sabato 11 gennaio 2014

L'umanesimo antipersonalista nel pensiero moderno

Di Maurizio Moscone, docente di antropologia teologica presso i Seminari "Redemptoris Mater".

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L'antipersonalismo nel pensiero moderno (Prima parte)


Secondo San Tommaso l’essere umano è essenzialmente persona e ciò significa che ogni uomo da Adamo fino all’ultimo vivente sarà, in ogni luogo e in ogni tempo, una sostanza spirituale-corporea con specifici accidenti.
I termini essenza, sostanza, accidenti sono oggi desueti ed è quindi necessaria una explicatio terminorum perché, nonostante il loro oblio filosofico,  essi mantengono intatto il loro valore.
L’essenza di una cosa è ciò che una cosa è necessariamente e immutabilmente dal punto di vista dell’intelligibilità: le cose sono intellegibili, cioè hanno un significato  immanente conoscibile dall’intelletto umano, per cui è distinguibile un ente da un altro. Il fondamento della conoscibilità delle cose è propriamente l’essenza o la quidditas, perché risponde alla domanda “quid est hoc? Che cos’è questo?”, perché conoscere un ente significa sapere che cos’è quell’ente. Conoscere qualsiasi realtà significa sapere rispondere alla domanda “che cos’è?”.
Ogni ente ha, quindi, una sua essenza ed essa è conoscibile intellettivamente, ma mentre le essenze  sono presenti nell’intelletto umano al di là del tempo e dello spazio, nella realtà sono presenti negli enti qui e ora. Ogni uomo attualmente vivente in un luogo e un tempo definito ha individualmente la sua essenza umana e la stessa essenza è presente nel mio intelletto sotto forma di concetto, in base al quale posso dire che gli esseri umani , universalmente, indipendentemente dal tempo e dallo spazio, sono spiriti incarnati.
Ogni essere umano ha un’essenza che permane nel tempo, come vedremo, dallo stato embrionale fino alla morte. Il fondamento di questa permanenza è la sostanza, la quale è ciò per cui ogni individuo umano esiste, perché la sostanza in generale è l’ente esistente in sé come un tutto, ad esempio un fiore, e non come un elemento, ad esempio un colore.  La sostanza (es. fiore) è ciò che sub-stat, sta sotto, sostiene, tutti i suoi colori che ad-cidunt, cadono sopra di essa, sono cioè accidenti. La sostanza-fiore sussiste nel tempo, mentre cambiano i suoi accidenti, ad esempio i colori si sbiadiscono, ma la sostanza-fiore, finché esiste non può cambiare.
La stessa cosa si deve dire  per ogni uomo: finché esiste (cioè dal suo concepimento alla morte) sarà sempre e soltanto un essere umano con la sua specifica essenza. La sostanza-uomo, come abbiamo visto, è l’unione intrinseca di spirito e di corpo, e ad essa appartengono, essenzialmente, due accidenti: le facoltà dell’intelletto e della  volontà.
Gli accidenti, in generale, si distinguono in necessari e contingenti. Necessari sono quellli che ineriscono necessariamente in una sostanza, e quelli contingenti sono invece quelli che possono inerire o non inerire. Nel caso della sostanza umana questi ultimi sono,  ad esempio, l’allegria o la tristezza,  per cui un uomo può essere triste o non triste, allegro o non allegro, ma non potrà mai essere privo della facoltà razionale e di quella volitiva.
San Tommaso  ha condiviso il concetto di persona elaborato da Boezio: “la persona è una sostanza individuale di natura razionale”[1] e ne ha sviluppato le potenzialità, ma il pensiero filosofico successivo, pur mantenendo il termine, ne ha travisato sempre più profondamente il concetto fino ad arrivare ai tempi odierni, nei quali Singer afferma che le scimmie sono persone.
L’essere umano non è più inteso come una realtà sostanziale unitaria, come spirito incarnato, nel pensiero moderno, cioè in “quel ciclo della filosofia occidentale - scrive Nicoletti – condizionato, nello svolgimento della problematica filosofica, dal dualismo di coscienza ed essere come estraneità dell’essere alla coscienza”[2].
Il concetto di persona viene travisato in tutti i filosofi di questo periodo, a partire da Cartesio che, come abbiamo visto[3],  afferma che l’essere umano è la giustapposizione di due sostanze separate, una spirituale e una corporea.
