge o nella disobbedienza dei figli, per accoglierlo e amarlo nel fratello.
E’ vero, siamo deboli e contraddittori, “e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia”. Ma è ancor più vero, ne abbiamo la prova nella nostra esperienza, che Dio ci “renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siamo stati chiamati alla comunione con il Figlio suo, Signore nostro!”.

*

«Vegliate!»
di padre Raniero Cantalamessa ofmcapp.
I Domenica di Avvento
Isaia 63,16b-17.19b; 64,1c-7; 1 Corinzi 1,3-9; Marco 13,33-37
La parola che risuona al di sopra di tutte nel brano evangelico è: vigilate, vegliate! Veglie (vigiliae in latino) erano dette dai romani le tre parti in cui era divisa la notte; di qui la parola passò a indicare i turni di veglia militari e delle sentinelle. I cristiani indicarono con vigilia, o veglia, il tempo passato in preghiera e digiuno la notte che precedeva le grandi solennità, soprattutto la Pasqua. In questo senso vigilare si¬gnifica astenersi dal sonno, rimanere desti.
Ma questo non è l’unico significato. Vegliare, vigilare sono parole molto usate anche nel linguaggio corrente. Ci sono istituti di vigilanza, urbana, notturna. Si vigila sui prezzi. Contro il terrorismo si rafforza la vigilanza. Ci sono poi i nostri cari vigili urbani… In tutti questi casi vigilare, o vegliare, non significa principalmente astenersi dal sonno, ma sor-vegliare, stare all’erta, essere preparati per non lasciarsi cogliere di sorpresa dagli eventi.
Questo senso metaforico è quello che vegliare ha anche sulle labbra di Gesù. (I cristiani devono essere tutti dei «vigili», anche se senza divisa). Lo si vede dalla serie di verbi con cui è associato: «Vigilate e state attenti», «Vigilate per non cadere in tentazione», «Vigilate e pregate», «Vigilate e siate sobri», «Vigilate e state pronti»…
Qui è il punto. Pronti a che cosa? L’evento dal quale non bisogna farsi cogliere impreparati è il ritorno di Cristo. Cioè, che cosa? La fine del mondo? Sì, ma non del mondo in generale che avverrà forse tra milioni o miliardi di anni, quando noi non ci saremo più e perciò ci interessa fino a un certo punto. La fine del mio mondo, della mia vita che, anno più anno meno, sta davanti a tutti noi come l’unica cosa assolutamente certa della vita. Stare pronti, spiega Gesù con la parabola delle dieci vergini, significa tenere la lucerna della fede accesa, vivere riconciliati con Dio e con il prossimo, senza pendenze gravi con la propria coscienza.
Il grido di Gesù «vegliate!» per molti oggi si dovrebbe tradurre paradossalmente con «dormite!». La civiltà moderna ha turbato il ritmo naturale di vita scandito dall’avvicendarsi di notte e giorno. Ha fatto della notte il tempo del chiasso, dell’agitazione, degli eccessi, dello stordimento. Quante disgrazie sulla strada dovute alla violenza fatta al sonno!
La notte può, certo, essere il tempo migliore per una festa, una cena, un divertimento sano, per stare insieme. Ma questo dovrebbe essere l’eccezione, non la regola, e soprattutto non dovrebbe occupare tutta la notte, a spese del lavoro, dello studio e della salute. Il Vangelo raccomanda la pratica delle veglie, non dei «veglioni»…
Il poeta Péguy mette in bocca a Dio questo elogio del sonno e della notte: «Non mi piace chi non dorme, dice Dio. Il sonno è l’amico dell’uomo. È forse la mia creatura più bella. E io stesso mi sono riposato il settimo giorno… La notte è il luogo in cui si ricrea l’essere. In cui si riposa, in cui si ritira, in cui si raccoglie».
