giovedì 27 novembre 2014

Un ponte sul Bosforo



A colloquio con il cardinale segretario di Stato. 

(Barbara Castelli) «Sarà un momento molto importante e molto intenso per rinvigorire il cammino ecumenico non solo nei confronti nella Chiesa di Costantinopoli, ma anche di tutte le altre Chiese ortodosse»: è quanto afferma il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, nell’intervista realizzata dal Centro televisivo vaticano in occasione del viaggio del Papa in Turchia.
Dopo otto anni dalla visita di Benedetto XVI un Pontefice torna in Turchia. A Istanbul ci sarà la firma di una dichiarazione congiunta con il Patriarca ecumenico Bartolomeo. Cosa rappresenta per la Chiesa questo viaggio di Papa Francesco nel solco dei suoi predecessori Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?
Anche Papa Francesco ha questa ansia apostolica di cercare di rafforzare sempre più i rapporti fraterni con le Chiese cristiane. Il Papa va in occasione della festa di sant’Andrea, che è la festa del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, quindi va a condividere la gioia e la celebrazione di quella Chiesa. E va anche per firmare una dichiarazione comune. Una dichiarazione che si colloca sulla scia di quella già firmata a Gerusalemme nel maggio scorso e che intende appunto rafforzare i legami di amicizia, di collaborazione e di dialogo tra le due Chiese e di esprimere preoccupazione anche per la sorte di tanti fratelli cristiani che si trovano in situazioni di difficoltà e di persecuzione soprattutto nella regione del Medio oriente. Penso che sarà un momento molto importante e molto intenso per rinvigorire questo cammino ecumenico non solo nei confronti nella Chiesa di Costantinopoli, ma anche di tutte le altre Chiese ortodosse.

Impossibile non pensare alla delicata situazione in Medio oriente, resa ancora più precaria dall’opera sanguinaria del sedicente Stato islamico. La pace sembra impossibile. Come spezzare questa spirale di violenza?

Certamente la situazione continua a essere molto grave e sicuramente il Papa approfitterà anche di questo nuovo viaggio proprio per continuare la sua missione di messaggero della pace. La soluzione la conosciamo. La soluzione è più facile e più difficile di quello che sembra. È deporre le armi e avviare un dialogo, avviare un negoziato. È impensabile che ci possa essere una soluzione armata, che ci possa essere una soluzione unilaterale imposta con la forza da parte di qualcuno. La Santa Sede ha sempre detto che la soluzione non può essere che regionale e comprensiva, tenendo conto degli interessi e delle aspettative di ognuna delle parti coinvolte. Purtroppo in questi giorni assistiamo anche a un ulteriore deterioramento della situazione in Terra santa. Vediamo cosa sta facendo il cosiddetto Stato islamico. Questa è la strada per arrivare un vicolo cieco. Senza poi ricordare, nel caso dello Stato islamico, quello che la Santa Sede ha richiamato più volte e cioè il principio del diritto di fermare il giusto aggressore nel rispetto del diritto internazionale. Nel lottare contro quelle che sono le cause di questo fenomeno terroristico non dobbiamo aspettarci una risposta esclusivamente legata all’aspetto militare, della forza, ma bisogna cercare di capire e di risolvere le cause di questo fenomeno. E credo giusto anche denunciare quelli che possono essere gli appoggi, sia di tipo politico sia di tipo economico, che lo Stato islamico continua a ricevere. Poi il dialogo interreligioso. La capacità da parte di tutti e soprattutto anche dei responsabili e dei leader musulmani di denunciare la manipolazione della religione e l’uso del nome di Dio per fare violenza contro gli altri.

La violenza porta a numerose e drammatiche conseguenze. Pensiamo alle migliaia di persone in fuga ai confini in cerca di salvezza, così come alla presenza sempre più esigua dei cristiani in questi luoghi. Cosa fa la Chiesa al riguardo?

La Chiesa è impegnata in un grandissimo sforzo di sensibilizzazione, prima, della comunità internazionale per soccorrere le necessità di questi fratelli e sorelle che sono profughi e rifugiati, e poi mettendo in campo tutti i suoi mezzi della carità. Sappiamo quanto le organizzazioni internazionali, le agenzie cattoliche di aiuto, le Caritas stanno operando sul terreno, proprio per soccorrere i bisogni di questi nostri fratelli soprattutto di fronte all’inverno che è già arrivato e che renderà più precaria e più dura la loro soluzione. E poi questa insistenza giusta, doverosa, necessaria sul diritto al ritorno. Questo è un altro punto su cui la Santa Sede continua a insistere. Un ritorno nella propria patria, nelle proprie case, nelle proprie terre, in condizioni però che permettano a questa gente di poter vivere con serenità. Condizioni che assicurino loro il diritto alla vita, il diritto alla sicurezza.