A titolo esemplificativo e in modo sintetico vengono riportati qui di seguito i paradigmi di essere umano  di Hobbes, Locke, Kant e dei filosofi idealisti.
L’antropologia di Hobbes
Hobbes concorda con la tesi di Cartesio, secondo cui “cogito ergo sum”, ma afferma che ciò per cui l’essere umano pensa è non il pensiero ma il corpo[4].
Il termine persona viene depotenziato del suo significato originario e viene utilizzato per designare “colui le cui parole o azioni vengono considerate o come sue proprie o comerappresentanti le parole e le azioni di un altro uomo o di un’altra cosa a cui esse vengono attribuite o realmente o per finzione”[5].
La persona ha la funzione di esprimere più ruoli, come esemplarmente evidenziò Cicerone, quando, intervenendo in Senato forse per difendersi dall’accusa di infedeltà all’imperatore, assunse la “persona”, quindi il ruolo, di avvocato difensore, di accusatore e di giudice[6]; quindi un unico soggetto fu rappresentato da tre “persone”.
Il significato filosofico originario del termine persona  (unione sostanziale di spirito e corpo) è arbitrariamente sostituito[7] con quello di rappresentanza, che si incarna, nella forma più alta, nello Stato. Esso è infatti quella “persona” capace di sostituire tutte le altre e di decidere in vece loro, poiché è “l’unica persona la cui volontà […] si deve ritenere la volontà di tutti gli individui: onde può servirsi della forza e degli averi dei singoli per la pace e per la comune difesa”[8].
L’antropologia di Locke
Locke,  pur essendo empirista, fa parte della schiera dei filosofi che ha considerato l’uomo come spirito. Più specificamente, ha identificato l’essenza dell’uomo nel pensiero, nella res cogitans, in continuità con Cartesio.
Il paradigma antropologico delineato da Locke è sostanzialmente identico al cogitocartesiano: l’uomo è un essere pensante, identico nel tempo e nello spazio, autocosciente (Self).
Il filosofo sottolinea che la coscienza costituisce l’identità personale[9] e distingue l’idea di uomo  dall’idea di persona,  infatti, analizzando il concetto di identità riferito a idee diverse, scrive: “una cosa è la stessa sostanza, un’altra è lo stesso uomo, e una terza la stessa  persona, se persona, uomo e sostanza sono tre nomi che stanno per tre idee diverse”[10].
Locke può operare questa distinzione tra uomo e persona, perché la sua riflessione riguarda soltanto delle idee[11] e non la realtà.
Secondo il filosofo le idee non rispecchiano l’essenza della realtà, perché secondo l’empirismo la conoscenza è soltanto sensibile, per cui è preclusa la conoscenza intellegibile del reale, concernente l’essenza degli enti.
Locke, come Cartesio, è chiuso nel suo pensiero e quindi nelle idee, le quali hanno perduto il rapporto con la realtà.
 L’antropologia di Kant
L’antropologia di Kant si comprende all’interno della sua filosofia criticista, che denunzia l’impossibilità della metafisica come scienza.
Il filosofo porta a compimento il “dualismo di coscienza ed essere come estraneità dell’essere alla coscienza”[12] affermato da Cartesio e già presente nella Scolastica della decadenza.
La persona umana non è più intesa, tommasianamente, come spirito incarnato aperto all’essere. Essa infatti si risolve nell’anima, cosciente della propria identità, che permane nel tempo.
L’identità della persona non è una realtà sostanziale, ma “va colta […] inevitabilmente nella mia propria coscienza”[13].
Kant, nella Critica della Ragion Pura, analizza le condizioni di possibilità dell’identità personale, mentre nella Critica delle Ragion Pratica definisce la persona, nell’ambito della morale, come il soggetto agente che si sottopone liberamente agli imperativi categorici prescritti dalla legge morale[14].
Per questo motivo la persona umana è degna di rispetto e deve sempre essere considerata come fine e mai come mezzo[15].
E’ però da sottolineare che nella Metafisica dei Costumi, Kant distingue l’essere umano come animale razionale, istintivo e passionale, e l’essere umano come persona, spirituale e morale,  fine in se stessa, introducendo un dualismo “ontologico” tra homo phaenomenon  e  homo noumenon[16], che si ritrova anche nell’antropologia di Locke[17].