Per alcuni, è vero, non dormire di notte non è una scelta, ma una dura necessità o una croce. Parlo di quelli il cui tipo di lavoro comporta turni di notte, o che soffrono di insonnia cronica. A questi ultimi si consiglia talvolta di mettersi a contare mentalmente le pecore; io suggerirei piuttosto di contare i grani di una corona del rosario! Aiuta a interrompere il flusso di pensieri ansiosi che impediscono di prendere sonno. Nei salmi ascoltiamo uno che dice a Dio: «Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne, esulto di gioia all’ombra delle tue ali» (Salmo 62,7-8). Auguro di farne l’esperienza a chi soffre di insonnia.

*

L'Avvento: tempo di attesa nella gioia

Lectio Divina per la I Domenica di Avvento 2014


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche della Prima Domenica di Avvento 2014.
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
***
LECTIO DIVINA
L’Avvento: tempo di attesa nella gioia
Rito Romano
1ª Domenica di Avvento - Anno B - 30 novembre 2014
Is 63,16-17.19; 64,2-7; Sal 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37
Rito Ambrosiano
3ª Domenica di Avvento – Le profezie adempiute
Is 51,1-6; Sal 45; 2Cor 2,14-16a; Gv 5,33-39
1) L’attesa permette l’incontro con l’Amato.
L’Avvento, questo tempo liturgico forte che nel rito romano comincia oggi, ci invita a sostare in silenzio per accogliere e capire la presenza di Cristo. E’ un invito a comprendere che i singoli eventi della giornata sono cenni che Dio ci rivolge, segni dell’attenzione che ha per ognuno di noi.  L’Avvento ci invita e ci stimola a contemplare il Signore presente. La certezza della sua presenza ci aiuta a vedere il mondo con occhi diversi; a considerare tutta la nostra esistenza come “visita” di Dio, che ci viene vicino, che ci resta accanto in ogni situazione. Perché questo ci accada “la liturgia dell’Avvento ci ripete costantemente che dobbiamo destarci dal sonno dell’abitudine e della mediocrità, dobbiamo abbandonare la tristezza e lo scoraggiamento; occorre che rinfranchiamo i nostri cuori perché ‘il Signore è vicino’” (Benedetto XVI).  
Se vivremo l’Avvento con il Papa emerito suggerisce, il Natale non sarà solamente una festa per ricordare un fatto del passato, ma la presente e viva attuazione di un evento. In effetti, ciò che è accaduto una volta nella storia si fa evento nella vita del credente oggi. Come più di duemila anni fa, il Signore è venuto per tutti, Lui viene sempre e di nuovo per ciascuno di noi. Per questo, ognuno di noi deve sperimentare l’attesa e l’arrivo, perché per ciascuno di noi nasca la salvezza.
Dunque, il primo atteggiamento che qualifica il tempo dell’Avvento è quello dell’attesa. Normalmente si attende con gioia una persona conosciuta e questo periodo di quattro settimane ci è dato per familiarizzarci con la persona di Cristo, il Salvatore reale. Lui viene quale amico che di più grande non possiamo trovare al mondo: Lui viene come amico vero perché non pensa tanto a se stesso quanto agli amici.
Dovremmo vivere l’attesa della venuta del bambino Gesù come una madre attende il figlio che porta in grembo: meditando il miracolo dell’imminente venuta di una persona desiderata ma sconosciuta, magari anche un po’ temuta anche se si tratta di una persona piccina quindi bisognosa di tenerezza, frutto di un amore da accogliere a cuore aperto e senza timore.
Se il cuore non è ottuso, può e deve essere teso a Cristo. Dovremmo avere una viva attenzione al Signore. Lui viene sempre, ma spesso l’incontro non avviene perché viviamo una vita spirituale superficiale, con una certa distrazione. Purtroppo raramente siamo nelle condizioni spirituali di percepire questa “venuta” di Dio.
