sabato 22 novembre 2014

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (ciclo A) - Festa di Cristo Re dell'Universo

Questa domenica, in cui la Chiesa celebra la Solennità di Cristo Re dell’Universo, la liturgia ci presenta il Vangelo del Giudizio finale. Il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria: davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Ai salvati dirà:
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Su questo brano evangelico la presentazione di don Ezechiele Pasotti.
Già nell’Antico Testamento Dio viene acclamato Signore dell’universo. Questa regalità è trasmessa al Figlio suo, Gesù Cristo, che, a sua volta, la dona agli uomini, chiamati a “con-regnare con Cristo (2Tim 2,12), ad essere “co-intronizzati” con Cristo (Ef 2,6). Oggi la liturgia annuncia la venuta del Figlio, “nella sua gloria”, per il giudizio finale, per prendere con sé gli eletti. In questo giudizio ci sono 3 gruppi di persone, insieme al Signore: i giusti (benedetti), i malvagi (maledetti), e “i fratelli più piccoli” del Signore. Il giudizio si svolge in base a “quello che avete fatto…, o non fatto” ai fratelli più piccoli del Signore. Questo è ciò che rende giusti o ingiusti. Possiamo chiederci: “Chi sono questi fratelli più piccoli”? Quando c’era la cristianità – e un po’ tutti erano cristiani – questi “piccoli” erano identificati con i più poveri e i più bisognosi. Ma per quanto ci possiamo essere abituati, questa è una lettura piuttosto riduttiva. A Pietro che chiede al Signore: “E di noi cosa sarà”?, Gesù risponde: “In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria…, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele” (Mt 19,28). Il giudizio delle nazioni avverrà, allora, in base al comportamento di queste verso i fratelli più piccoli del Signore, i cristiani in primo luogo. Una parola oggi particolarmente attuale, davanti alla rinnovata persecuzione di migliaia di nostri fratelli, ma che pone anche noi una domanda esistenziale molto seria: noi da che parte stiamo?

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XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO
RE DELL'UNIVERSO
Anno A - Solennità


MESSALE
Antifona d'Ingresso  Ap 5,12; 1,6
L'Agnello immolato è degno di ricevere potenza
e ricchezza e sapienza e forza e onore:
a lui gloria e potenza nei secoli, in eterno.
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno, che hai voluto rinnovare tutte le cose in Cristo tuo Figlio, Re dell'universo, f
a' che ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato, ti serva e ti lodi senza fine. Per il nostro Signore...
 
Oppure:
O Padre, che hai posto il tuo Figlio come unico re e pastore di tutti gli uomini, per costruire nelle tormentate vicende della storia il tuo regno d'amore, alimenta in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l'ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l'opera della sua redenzione, perché tu sia tutto in tutti. Egli è Dio, e vive e regna con te ...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Ez 34,11-12.15-17
Voi siete mio gregge: io giudicherò tra pecora e pecora.

Dal libro del profeta Ezechièle
Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.
Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.
A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri. 

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 22
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla..
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare.
Ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.


Seconda Lettura
  1 Cor 15,20-26a.28
Consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti. 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.
Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.
È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.
E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti. 


Canto al Vangelo  
 Mc 11,9.10
Alleluia, alleluia.

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!

Alleluia.

   
   
Vangelo  Mt 25,31-46
Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

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Gesù regna sulla Croce

Commento al Vangelo della XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (ciclo A) - Festa di Cristo Re dell'Universo


“Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti”: il Re che celebriamo in quest’ultima domenica dell’anno liturgico è dunque una primizia. Ciò significa che non regna da solo. Che quello che si riferisce a Lui è comune a quanti lo seguono. Proprio come dice nella Parabola del Vangelo: “ogni volta che lo avrete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me”. Il Re si identifica con i sudditi, il più grande con i più piccoli.
E questo significa che l’intera Scrittura non è altro che una porta dischiusa; che tutta l’opera di Dio compiuta in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo è un inizio che abbraccia il compimento; che l’esistenza e la vita della Chiesa, con i suoi tempi e le sue liturgie, la predicazione e i sacramenti, sono la mano tesa di Dio all’uomo perché varchi la soglia di questo inizio.
Su di essa torna e tornerà il Signore nella sua Gloria per accogliere ogni uomo, oggi nell'annuncio della Chiesa, e definitivamente l'ultimo giorno. Il Re che ha vinto la morte, cancellando per sempre la parola fine dall’esistenza dell’uomo. Forse non riusciamo a cogliere la portata di questo annuncio di San Paolo. Ci sembra scontato, è la fede della Chiesa, è quello che crediamo.
Ma nella vita di ogni giorno che senso ha? Siamo davvero i frutti maturi della risurrezione di Cristo? E’ facile scoprirlo, basta porsi dinanzi a tutto ciò che, nella vita, ci presenta una parete su cui si infrangono i progetti e le speranze.
Il carattere del marito, ad esempio, che, come una barriera insormontabile, si erge ogni mattina e proprio non ce la facciamo a superare la sua superficiale ironia. O la stanchezza della moglie, che è troppo tempo ormai che si rifiuta di concedersi e unirsi, e ci sembra che ci sbatta in faccia una porta blindata ogni sera.
O proprio la sessualità, così importante per il nostro matrimonio, ma che il viverla in pienezza secondo l’insegnamento della Chiesa rivelato nell’Enciclica Humanae Vitae ci si presenta come una montagna impossibile da scalare. O le crisi dei figli, la precarietà economica, le nevrosi e i complessi mai risolti, i punti oscuri della nostra storia che spargono pus velenoso e non riusciamo a guarirne, le malattie e, infine, la morte. Tutte pietre deposte sul sepolcro nel quale siamo discesi.
Perché se non siamo risorti con Cristo e non abbiamo dentro la sua vita, siamo morti, qualunque cosa facciamo. Ma se è così e la Parola ci ha illuminato, allora vuol dire che San Paolo parla proprio di noi! Siamo morti, e lo siamo oggi, perché i fatti e le persone regnano incontrastati su di noi, con il potere di toglierci la pace e la gioia.
Eppure questa morte ci parla di conversione e battesimo. In essa possiamo lasciare l'uomo vecchio perché Cristo vi è entrato a prendere possesso del suo Regno. Nessuno ci era riuscito prima, non i sapienti di questo mondo, non la cultura, neanche i nostri genitori e le persone che ci vogliono bene. Solo Cristo è “andato in cerca” di noi, “pecore smarrite”, scendendo nel sepolcro dove la menzogna del demonio ci aveva gettato.
E di lì ci vuol far risorgere, per “ricondurci all’ovile” attraverso un cammino serio di conversione nella Chiesa, dove “trovare pascolo e riposare”. Così Cristo, la Primizia, dà inizio al suo Regno, radunando i suoi “fratelli più piccoli”, “fasciandoli e curandoli” in ogni loro sofferenza.
Nella nostra situazione di oggi, di nuovo, il Regno di Dio vede il suo principio. Gesù regna sulla Croce, ed estende il suo territorio nei sepolcri dell’umanità, così che si possa ricominciare sempre. Sulla terra, infatti, il Regno comincia di nuovo ogni giorno, perché “bisogna che Gesù regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”. Il perdono che ci rialza sempre, ecco la resurrezione che ci attende!
Come intorno ad Israele si affacciano anche alla nostra vita nuovi nemici ogni mattina. Non ci abbattiamo e non temiamo! Camminiamo insieme alla comunità cristiana stringendoci a i fratelli e ai pastori, ascoltiamo e obbediamo alla Parola di Dio, uniamoci a Cristo con i sacramenti: sperimenteremo così che nulla più avrà potere di annientarci. Regneremo con Lui, frutti maturi perché fratelli della Primizia che ha vinto il peccato.