L’antropologia idealista
Fichte, Shelling, Hegel affermano l’esistenza di un’unica sostanza assoluta che, tramite il suo sviluppo, costituisce la realtà di tutte le cose e negano che l’essere umano sia una sostanza, considarando il singolo uomo come un fenomeno passeggero e transeunte del Dio-Pensiero, una goccia nell’oceano dell’Assoluto, che alla sua morte in esso si scioglie.
Afferma infatti Gentile che secondo l’Idealismo “la sola immortalità alla quale si possa pensare ed alla quale si è sempre pensato affermando l’immortalità dello Spirito, è l’immortalità del’io trascendentale non quella del’io empirico”.[18]
Hegel  distingue implicitamente l’individuo umano dalla persona, infatti nella filosofia dello spirito soltanto nel “momento” fenomenologico quando appare la coscienza si può parlare propriamente di persona, ma non in quello precedente (“antropologico”) quando l’essere umano, nei primi anni di vita, non è ancora cosciente.
Inoltre Hegel, nella sua filosofia del diritto[19] considera la persona come persona giuridica[20],  quindi titolare di diritti e doveri all’interno di un determinato ordinamento giuridico storicamente esistente.  Non esistono quindi dei diritti naturali, come ad esempio il diritto alla vita,  che devono essere riconosciuti e tutelati dalle istituzioni pubbliche,  perché lo Stato è etico,  e perciò stesso è fonte di diritti; di conseguenza non sono riconosciuti i diritti naturali delle persone.  Nel sistema filosofico hegeliano l’essere umano è subordinato alla società e allo Sato come la parte al tutto.
Si può affermare in sintesi che il pensiero moderno, che tradizionalmente inizia con Cartesio e termina con Hegel, può essere interpretato come una critica radicale alla filosofia realista di san Tommaso e in particolare della sua antropologia.
E’ da rilevare che Spaemann sostiene che la filosofia moderna è l’ispiratrice di tutte le posizioni bioetiche odierne che distinguono l’essere umano dalla persona, identificando quest’ultima nell’essere umano cosciente, fino ad affermare, come sostiene Derek Parfit che “bambini piccoli e vecchi con gravi deficit mentali non sono persone […] e non lo sono neanche quanti sono temporaneamente privi di coscienza”[21].

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NOTE
[1] S. Boezio, De consolatione philosophiae,III, 5.
A coloro che sostenevano che la persona è qualcosa di singolare e i singolari sono indefinibili (cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 29, a. 1, ob. 1) San Tommaso ha risposto che non si può definire questo o quell’individuo, ma è definibile lo stato di singolarità, come ha fatto  Aristotele definendo la sostanza prima (cfr. ibidem, I, q. 29, ad 1).
Alcuni  affermavano che la sostanza, se è intesa come sostanza prima, è di per sé individuale, per cui questa aggiunta è superflua, mentre se per sostanza si intende la sostanza seconda l’aggiunta  è  falsa, perché essa è o un genere o una specie, e non un individuo (cfr. ibidem, I, q. 29, a. 1, ob. 2). A queste critiche il Filosofo ha risposto affermando che “con l’aggiunta di individuale si viene a indicare la sostanza prima” (ibidem, I, q. 29, a. 1, ad 2) e si esclude,  di conseguenza, che possa essere confusa con la sostanza seconda (cfr. ibidem).
Altri contestavano l’uso del termine individuale nella definizione di persona, perché sarebbe un nome di “seconda intenzione” (cfr. ibidem, I, q. 29, a. 1, ob. 3). Tommaso ha risposto che questo termine viene  posto nella definizione per indicare il modo di esistere delle sostanze particolari (cfr. ibidem, I, q.29, a. 1, ad 3).
Alcuni affermavano che la natura è un principio di moto o di quiete, e non potrebbe essere applicata alla persona divina o angelica, che è immobile, “quindi nella definizione di persona non si doveva mettere natura, ma piuttosto essenza” (cfr. ibidem, I, q. 29, a. 1, ob. 4).  Il  Filosofo  ha  risposto,  sostenendo che il termine  natura è  più  adatto di essenza,  perché esso designa la differenza specifica che fa sì che un ente sia determinato in un certo modo (cfr. ibidem, I, q.29, a. 1, ad 4).
Altri contestavano a Boezio di avere errato nel definire la  persona, perché anche le anime separate, pur non essendo persone, sono sostanze individuali di natura razionale (cfr.ibidem, I, q. 29, a. 1, ob. 5). A questa obiezione il Filosofo ha precisato che  l’anima non è una sostanza ma è una parte dell’uomo, non una persona (cfr. ibidem, I, q.29, a. 1, ad 5).
