Le conseguenze dell’aborto, spiegato senza ideologie, in modo professionale. Intervista a Benedetta Foà, psicologa clinica, che aiuta “genitori” (donne ma anche uomini) in lutto.
Vuoi spiegarci brevemente qual è il tuo lavoro e di che persone ti occupi?
Grazie Costanza, lo spiego volentieri. Ho cominciato ad occuparmi di post-aborto nel 1995. In quel momento mi trovavo in Bosnia al tempo della guerra che si è svolta nell ex-Jugoslavia tra il 1991 e il 1996. Ero lì come volontaria della Caritas a portare aiuti umanitari. È stato dopo questa esperienza che ho realizzato che prendersi cura degli Esseri Umani è la cosa più importante che ci sia. È grazie al dott. Philip Ney, psichiatra Canadese, che è venuto a tenere un corso di formazione alla parrocchia di San Giacomo a Medjugorje, che mi si sono aperti gli occhi rispetto al trauma dell’aborto. Fino a quel momento non era un argomento di cui mi fossi mai interessata, e non mi occupavo di psicologia allora. Oggi, a distanza di 22 anni, sono psicologa clinica, counselor con la P.I. psicologa delle emergenze e una delle poche professioniste che lavora sul territorio italiano per la risoluzione del trauma post-abortivo. Attraverso un percorso mirato, da me ideato, aiuto donne e uomini ad uscire del tunnel nero della depressione che può venire dopo un aborto. Mi occupo di “genitori” in lutto, sia donne che uomini, e tratto aborti sia spontanei che procurati.
Le donne che soffrono dopo avere abortito sentono dolore per la perdita del loro figlio o per colpa nostra, di noi che le facciamo sentire giudicate?
Sicuramente una donna che perde un figlio soffre perché ha perso suo figlio. Sia che l’aborto sia spontaneo o procurato, possiamo avere reazioni diverse. Intendo dire che ci sono mamme che dopo un aborto spontaneo vanno in una crisi profonda (soprattutto se la gravidanza è avanzata) e mamme che riescono a farsene una ragione senza soffrire troppo. Così succede anche per l’aborto procurato. Ho incontrato donne che mi hanno confidato di avere abortito volontariamente e che non ci hanno mai più pensato, e invece incontro ogni giorno donne che a causa del fatto che hanno abortito di loro volontà non se ne fanno una ragione e stanno male. È il giudizio degli altri a farle stare male? Non mi risulta, è il senso di colpa per avere scelto di non tenere il proprio bambino che le manda in crisi. È come se prima dell’evento abortivo fosse solo un “problema” o un “girino” e invece subito dopo l’intervento, la coscienza si sveglia e grida: il mio bambino è morto! Per quella che è la mia esperienza le donne sono molto arrabbiate, dopo l’evento aborto, con tutti coloro che non le hanno sostenute nel tenere il bambino: il padre del bambino in primis e poi la famiglia d’origine.
Ci sono secondo te anche donne che non soffrono, dopo questa esperienza?
Probabilmente si. Logicamente non sono le mie utenti visto che da me viene chi sta male. Però ho donne e uomini che vengono a cercare il mio aiuto anche dopo 20/30 anni dall’interruzione di gravidanza. Come hanno fatto a conviverci per così tanto tempo? Esiste un meccanismo della mente che si chiama negazione. Cioè nego di avere un problema, faccio finta che non c’è. Ma questo meccanismo difensivo dura per un po’, ma prima o poi cede. Ad esempio alla nascita di un altro figlio o per il decesso di un nostro caro o una qualunque situazione della vita. Una paziente che ho in cura in questo momento, a distanza di 25 anni, ha trovato per caso il mio libro e il leggerlo le ha fatto ricordare cose rimosse. Mi ha confessato: in questi anni ho vissuto la vita a metà, non mi sono vista, non mi sono ascoltata dopo l’aborto la parte felice di me è morta. È stato il mio libro? No, semplicemente è bastato poco per fare emergere un dolore latente ma pre-esistente che è finalmente emerso dopo 25 anni. Negli uomini ho riscontrato che spesso il riavvicinarsi alla fede gli fa vedere la gravità dell’atto di aver fatto abortire la propria ragazza, magari all’età di vent’anni. A quell’età non c’era la piena consapevolezza ma poi con il tempo la si acquista e si può andare in crisi. Anche gli uomini possono soffrire di stress post-aborto e i sintomi sono uguali a quelli delle donne.