L’importante è vivere l’avvento come attesa sicura della “venuta” di Dio, come la Madre per eccellenza ha vissuto l’attesa della venuta del Figlio, Gesù.
Io penso che Maria Vergine passò i mesi dell’attesa –in primo luogo- cercando, pensando e leggendo tutto ciò che poteva arricchire il suo sapere sull’Atteso delle genti, sul Figlio dell’Altissimo da Lei concepito, con umiltà e abbandono.
In secondo luogo, la Madre di Dio pregò intensamente, cioè chiese che lo Spirito di Dio La illuminasse nella ricerca del volto di suo Figlio e suo Signore. Allora Lui, il Dio vicino, instaurò tra Sé e la Madonna un legame di fedeltà, di fiducia, di accordo, in una parola sola: di fede obbediente.
Il terzo luogo, la Vergine Madre si esercitò ad amare il Figlio che portava nel grembo. Ma come si può amare Uno che non si conosce. Mise in pratica quello che anni più tardi San Giovanni Apostolo scrisse nella sua prima lettera: “Chi non ama il proprio fratello che non vede, non può amare Dio che non vede”, e andò a visitare la cugina Elisabetta, il cui figlio così ricevette la visita del Figlio di Dio. Maria amò non a parole, ma con dei fatti; non con sentimenti, ma con l’agire, facendosi pellegrina di carità, della pietà di Dio.
2) La gioia per la presenza del Dio vicino.
Se viviamo l’Avvento di Cristo, come Maria Vergine visse l’attesa della di lui nascita, educheremo il nostro cuore ad una attesa reale, quotidiana, nella tensione alla presenza di Chi si è fatto uomo per noi, per salvare la nostra vita. E saremo nella gioia, perché -come la Madonna- avremo la certezza che Dio è vicino: era in Lei ed è in noi, sempre: nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, come amico e sposo fedele. E questa gioia rimane anche nella prova, nella stessa sofferenza, e rimane non in superficie, ma nel profondo della persona che a Dio si affida e in Lui confida.
Gesù nascendo portò la gioia a Maria, a Giuseppe, ai pastori, ai Re Magi e, poi alle persone che lo accolsero. quindi anche a noi. Ciò nonostante, nasce spontanea questa domanda: “E’ possibile questa gioia anche oggi?”. La risposta ce la danno, con la loro vita, uomini e donne di ogni età e condizione sociale, felici di consacrare la loro esistenza agli altri per amore di Cristo, incarnato per noi. La beata Madre Teresa di Calcutta non è stata forse, nei nostri tempi, una testimone indimenticabile della vera gioia evangelica? Viveva quotidianamente a contatto con la miseria, il degrado umano, la morte. La sua anima ha conosciuto la prova della notte oscura della fede, eppure ha donato a tutti il sorriso di Dio. Una volta, Madre Teresa di Calcutta ha detto: “Noi aspettiamo con impazienza il paradiso, dove c’è Dio, ma è in nostro potere stare in paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento. Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui, dare come Lui, servire come Lui”.
La gioia entra nel cuore di chi si pone al servizio dei piccoli e dei poveri. In chi ama così, Dio prende dimora - come la prese nel grembo della Madonna - nella grotta, nella casa di Nazareth - e l’anima è nella gioia. Se invece si fa della felicità un idolo, si sbaglia strada ed è veramente difficile trovare la gioia di cui parla Gesù. E’ questa, purtroppo, la proposta delle culture che pongono la felicità individuale al posto di Dio, mentalità che trova un suo effetto emblematico nella ricerca del piacere ad ogni costo. Anche a Natale si può sbagliare strada, scambiare la vera festa con quella che non apre il cuore alla gioia di Cristo, e riducia tutto ad uno scambio di doni materiali.
3) L'Avvento è Gesù che viene.