[2] E. Nicoletti, Problematicismo e Metafisica, Garigliano, Cassino 1971, p. 123.
[3] Vedi precedenti articoli pubblicati su Zenit con il titolo: L’anima esiste ed è immortale. L’antropologia di Cartesio: l’anima è immortale.
[4] Cfr. T. Hobbes, Obiezioni alle meditazioni, II.
[5] Idem, Leviatano, I, 16.
[6] Cfr. ibidem.
[7] La perdita del senso originario del termine persona e la sua sostituzione con significati impropri perdura  fino ad oggi. Singer scrive: “Scimpanzé, gorilla e oranghi  hanno una complessa e ricca  vita emozionale;  sviluppano  strette e durature relazioni inter-individuali, hanno una memoria di lungo periodo e sono autoconsapevoli; possono risolvere problemi molto complessi, che chiaramente richiedono riflessione; e possono soffrire sia fisicamente che psicologicamente. In una parola sono persone” (P. Singer, Le loro emozioni, i nostri sentimenti, Intervista di L. Adami, in “Unità”, Cultura e Società, 25\11\1994, p. 3. Il corsivo è mio). Lo stesso autore afferma che gli embrioni umani non sono persone.
In Spagna è stato presentato un progetto di legge, ispirato al pensiero di Singer, con il quale si  intendeva estendere i diritti delle  persone umane alle  scimmie. Il progetto di legge non è stato approvato per la caduta del governo socialista di Zapatero.
[8] T. Hobbes, De cive, V, 9.
[9] Cfr. J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, a cura di M. e N. Abbagnano, Classici della Filosofia U.T.E.T., Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1996, pp. 395-397.
[10] Ibidem, pp. 391-392.
[11] Nel Saggio sull’intelletto umano, Lockeconcorda con Cartesio e con tutti i razionalisti che  gli  unici oggetti del pensiero umano sono le idee, ma nega che esse siano innate, perché  altrimenti sarebbero possedute, in  eguale misura, da tutti gli uomini. Viene quindi affermata l’origine empirica delle idee.
Il filosofo distingue le idee in semplici e complesse. Le idee semplici derivano o dai sensi esterni “idee di sensazione” o da atti dello spirito “idee di riflessione”.
Le idee complesse si formano nella mente umana tramite l’associazione delle idee semplici. Ad esempio, la sostanza è un’idea complessa, che ha un valore puramente “economico”, perché consente di unificare con un unico termine una molteplicità di sensazioni.
[12] E. Nicoletti, Problematicismo e Metafisica, cit., p. 123.
[13] E. Kant, Critica della Ragion Pura, Edizione bilingue Tedesco – Italiano, Bompiani, Milano 2004, p. 1265
[14] Cfr. Idem, Critica della Ragion Pratica, Edizione bilingue Tedesco – Italiano, Bompiani,  Milano 2004, p. 187 e segg.
[15] Cfr. ibidem.
[16] Idem, Metafisica dei costumi, Edizione bilingue Tedesco – Italiano,  Bompiani, Milano 2004, p. 461.
[17] Cfr. J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, cit., pp. 391-392.
[18] G. Gentile, Teoria generale dello spirito, Bari, Laterza 1924, p. 128.
[19] La filosofia del diritto si situa  all’interno della filosofia dello spirito nel suo momento oggettivo. 
[20] Cfr. F. Hegel,  Lineamenti della filosofia del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1979, pp.59-60.
[21] R. Spaemann, Persone. Sulla  differenza  tra “qualcosa” e “qualcuno”, a cura di L. Allodi,  Laterza,  Bari 2005,  p. 4.

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L'umanesimo antipersonalista

L'antipersonalismo nel pensiero contemporaneo. Marx (Seconda parte)

L’antipersonalismo caratterizza non soltanto la filosofia moderna ma anche quella contemporanea, cioè quel ciclo di pensiero che, tradizionalmente, inizia nel periodo successivo all’idealismo di Hegel ed arriva fino  ai giorni nostri.
Hegel è stato un gigante della filosofia e i filosofi contemporanei e successivi a lui hanno dovuto confrontarsi con il suo pensiero o per contestarlo  (Comte, Kierkegaard, Schopenauer, Nietzsche) o per approfondirlo (Strauss).
