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Leggendo il Decreto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti del 3 giugno scorso col quale la memoria liturgica di Santa Maria Maddalena è stata elevata a “festa” e le motivazioni che sono anzitutto da ricercare nel desiderio di Papa Francesco (cf.), il nostro pensiero non può che correre alla Maddalena del Giardino dove avevano sepolto Gesù, a quel suo “ Rabbunì” pieno di fede e gioia al momento del riconoscimento di Colui che lei ancora cercava fra i morti. (...)
[Text: Français, English, Español]***
(Antonella Lumini) Il decreto emesso il 3 giugno per desiderio di Papa Francesco, con il quale la celebrazione liturgica di santa Maria Maddalena è stata elevata al grado di festa al pari di quella degli apostoli, è destinato, senza dubbio, a segnare una svolta. L’«apostola degli apostoli», come la definisce san Tommaso d’Aquino, viene ufficialmente posta a «paradigma del compito delle donne nella Chiesa». Come delinearlo alla luce di quanto emerge dalla sua figura?
Il culto rivolto a Maria Maddalena inizia in oriente con la commemorazione delle mirofore, le donne che portano gli aromi per l’unzione del corpo di Gesù deposto nel sepolcro. In occidente si diffonde in Francia, dove la vuole la leggenda e dove si trovano le più antiche basiliche a lei dedicate, ancora oggi importanti mete di pellegrinaggio, la basilica di Vézelay e quella di Saint-Maximin-la-Sainte-Baume. È sempre stata oggetto di grande devozione popolare, soprattutto da parte delle donne che in lei si sono riconosciute.
Maria di Magdala è la donna che si sente guardata nel profondo, oltre le apparenze. L’incontro con il Maestro avviene su un piano che investe la sua parte più autentica, rimasta in ombra, ma subito suscitata non appena illuminata dallo sguardo di lui, elevata a un altro livello, quello delle nozze mistiche in cui l’anima viene vivificata dallo Spirito. Ogni elemento della narrazione rimanda a questo piano, che però non è disincarnato, bensì attivo proprio nella carne e nella psiche trasformando l’umanità.
La santa, per tradizione identificata anche in Maria di Magdala e nella peccatrice (cfr. Luca, 7, 37-38), mette in luce molteplici valenze femminili che il Vangelo valorizza e rende irradianti sul mondo. Il Signore e Maestro non è turbato da lei, né dalle altre donne perché completamente libero di amarle, di accompagnarle verso la loro risurrezione. Anzi è sostenuto, seguito ovunque, fin sotto la croce.
«Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore” e anche ciò che le aveva detto» (Giovanni, 20, 18). È lei per prima a vedere il risorto e a portarne l’annuncio agli apostoli. L’evangelista Giovanni fonda i racconti della risurrezione proprio sulvedere: «I discepoli gioirono nel vedere il Signore» (Giovanni, 20, 20), «Abbiamo visto il Signore!» (Giovanni, 20, 25), e di Maria di Magdala dice: «Vide Gesù che stava lì in piedi, ma non sapeva che era Gesù» (Giovanni, 20, 14).
Niente è posto come straordinario, ma in uno scenario aperto dove tutto appare naturale: è il vedere del cuore. D’altra parte, nei sinottici la risurrezione è sempre associata alla Galilea: «Là lo vedrete» (Matteo, 28, 7). La Galilea è il luogo dell’esperienza vissuta con il Maestro. Per continuare a vederlo occorre tornare a quanto si è sedimentato nel cuore attraverso il contatto vivo con lui. Esperienza di vita eterna, risorta. Lo dice Gesù stesso: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà» (Giovanni, 11, 25). La sua vita incarnata è dunque già risurrezione.
Maria vede il risorto perché partecipe della forza della risurrezione, suscitata a nuova vita dal tocco dell’amore puro che penetra e arde. Sciolta dalla forza della morte, dal buio spirituale. Ella, la donna «dalla quale erano usciti sette demoni» (Luca, 8, 2), forse anche la peccatrice, si apre profondamente al divino amore lasciandolo agire dentro se stessa tanto da esserne completamente rigenerata. I «sette demoni», ricollegandosi al monachesimo delle origini, potrebbero essere i sette vizi capitali, cioè l’insieme delle potenze psichiche che dominano l’anima e che i monaci chiamavano demoni. Del resto l’azione taumaturgica di Gesù libera e guarisce da queste forze che producono malattie fisiche, psichiche e spirituali.