Certo, non è facile accettare la precarietà; eppure è proprio essa che definisce il Regno dei Cieli sulla terra. La debolezza che ci fa mendicanti della vittoria di Cristo è parte del disegno di Dio su tutte le Nazioni. La “piccolezza”, infatti, ci rende a nostra volta una primizia di speranza offerta al mondo.
Dio ci ha chiamati nella Chiesa per essere una stirpe santa in mezzo alle nazioni. Piccoli, indifesi, disprezzati, gli ultimi di questa terra. Soffrendo la stessa precarietà, le medesime ingiustizie di tutti gli uomini. Ma come fratelli del Re. Nel nostro DNA è scolpita la sua immagine, quella del Servo di Yahwè, il Giusto che si offre per avere in premio le moltitudini. 
“Fratelli più piccoli” di Gesù, il Primogenito della nuova creazione “preparata” per ogni generazione, i cristiani hanno la patria nei Cieli e sono ovunque “forestieri”; senza borsa e denaro seguono il Signore sino agli estremi confini della terra “affamati e assetati”. Amano senza difendersi, “nudi” come Adamo ed Eva prima della caduta, perché la misericordia di Dio li ha liberati dal peccato rivestendoli di gloria.
Crocifissi con Cristo, prendono su di sé i peccati degli altri, sino ad “ammalarsi” e soffrirne le stesse conseguenze. Annunciano il Vangelo con zelo, nei momenti opportuni e in quelli non opportuni, quando per esso sono perseguitati e gettati “in prigione”, in Siria come in Germania.
Non a caso il testo evangelico di oggi descrive quale sarà il giudizio dei popoli al di fuori di Israele; l'espressione greca “panta ta ethné” (tutte le Nazioni), infatti, in Matteo designa sempre i Gentili, i popoli pagani, in contrapposizione a “laos” che indica Israele.
Per essi è “preparato dal Padre un Regno fin dalla fondazione del mondo”, ovvero la benedizione di Dio, l'intimità significata dalla chiamata a stare “alla destra di Gesù”. Per i pagani è pronta la stessa eredità promessa ai cristiani.
Per ogni uomo, infatti, "la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo» (Dei Verbum, n. 82). La grazia che li conduce all'incontro con Cristo attraverso i suoi “fratelli più piccoli.
La salvezza e il Regno dipenderanno così da un incontro, il misterioso "quando" nel quale i pagani - forse il tuo collega, forse tuo figlio che ha abbandonato la Chiesa, forse tuo padre - vedranno Cristo nei cristiani: "I Saggi ci hanno insegnato una grande regola: la misericordia non inizia con il dono ma con la vista" (Siftè Chajm III, 154).
Un piccolo atto d'amore e di misericordia fatto ai piccoli di Gesù proprio quando saranno più deboli, sarà la chiave che schiuderà a chi non fa parte della Chiesa le porte del Cielo. Grande lè a nostra responsabilità! Essa inizia con l’accogliere Cristo perché regni nella nostra vita, accettando umilmente ciò che ci rende i suoi “fratelli più piccoli”.
La missione della Chiesa, infatti, comincia dalla sua debolezza. Come l’educazione, che parte dall’inadeguatezza, e il ministero di un pastore, che sboccia dalla precarietà. Come quella notte a Betlemme, quando il Re bambino fu deposto nella mangiatoia, per essere “visto” e adorato. Il più piccolo era già cibo dei più poveri, e così in quella grotta il Regno iniziava a vedere la luce nella carne. 
Ogni giorno è preparata anche per noi una mangiatoia, un "quando" decisivo per la salvezza nostra e di chi Dio ci pone accanto. Ogni istante della nostra vita è prezioso: non disprezziamo nessuna sofferenza e debolezza che ci crocifigge con Cristo, perché a chi è misteriosamente legato alla nostra vita non sia negato il “quando” nel quale “vedere” Cristo.
Sì, i cristiani regnano quando sono “affamati, assetati, nudi, ammalati, in prigione”. Non può essere diversamente, perché così è stato per Cristo. Così ci ha salvati, così ci invia a salvare il mondo. “Piccoli” dinanzi a tutti, autentici e umili, indifesi e senza arroganza, per suscitare nei cuori un balbettio di misericordia.
Per qualcuno, il più piccolo gesto di accoglienza nei nostri confronti sarà la chiave che schiuderà le porte del Cielo. Forse non andrà mai in Chiesa, perché il Regno di Cristo lo avrà accolto nella nostra carne crocifissa. Per qualcun altro, invece, sarà il primo passo per convertirsi e non abortire, perdonare e non divorziare. A noi è chiesto di essere lì, uniti a Cristo, nulla di più.