La Turchia è caratterizzata da una convivenza multiculturale e multireligiosa. Quali sono a suo avviso gli aspetti ai quali il Pontefice vorrà dare corpo?

Prima di tutto una sollecitudine nei confronti della Chiesa locale. Una piccola Chiesa che negli anni passati è stata anche testimone di episodi dolorosissimi di violenza, ma che persevera nella sua missione. Mi pare importante sottolineare questa volontà della Chiesa cattolica in Turchia nelle sue diverse espressioni — abbiamo la Chiesa latina, la Chiesa armeno cattolica, la Chiesa caldea, la Chiesa siro cattolica — che è di perseverare nella sua missione, cioè testimoniare una presenza e per assicurare questo dialogo con l’islam che è molto importante. Nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli, la Chiesa cattolica in Turchia è impegnata in questo dialogo con l’islam ed è impegnata sulla linea e con lo stile che caratterizzarono la presenza dell’allora delegato apostolico, monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, oggi san Giovanni XXIII. Questo stile di fare da ponte, come ricordava anche Papa Francesco qualche domenica fa: non costruire muri, ma ponti dove ci possa essere l’incontro tra le persone. E Giovanni XXIII è stato proprio un ponte sul Bosforo per l’incontro dei turchi, dei greci, dei cattolici, degli ortodossi, dei musulmani e degli ebrei. Questa è la vocazione. E poi, naturalmente, anche l’assistenza religiosa alle famiglie cattoliche, alla comunità cattolica, ai molti pellegrini che si recano lì. Direi che la presenza del Papa sarà di incoraggiamento per la Chiesa e nello stesso tempo di sostegno a questo impegno di dialogo con l’islam che la caratterizza.

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Ecumenismo di popolo



Intervista al presidente della Conferenza episcopale turca. 


(Gaetano Vallini) «Mi sembra che il dialogo con il Patriarcato di Costantinopoli stia registrando il suo apice. C’è una profonda e reale comunione tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo e credo che, se dipendesse da loro, la piena comunione tra le due Chiese sarebbe già a portata di mano. Purtroppo il variegato mondo ortodosso non parla una sola voce e il pensiero illuminato del Patriarca Bartolomeo non trova ovunque consensi». Alla vigilia del viaggio di Papa Francesco in Turchia, da venerdì a domenica, monsignor Ruggero Franceschini, arcivescovo di Izmir (Smirne), amministratore apostolico del vicariato dell’Anatolia e presidente della Conferenza episcopale turca, non sembra avere dubbi sulla fraterna amicizia che lega il vescovo di Roma e il Patriarca di Costantinopoli, al quale il Pontefice renderà visita nella festa patronale di sant’Andrea. 
«Da parte nostra — aggiunge il presule cappuccino — dobbiamo sostenere sia il Papa sia il Patriarca in questo coraggioso cammino di riconciliazione e di reciproca accoglienza, impegnandoci concretamente nel costruire con pazienza relazioni di amicizia e di mutua conoscenza tra i fedeli cattolici e ortodossi. Spinte da un “ecumenismo di popolo”, le gerarchie si sentiranno incoraggiate a percorrere il cammino verso la piena comunione. Una grande speranza è il concilio panortodosso del 2016. Dobbiamo invocare lo Spirito Santo su quell’assemblea che potrebbe segnare una svolta nel cammino ecumenico». 
Come sono in Turchia i rapporti tra la Chiesa cattolica e il Patriarcato?

In un contesto in cui i cristiani sono una minoranza sotto pressione, i rapporti con le altre confessioni cristiane, e in particolare con gli ortodossi, sono improntati a una positiva collaborazione e a un reciproco sostegno. In particolare a Smirne abbiamo accolto con gioia la riapertura al culto della chiesa ortodossa di Aghia Fothini, guidata da padre Kyrillos Sikis, primo archimandrita a risiedere a Smirne dal 1922, col quale si è creata una relazione di fraterna amicizia. Nelle comunità del vicariato apostolico dell’Anatolia, poi, la distanza tra cattolici e ortodossi è quasi inesistente e si va alla chiesa ortodossa quasi come se si trattasse di una parrocchia cattolica. In particolare, ad Antiochia già da tempo la comunità cattolica celebra la Pasqua nella stessa data di quella ortodossa, come oggi è diventato normale in Terra santa. L’ecumenismo, prima che sulle questioni dottrinali, si costruisce su relazioni fraterne che aiutano a vincere i pregiudizi e a considerare la diversità come una ricchezza.

La stragrande maggioranza degli abitanti del Paese è di religione musulmana. Come vanno le relazioni con loro?