Quanti secoli di attesa e quante anime consumate nel desiderio dell’attesa! Che Gesù venga! “La Chiesa sposa aspetta il suo sposo! Dobbiamo chiederci però, con molta sincerità: siamo davvero testimoni luminosi e credibili di questa attesa, di questa speranza? Le nostre comunità vivono ancora nel segno della presenza del Signore Gesù e nell’attesa calorosa della sua venuta, oppure appaiono stanche, intorpidite, sotto il peso della fatica e della rassegnazione? Corriamo anche noi il rischio di esaurire l’olio della fede, e l’olio della gioia? Stiamo attenti! Invochiamo la Vergine Maria, madre della speranza e regina del cielo, perché ci mantenga sempre in un atteggiamento di ascolto e di attesa, così da poter essere già ora permeati dell’amore di Cristo e aver parte un giorno alla gioia senza fine, nella piena comunione di Dio e non dimenticatevi, mai dimenticare: «E così per sempre saremo con il Signore!»” (1Ts 4,17)” (Papa Francesco, 14 ottobre 2014).
Sorge allora un’altra domanda: “Come discernere i segni del “Veniente”? “Ed accostatisi a Lui i Farisei e i Sadducei gli chiedevano di mostrar loro un segno dal cielo. Ma Egli, rispondendo, dice loro: - Quando si fa sera, voi dite: bel tempo, perché il cielo rosseggia! E la mattina dite: oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo. L’aspetto del cielo lo sapete dunque discernere e i segni dei tempi non arrivate a discernerli? » (Mt 16). “Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è vicino, è proprio alle porte”. (Mt 24, 33).
Il rimprovero vale anche per noi, perché la sensibilità cristiana incarnata e redentrice è in diminuzione. Si corre dietro a fatti emozionanti, miracolisti e non si riconosce l’eccezionalità della reale presenza di Cristo nell’Ostia consacrata. Molti di noi vogliono vedere folle inginocchiate e oranti, miracoli di ogni tipo: sono fatti che hanno il loro significato, ma non sono gli unici segni del Veniente. Bisogna avere un cuore proteso verso le voci più delicate e quasi impercettibili della nostra generazione, che, accanto ai violenti distacchi, conosce gli spasimi ineffabili di un'attesa che, se non ha ancor un nome, dà però tanta speranza a chi può vedere.
Le Vergini consacrate nel mondo, imitando più da vicino la Vergine Maria, sono chiamate ad incarnare lo spirito dell’Avvento, fatto di ascolto di Dio, di desiderio profondo di fare la sua volontà, di gioioso servizio al prossimo. Lasciamoci guidare dal loro esempioi, perché il Dio che viene non ci trovi chiusi o distratti, ma possa, in ognuno di noi, estendere un po’ il suo regno di amore, di giustizia e di pace.
Con il loro esempio proclamano a un mondo spesso disorientato, ma in realtà sempre più alla ricerca d'un senso, che Dio è il Signore dell'esistenza, che la sua “grazia val più della vita2 (Sal 62,4). Scegliendo l’obbedienza, la povertà e la castità per il Regno dei cieli, mostrano che ogni attaccamento ed amore alle cose e alle persone è incapace di saziare definitivamente il cuore; che l’esistenza terrena è un’attesa più o meno lunga dell’incontro "faccia a faccia" con lo Sposo divino, attesa da vivere con cuore sempre vigile per essere pronti a riconoscerlo e ad accoglierlo quando verrà. Per natura sua, dunque, la vita consacrata costituisce una risposta a Dio totale e definitiva, incondizionata e appassionata (cfr Vita consecrata, 17).
Infine non dimentichiamo di pregare per tutte le persone consacrate, perché in questa prima Domenica di Avvento 2014 si apre l’Anno della Vita consecrata che terminerà il 2 febbraio 2016. In quest’anno tutti i fedeli sono invitati a riscoprire l’importanza di questa forma di vita per la vita della Chiesa e per i circa 800.000 consacrati sarò un’opportunità per approfondire il senso del loro impegno di essere “Vangelo, Profezia e Speranza” per la Chiesa e per il Mondo intero.