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Re di tutto e davvero nuovo

Lectio Divina per la XXXIV Domenica T.O. (Anno A) - Solennità di Cristo Re dell'Universo


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche della XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A), Solennità di Cristo Re.
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA 
Rito Romano
XXXIV Domenica Tempo Ordinario - Anno A - Cristo Re dell’Universo, 23 novembre 2014
Ez 34,11-12.15-17; Sal 22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46
Rito Ambrosiano
2ª Domenica di Avvento
Is 51,7-12a; Sal 47; Rm 15,15-21; Mt 3,1-12
1) Re Pastore.
In questa domenica del rito romano, celebriamo Cristo Re dell’Universo1, sovrano di un Regno di misericordia, di giustizia e di pace, fondato sul dono che Lui fa di se stesso a noi sulla Croce.
Gesù non è sceso dal trono della Croce, perché è dalla Croce che lui regge, governa il Regno nuovo e felice. Dallo “scandaloso” trono il Signore Gesù ci guarda diritto e profondo negli occhi come guardò al buon ladrone ed anche a noi dice: “Oggi, ora sarai con me nel Paradiso, nel Regno eterno, nell'amore infinito”.Il regno della Terra diventa il Regno del cielo grazie alla Croce, dalla quale ci offre il suo amore di Re Pastore, come ci indica la prima lettura presa dal libro del profeta Ezechiele.
Infatti, Ezechiele (34,11-17), deluso dai pastori d'Israele (re, sacerdoti e maestri) che pensano a se stessi anziché al gregge, sogna un pastore diverso: un pastore che non “disperde” ma “raduna”; conduce al pascolo le sue pecore e le fa riposare; va in cerca della pecora smarrita e fascia quella ferita. Sono tutti tratti che ritroviamo nei Vangeli, applicati a Gesù.
Il Cristo è il vero pastore, che cura l’interesse del suo gregge e che va in cerca di tutte le pecorelle smarrite, perché nessuna di loro può rimanere isolata dal suo amore e dal suo sguardo di bontà divina. Cristo esercita la sua regalità come buon pastore, perché la sua regalità, che oggi celebriamo, è regalità di amore e servizio, di donazione, di misericordia.
2) Re della vita.
Nella Seconda Lettura, il brano della prima lettera ai Corinzi ci aiuta a cogliere in modo sintetico il significato della solennità di Cristo Re. L’Apostolo Paolo ci parla della vera regalità di Cristo, che Egli esercita nel mistero di morte e risurrezione. Una regalità che verrà portata a pienezza, quando, dopo aver egli superata la barriera della morte corporale, farà superare tale barriera a tutta l’umanità nel giudizio universale. La morte infatti sarà per noi l’ultimo “nemico” da abbattere, mentre ora la pensiamo come un transito verso l’eternità, di cui non bisogna aver assolutamente paura, in quanto Cristo ha vinto la morte. Lui ha vinto tutto.
Quindi ispirati da Gesù, nostro amato Re e Signore dell’universo, preghiamo Dio Padre, che ha inaugurato il suo Regno di amore con la risurrezione di Cristo, perché ci renda operai appassionati e sinceri, affinché la regalità del Suo Figlio sia riconosciuta in ogni angolo della terra. Al termine dell’anno liturgico, che è tempo di santità e di perfezione nella carità, uniamoci alla preghiera del Sacerdote celebrante e con lui diciamo: “Dio onnipotente ed eterno, che hai voluto rinnovare tutte le cose in Cristo tuo Figlio, Re dell’universo, fa’ che ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato, ti serva e ti lodi senza fine”.
3) Re Giudice.
Ma è la terza lettura liturgica: il Vangelo di Matteo (25,31-46), che ci mostra maggiormente il lato più sorprendente della regalità di Gesù. La parabola del giudizio (Mt 25,31-36) è una pagina che si impone all'attenzione non solo per la forza del suo messaggio, ma anche per la suggestione della sua scenografia. Tre sono le sue parti: l'introduzione scenica che presenta la venuta gloriosa del Figlio dell'uomo, la convocazione dei popoli e la loro separazione (25,31-33); il dialogo del Re che prima parla con quelli di destra e poi con quelli di sinistra (25,34-45); infine la conclusione, che descrive l'esecuzione delle sentenze (25,46).
In questa parabola vediamo un Re Giudice che giudica con amore e con comprensione, ma anche con regole ben precise che egli stesso ha dettato per la salvezza eterna dei suoi figli. Regola fondamentale è la carità vissuta, attestata e concretizzata in comportamenti ed azioni semplici, come quelli di dare da mangiare, bere, assistere, essere vicino a chi è nel dolore, nella sofferenza, nell’emarginazione. La cosa che commuove è che Dio non ci giudicherà scorrendo l’elenco delle nostre debolezze, ma quello dei nostri gesti di bontà. Non prenderà in esame le nostre ombre, ma terrà conto dei semi di luce e di bene che abbiamo seminato. Se come Davide nel salmo del pianto e del pentimento diciamo: “Distogli il tuo sguardo dal mio peccato”, Dio esaudisce il nostro grido di dolore, ci conferma nel suo amore, e nell’ultimo giorno distoglierà il suo sguardo dal male e per sempre lo fisserà sul bene. Sul bene semplice e concreto, perché Dio ha legato la salvezza al dono di un po’ di pane, di un bicchiere d’acqua, di un vestito, di passi per visitare un povero o un ammalato. Certo, Dio non si è legato alle cose, ma al cuore che si serve delle cose. San Giovanni della Croce scrisse: “Alla fine della vita, saremo giudicati sull’amore”.