Qual è il tuo obiettivo? Che le donne stiano bene? Non c’è il rischio che di nuovo cancellino quello che hanno fatto, se mettono come obiettivo il loro benessere?
Chiaramente l’obiettivo di un medico è che i pazienti stiano bene. Elaborare un lutto non equivale a cancellare. Se mio nonno muore ed io elaboro il suo lutto vuol dire che non mi ricordo più di lui? Penso sia impossibile. Così per il proprio figlio abortito. Direi che il pericolo più grosso che vedo nelle mamme che vengono a cercare il mio aiuto sia proprio il contrario, cioè avere la mente bloccata sul bimbo abortito, pensare solo a lui e non occuparsi dei figli che ci sono già o che verranno. Purtroppo succede veramente. Ho davanti agli occhi tante mamme che soffrono talmente tanto per la perita di questo figlio che non riescono ad uscire dal tunnel nero in cui entrano. Ho incontrato una mamma che ha perso il figlio il giorno prima di partorire e da quel momento in poi è entrata e uscita dal reparto di psichiatria. Quando l’ho incontrata erano passati dieci anni e raccontava l’episodio come se fosse successo il giorno prima. Peccato che aveva già una figlia di cui non è più riuscita ad occuparsi.
Qual è la strada per uscire da questo dolore?
Il primo ostacolo alla guarigione è la mancanza di presa di coscienza del fatto che si sta male. Proprio a causa della negazione o della intellettualizzazione, entrambi meccanismi difensivi, spesso si nega a noi stessi il nostro dolore. Secondo ostacolo, l’omertà. Il non parlarne con nessuno, per vergogna o per paura del giudizio, isola e fa sentire un profondo senso di solitudine. Avere una persona con cui poter parlare, sentendosi accolti, ascoltati e non giudicati è un enorme passo avanti. Inoltre, se quella persona è anche un professionista preparato, allora può avvenire la svolta. Nel mio libro, Dare un nome al dolore (casa ed. Effatà), spiego il mio metodo di cura. Negli anni mi sono resa conto che è efficace per un passo avanti verso la guarigione; poi, logicamente, ci vuole la volontà di stare meglio.
Tu pensi che la 194/78 abbia cambiato la mentalità, o piuttosto credi che quelle donne avrebbero abortito lo stesso?
Mi ricordo che quando la legge è stata approvata per me è stato uno choc. Ero piccola, forse una decina anni, ma avevo già capito che era una cosa grave. Adesso incontro donne che sono nate dopo il ‘78 e non hanno idea della mentalità precedente, pro vita. Personalmente penso che l’approvazione della legge ha cambiato la mentalità e siamo passati piano piano ad una cultura che legalizza la morte. Prima di queste leggi vita e morte erano nelle mani di Dio e tutto era sacro, adesso che è passato nella mani degli uomini, tutto è diventato scarto. L’Uomo è stato spogliato del suo valore e di conseguenza se non è perfetto o se non ci serve lo possiamo usare/ gettare a nostro piacimento. È proprio il valore intrinseco della vita quello che dobbiamo riacquistare. Sono convita che molte donne non avrebbero abortito con una cultura diversa, e lo dico perché me lo raccontano loro stesse. Ho ancora nelle mente le parole di una ragazza che al nostro primo incontro mi disse: Vorrei che lei mi dicesse perché ho abortito. Allibita la guardo e prosegue: sono andata dal ginecologo, non sapevo ancora di essere incinta, l’ho scoperto in quel momento. Il mio compagno era stupito ma contento eppure il ginecologo mi ha dato il foglio per abortire senza che nessuno di noi lo abbia chiesto. Ho abortito e non so perché. Sono passati quattro anni da quel giorno, ancora mi scrive dandomi notizie. Ha sposato l’uomo di cui ha abortito il figlio e ora non riesce più a rimanere gravida.
Quali sono le ripercussioni sulla famiglia e sui fratelli del bimbo abortito?