Se Maria, madre di Gesù, incarna la purezza dell’origine, Maria Maddalena incarna la fatica della trasformazione che investe la natura umana quando è raggiunta dal tocco del divino amore. Lo sottolinea l’iconografia che la raffigura penitente. Avendo ricevuto misericordia, diviene modello di misericordia, si addossa il peso dell’umanità. Essendo stata liberata da immensa sofferenza, la riconosce ovunque, la patisce, accetta di farsene carico. Questo la unisce all’amato di un amore sublime, la pone in profonda comunione con lui. La sua risposta senza riserve accresce in lei l’intensità d’amore aprendola universalmente alla sapienza del cuore, alla compassione.
Sentendosi guarita, diviene testimone di un amore infinito, insieme immagine del travaglio interiore che opera lo Spirito nel profondo per scardinare e liberare. È proprio nel testo giovanneo che diviene esplicito il passaggio: «Gesù le disse: “Non mi trattenere, ma va’ dai miei fratelli e dì’ loro: Io salgo al padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”» (Giovanni, 20, 16). Nel colloquio con Gesù risorto affiora la sublimità di un amore che travalica la dimensione naturale.
Maria, appena chiamata per nome, riconosce il Maestro, in quell’attimo percepisce l’indissolubilità della comunione d’amore che unisce per sempre senza legare. Il vederlo vivo diviene per lei straordinaria consolazione, ma insieme le impone uno sradicamento dall’identificazione con i limiti spaziali e temporali, la sollecita a cogliere il cambiamento di prospettiva che eleva verso di lui, punto di attrazione di tutta l’umanità.
Il mandato dell’apostola degli apostoli consiste quindi nel testimoniare la potenza della risurrezione in atto che agisce per trasformare, che rende l’umanità partecipe della vita del risorto. Ella chiama ad aprirsi senza riserve all’amore di Gesù, all’ardore del suo spirito che suscita a nuova vita, come afferma il testo giovanneo: «Se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno di Dio» (Giovanni, 3, 5). La risurrezione della carne è il processo in atto che purifica e santifica la vita incarnata in chi crede e si apre alla luce del risorto.
Questo l’annuncio dell’apostola che in particolare le donne, all’interno della Chiesa, sono chiamate a cogliere e a far proprio. Maria Maddalena è la donna emancipata dallo Spirito, libera perché liberata interiormente. Esprime lo spostamento che investe la carne e il sangue. Testimonia l’itinerario di trasformazione per cui, come afferma san Paolo, «si semina un corpo psichico (sòma psychikòn), sorge un corpo spirituale (sòma pneumatikòn)» (1 Corinzi, 15, 44). Itinerario che implica in primo luogo la trasformazione dell’eros.
È dunque l’umanità vivificata dallo Spirito e piena di pietà a testimoniare la risurrezione. L’apostola annuncia che Gesù è risorto attraverso la propria vita, il proprio amore non più seduttivo, possessivo, ma limpido, luminoso, compassionevole. Questo è il passaggio chiave che apre alla vera misericordia, altrimenti l’annuncio diventa vuota rappresentazione di quello che dovrebbe essere, ma che non è.
Mettere a fuoco il valore del corpo, della vita terrena, come strumenti vivi dell’azione salvifica e santificante, è insieme rivalutare il femminile, all’interno della Chiesa sempre associato al corpo, al peccato e tenuto ai margini. La forza della risurrezione in atto passa nel qui e ora dove eterno e tempo convergono.
Le donne sono sollecitate quindi a riconoscere e far proprio il tracciato che si delinea attraverso la vita dell’apostola per incarnarlo. Dove non c’è vero amore fra uomini e donne l’umanità diviene sterile. Come sta accadendo nel mondo, sta accadendo nella Chiesa: poche nascite, poche vocazioni.
L'Osservatore Romano