Questa è la grandezza della fede cristiana evangelica: il supremo confronto tra uomo e Dio non è il peccato ma il bene. La misura di Dio e, di conseguenza, la misura dell’uomo e quella della storia è il bene, è l’amore di Dio. Il nostro futuro, cielo e paradiso, è generato dal bene amorevole che ciascuno di noi ha donato agli innumerevoli “Lazzaro” della terra, che meritano molto di più delle briciole che domandano. Il giudizio di Dio è l’atto che dice la verità ultima dell’uomo, e per trovarla non guarderà noi, ma intorno a noi: le nostre relazioni, la porzione di poveri e di lacrime e di amori che ci è stata affidata e che ognuno deve custodire con la propria vita. Se c’è qualcosa di eterno in noi, se qualcosa di noi rimane quando non rimane più nulla, questa cosa è l’Amore.
4) Maria, Regina del Cielo e della Terra.
Tra tutte le creature dell’universo, Dio ha scelto la Vergine Maria per associarla in modo singolarissimo alla regalità del suo Figlio fatto uomo. La Madonna distribuisce regalmente e maternamente quanto ha ricevuto dal Figlio Re. Lei protegge con la sua potenza noi suoi figli acquisiti ai piedi del Trono della Croce e ci dona gioia con i suoi doni, poiché il Re ha disposto che ogni grazia passi per le sue mani di generosa, materna regina.
Ci insegni Maria a testimoniare con coraggio il Regno di Dio e ad accogliere Cristo come Re della nostra esistenza e dell’intero universo.
A questa testimonianza sono chiamate in modo speciale le vergini consacrate nel mondo. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, ai nn. 922 e 923 : “Fin dai tempi apostolici, ci furono vergini cristiane che, chiamate dal Signore a dedicarsi esclusivamente a lui in una maggiore libertà di cuore, di corpo e di spirito, hanno preso la decisione, approvata dalla Chiesa, di vivere nello stato rispettivamente di verginità o di castità perpetua « per il regno dei cieli » (Mt 19,12). «Emettendo il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, [le vergini] dal Vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico approvato e, unite in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio, si dedicano al servizio della Chiesa ». Mediante questo rito solenne (Consecratio virginum), « la vergine è costituita persona consacrata » quale « segno trascendente dell'amore della Chiesa verso Cristo, immagine escatologica della Sposa celeste e della vita futura»”. La Vergine consacrata testimonia in modo particolarissimo la regalità di Cristo, che merita tutto, e con tutta la sua persona è annuncio di carità e segno del carattere regale della vita cristiana. Infatti coloro che custodiscono la verginità si rendono simili alla Vergine Maria. “Come da Lei è nato il Figlio, il Verbo di Dio che regge il mondo, così quelle che custodiscono la verginità generano parole efficaci che istruiscono gli altri nella virtù” (Card. Spidlik) e li reggono nella vita quotidiana.
In breve: la liturgia di oggi ci invita a contemplare la regalità di Cristo e poi ci chiede di vivere regalmente, cioè di far nostro uno stile di vita alto, nobile, solenne perché così è la carità. Come non pensare a quella piccola e fragile donna che è stata la Beata Madre Teresa di Calcutta? A lei si sono inchinati tutti i potenti della terra. La sua vita è stata quella di una regina al seguito di Cristo Re. E tutti hanno reso omaggio a questa regina senza scettri e senza corone ma resa bella da tutti i poveri che ha amato. E noi sappiamo che in ciascuno di quei poveri ha amato Gesù. Facciamo verginalmente altrettanto.
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LETTURA PATRISTICA 
Origene, sacerdote
Venga il tuo regno
Dall'opuscolo «La preghiera» Cap. 25; PG 11, 495-499.
“Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l'attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (cfr. Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell'anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in lui abita. Così l'anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell'anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell'affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).
Ma questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l'Apostolo del Cristo. Quando cioè egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 24. 28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza del
Verbo. Diciamo al nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6, 9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato, come non vi è rapporto tra la giustizia e l'iniquità né unione tra la luce e le tenebre né intesa tra Cristo e Beliar (cfr. 2 Cor 6, 14-15).
Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel nostro corpo mortale» (Rm 6, 12). Mortifichiamo le nostre « membra che appartengono alla terra» ( Col 3, 5). Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98, 5), e così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso. Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «ultima nemica sarà distrutta la morte» (1 Cor 25, 26). Allora Cristo potrà dire dentro di noi: «Dov'è , o morte, il tuo pungiglione? Dov'è , o morte, la tua vittoria? » (Os 13, 14; 1 Cor 15, 55). Fin d'ora perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di « incorruttibilità; e ciò che è mortale cacci via la morte, si ricopra dell'immortalità» del Padre (1 Cor 15, 54). Così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione.”
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NOTE

1 Questa festa è stata opportunamente collocata nell’ultima domenica dell’anno liturgico, per evidenziare che Gesù Cristo è il Signore del tempo e che in Lui trova compimento l’intero disegno della creazione e della redenzione.