Ho appena sottolineato il fatto che quella ragazza ha sposato lo stesso partner perché non è particolarmente frequente. Di solito l’evento aborto spezza il legame affettivo. Più volte mi sono sentita dire: dopo l’aborto avrei voluto che lui sparisse dalla mia vita! Delle ricerche fatte dall’Istituto Elliot, Illinois, USA, dicono che la maggior parte delle relazioni di coppie non sposate si sciolgono a breve tempo (1 /12 mesi). Le coppie sposate reggono di più a causa del vincolo matrimoniale e dal fatto che probabilmente ci sono altri figli. Personalmente le mamme che conosco che sono sposate con l’uomo con cui hanno deciso di abortire sono coppie molto tormentate perché il pensiero di fondo è che lui, compagno e marito, non le ha sostenute nella loro prima gravidanza e che con il senno di poi si fa sempre più forte il pensiero “C’era posto anche per quello che abbiamo rimandato indietro!”
Vorrei spendere una parola sullo stato di salute per i fratelli dei bambini abortito. Questi soffrono di un disagio psicologico a cui è stato dato il nome di Sindrome del sopravvissuto. Molti sono i tipi diversi di bimbi in questa condizione: gemelli in grembo di cui uno muore e l’altro sopravvive (questi sono moltissimi a livello di aborti spontanei), ma succede anche in quelli procurati: la donna va ad abortire e dopo due mesi si trova ancora gravida. I figli erano due. Poi ci sono tutti i casi dove, nonostante il tentato aborto (salino per es.), il bambino sopravvive e nasce vivo. Fallimenti di pillole abortive, in passato si usavano rimedi come il prezzemolo o altre erbe per abortire. Però ho sentito casi in cui la madre si buttava giù dalle scale pur di perdere il figlio, senza riuscire. Per ultimi ma non ultimi sono sopravvissuti anche tutti i fratelli la cui mamma ha abortito il fratello prima o dopo di lui e il bambino lo sa. La domanda di fondo per queste persone è: mamma ma se io ero mio fratello abortivi me? Questa domanda inespressa manda molto in crisi e toglie molte energie a questi bambini. Generalmente queste persone soffrono di bassa autostima e fanno molto fatica a trovare il loro posto nel mondo. Tantissime sono le persone che soffrono di questa sindrome, chi più chi meno.
Dopo quanto mi hai appena detto, cosa pensi della legge 194?
Penso che tutti abbiamo diritto alla vita. L’aborto ha portato frutti di veleno e infelicità per tante donne, uomini, bambini. Senza contare i nonni, parenti vari, operatori sanitari. I medici hanno tradito il loro mandato di essere “guaritori” fregandosene del giuramento di Ippocrate. Ci sono aspetti di tipo morale e spirituale molto complessi che non tratterò in questa sede ma che esistono. Potendo andrei sicuramente in tribunale con donne coraggiose che hanno desiderio di raccontare lo sfacelo dell’aborto nella loro vita, in modo da abrogare questa legge iniqua.
Ancora una domanda: collabori con qualche associazione?
Grazie Costanza per l’opportunità che mi dai di parlare di un progetto a me tanto caro e tanto importante. Faccio parte dell’Associazione Difendere la vita con Maria. Fondatore don Maurizio Gagliardini. Peculiarità dell’associazione è quella di attivare convenzioni con gli ospedali in modo da poter recuperare i feti abortiti e dargli degna sepoltura. Frutto dell’associazione è la neonata Fede e Terapia. Di fatto siamo un equipe composta da medici, psicologi, sacerdoti tutti impegnati nel sostegno del nostro numero verde. 800969878 è il primo numero verde nazionale per l’ascolto del trauma dell’aborto. Il primo a chiamare è stato un uomo e anche questo è significativo! Il numero è nato nel novembre 2015 e ad oggi abbiamo ricevuto già tante chiamate. È un successo enorme. Chiamate con fiducia! Ci sarà un volontario formato pronto ad ascoltarvi. A seconda delle vostre necessità cercheremo di darvi il nominativo di un professionista, nella vostra zona, preparato a darvi aiuto. Si può anche leggere Fede e terapia, genitori in cerca di guarigione (casa ed. Cantagalli a cura di ADVM)