*
LETTURA PATRISTICA
Beda il Venerabile (1)
In Evang. Marc., 4, 13, 33-37
La vigilanza cristiana
"State attenti! Vegliate e pregate, perché non sapete quando verrà il momento" (Mc 13,33-34).
«È come un uomo che, partito per un lungo viaggio, ha lasciato la sua casa e ha conferito ai suoi servi l’autorità di compiere le diverse mansioni, e ordini al guardiano di vigilare. Chiaramente rivela il perché delle parole: «Riguardo poi a quel giorno o a quell’ora nessuno sa nulla, né gli angeli che sono in cielo, né il Figlio, ma solo il Padre". Non giova agli apostoli saperlo affinché, stando nell’incertezza, credano con assidua attesa che stia sempre per venire quel giorno di cui ignorano il momento dell’arrivo. Inoltre non ha detto "noi non sappiamo" in quale ora verrà il Signore, ma "voi non sapete" (Mt 24,42). Coll’esempio del padrone di casa spiega con maggiore chiarezza perché taccia sul giorno della fine. Questo è quanto dice:
"Vigilate dunque; non sapete infatti quando viene il padrone di casa, se di sera, se a mezzanotte, se al canto del gallo, se di mattina; questo affinché, venendo all’improvviso, non vi trovi a dormire (Mc 13,35-36).
«L’uomo - che è partito per un viaggio e ha lasciato la sua casa, - non v’è dubbio che sia Cristo, il quale, ascendendo vittorioso al Padre dopo la risurrezione, ha abbandonato col suo corpo la Chiesa, che tuttavia mai è abbandonata dalla sua divina presenza poiché egli rimane in lei per tutti i giorni fino alla fine dei secoli. Il luogo proprio della carne è infatti la terra, ed essa viene guidata come in un paese straniero quando è condotta e alloggiata in cielo dal nostro Redentore» (Mt 28,20).
Egli ha dato ai suoi servi l’autorità per ogni mansione, in quanto ha donato ai suoi fedeli, con la grazia concessa dello Spirito Santo, la facoltà di compiere opere buone. Ha ordinato poi al guardiano di vegliare, in quanto ha stabilito che incombe alla categoria dei pastori e delle guide spirituali di prendersi cura con abile impegno della Chiesa loro affidata.
"Ciò che dico a voi, lo dico a tutti: Vigilate!" (Mc 13,37).
Non solo agli apostoli e ai loro successori, che sono le guide della Chiesa, ma anche a tutti noi ha ordinato di vigilare. Ha ordinato a tutti noi con insistenza di custodire le porte dei nostri cuori, per evitare che in essi irrompa l’antico nemico con le sue malvagie suggestioni. Ed affinché il Signore, venendo, non ci trovi addormentati, dobbiamo tutti stare assiduamente in guardia. Ciascuno infatti renderà a Dio ragione di se stesso.
«Ma veglia chi tiene aperti gli occhi dello spirito per guardare la vera luce; veglia chi conserva bene operando ciò in cui crede; veglia chi respinge da sé le tenebre del torpore e della negligenza. Per questo Paolo dice: Vegliate giusti e non peccate; e aggiunge È ormai il momento di destarci dal sonno» (1Co 15,34 Rm 13,11). 
*
NOTA
1) Il Venerabile Beda nacque verso il 673. Dall’età di otto anni, trascorse tutta la sua vita nel monastero di Jarrow nella Northumbria in Inghilterra, dedito alla meditazione e alla spiegazione delle Scritture; tra l’osservanza della disciplina monastica e l’esercizio quotidiano del canto in chiesa. A 30 anni fu ordinato prete e divenne celebre per la sua erudizione. E’ conosciuta soprattutto per le sue opere storiche che gli valsero il titolo di Padre della Storia d’Inghileterra. Mori nel 735.