L’islam è una realtà molto più variegata e complessa di come sia presentata in Occidente. La tentazione dell’integralismo costituisce una minaccia anche in Turchia, e negli anni recenti la Chiesa ha pianto i suoi martiri: don Andrea Santoro, monsignor Luigi Padovese, i catechisti protestanti di Malatya. Eppure sarebbe un errore pensare che esista solo questo islam. La Turchia mostra pure il volto di una religione musulmana aperta e dialogante, stemperato dagli insegnamenti illuminati di Mevlana (1207-1273), mistico influente, che presenta singolari contatti con il Vangelo. Nella quotidianità si fa esperienza di persone musulmane che non considerano il cristianesimo come una minaccia, e che mostrano un sorprendente rispetto che, sotto certi aspetti, si è smarrito persino in Occidente. Non si può purtroppo nascondere che qualche chiesa sia vandalizzata da gruppi intolleranti, ma simili eventi vengono unanimemente condannati dalle autorità, che si preoccupano pure di garantire una maggiore sicurezza. Molti musulmani visitano le nostre chiese con rispetto e si mostrano attenti e interessati al cristianesimo. In questi giorni ho visto le immagini della profanazione della cattedrale di Strasburgo da parte di attiviste del movimento Femen. In Europa il vilipendio della religione è talvolta salutato addirittura come espressione di civiltà. In Turchia un simile gesto viene invece considerato uno scempio, quale è. L’identità turca è profondamente religiosa e sulla base del rispetto per la religione si possono intavolare un fecondo dialogo e una sincera amicizia.

Come si sta preparando la Turchia alla visita del Papa e quanta attenzione vi è da parte dell’opinione pubblica?

L’autorità morale di Francesco ha raggiunto anche questo Paese e in generale si registra un discreto interesse nei confronti della sua persona e del suo magistero. I media quasi mai danno risalto alle vicende della Chiesa e se lo fanno è per mettere in evidenza scandali o notizie frivole che la riguardano. Questa visita, invece, viene presentata come una grande opportunità per mostrare il volto moderno e aperto della Turchia. La scorsa settimana ho parlato della visita del Pontefice a circa duecento studenti musulmani che ascoltavano con entusiasmo e interesse. Essi ritengono un onore per la loro nazione poter accogliere il Papa. Ovviamente in alcuni ambienti si percepisce anche una certa indifferenza e talvolta una malcelata diffidenza. Secolari pregiudizi si frappongono tra il cristianesimo e l’identità turca. La visita serve proprio a cercare di abbattere i muri del pregiudizio per costruire ponti di reciproca conoscenza e accoglienza.

La Turchia confina con un’area del Medio oriente sotto la minaccia dell’avanzata del cosiddetto Stato islamico. Quale significato assume la presenza del Pontefice in un momento così delicato per la regione?

Il dialogo con l’islam moderato è l’unica via per evitare le derive dell’integralismo religioso. Dinanzi a ciò che sta accadendo in Siria e in Iraq si corre il rischio di cadere nella tentazione di invocare una guerra di religione, che sarebbe distruttiva come nessun’altra. La visita del Papa in un contesto moderato contribuisce a mostrare che il cristianesimo non è nemico dell’islam e che i musulmani non hanno nulla da temere. La parola di Francesco servirà certamente a mostrare che la religione non può e non deve essere mai strumentalizzata per fini politici ed economici. La sua voce, insieme a quella degli altri leader religiosi, deve continuare a gridare che mai si può compiere il male in nome di Dio. Purtroppo a volte sembra che da parte islamica la condanna delle persecuzioni anticristiane non sia così esplicita ed efficace. Ma l’universo islamico è molto frastagliato e non c’è una voce altrettanto autorevole e riconosciuta. La parola e l’esempio del Papa hanno, pertanto, un ruolo imprescindibile nell’evitare una pericolosissima guerra di religione.

Cosa si aspetta dalla visita di Francesco la Chiesa turca, «piccolo gregge» ma dalle origini antichissime e segnata, come lei ha ricordato, dal martirio anche in tempi recenti?

La comunità cristiana qui si sente spesso periferica non solo rispetto alla maggioranza musulmana, ma anche all’interno della Chiesa stessa. La visita del Papa mostra la sollecitudine del successore di Pietro nei confronti di una comunità piccola e in diaspora, ma viva e coraggiosa.

L'Osservatore Romano

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Padre Monge: «In Turchia Papa Francesco a un crocevia della Storia»
terrasanta.net

(Giuseppe Caffulli) «La Turchia è un crocevia fondamentale della Storia cristiana. Ma è anche uno snodo politico e strategico della Storia contemporanea, in un’area caldissima del pianeta, punto di incontro – e talvolta di scontro – tra le fedi. Il Papa, venendo qui, si fa ambasciatore di una Chiesa che sta ai crocevia della Storia; alle periferie, che è vicina alle sofferenze, al battito del cuore di questa umanità di oggi» (...)