I discepoli di Hegel si sono divisi in due scuole: la Destra e la Sinistra hegeliana. La prima, conservatrice, ha riletto teologicamente il Cristianesimo alla luce del pensiero del maestro, interpretando idealisticamente il Cristo della fede e affermando che il Gesù storico è un mito e quindi non esiste. La seconda scuola, rappresentata da Feuerbach, Stirner, Marx, ha sviluppato in modo critico le potenzialità dell’idealismo hegeliano in chiave materialistica.
La sinistra hegeliana ha criticato il maestro per aver posto nell’al di qua, cioè nel pensiero umano l’essenza divina che la teologia pone nell’al di là, nella trascendenza, per cui “il segreto della filosofia speculativa hegeliana” è la teologia.
La religione, nell’idealismo hegeliano, assume un valore positivo in quanto è un momento in cui l’Assoluto prende coscienza di sé, mentre per Feuerbach essa è una proiezione delle esigenze ideali dell’uomo di felicità, bellezza, bontà ecc. in qualcosa di esterno a lui.
L’essere umano, secondo il filosofo, è un ente puramente corporeo e condivide, quindi, lo stesso destino degli animali, ma, a differenza di questi ultimi, ha dei bisogni che, non riuscendo a soddisfare sul piano materiale-terreno, si illude di appagarli “creando” col proprio pensiero una divinità  spirituale ultra-terrena capace di offrire una risposta a tutte le domande di carattere esietenziale che l’uomo si pone.
“Gli dei – diceva Feuerbach – sono degli uomini ingigantiti”, quindi la religione, come tale, è pura proiezione umana.
Il filosofo capovolge il versetto biblico: non Dio che crea l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma è il contrario.
Nella religione l’uomo quindi si aliena, adorando una sua creazione e la filosofia ha il compito di demistificare il fenomeno religioso, mostrando che dietro la maschera della divinità si nasconde l’umanità. Quindi ciò che chiamiamo Dio non è altro che l’immagine dell’uomo: Dio non esiste e l’umanità è la vera divinità.
Stirner critica Feuerbach perché quest’ultimo sostituisce Dio con l’umanità, affermando che Dio è una proiezione umana, senza rendersi che anche l’ “umanità” è una proiezione, perché esiste non l’umanità, che è un’astrazione, ma questo o quell’uomo.
Stirner rileva che l’ alienazione religiosa rimane anche quando l’individuo umano si mette in rapporto  con l’umanità, cioè con l’essenza dell’uomo: per l’individuo anche l’umanità è un dio.
Stirner afferma il primato dell’individuo (l’Unico), isolandolo da tutto ciò che rappresenta l’universalità; quindi lo Stato, in quanto garante del bene comune, deve essere distrutto tramite l’”insurrezione” degli individui.
L’antropologia materialista  di Marx, a differenza da quella degli altri filosofi della Sinistra, è di carattere storicistico, poiché viene negato che l’uomo abbia un’essenza immutabile e universale,  perché l’uomo, secondo il filosofo si fa nella storia,  nel senso che l’essere umano cambia nel tempo, essendo determinato nel suo modo di pensare e di vivere dalle struttere economico-sociali che si succedono nella storia e nelle quali è inserito.
Secondo Marx, come per i filosofi precedenti, è necessario che l’essere umano venga liberato dalla religione per potere vivere in modo autentico, ma la sua  critica alla religione, e al Cristianesimo in particolare, è molto più radicale. Infatti, secondo lui, la religione è “l’anelito dell’umanità sofferente”, quindi il sintomo di un disagio, di una malattia da curare; ma per curare il sintomo bisogna trovare la causa. Essa è rintracciabile nelle strutture economiche della società.
La filosofia marxiana è l’opposto di quella hegeliana: per Hegel tutto è Pensiero, per Marx tutto è materia, ma essa è anche in continuità con l’idealismo hegeliano. Infatti Marx utilizza il metodo dialettico, elaborato da Hegel, applicandolo al mondo materiale (materialismo dialettico) e alla società e alla storia (materialismo storico).
Secondo la sua analisi materialistica della storia tutta la vita sociale, morale, religiosa e culturale in generale, dipende dalle strutture economiche. La struttura economica capitalistica, basata sullo sfruttamento dei proletari da parte dei capitalisti, genera un insieme di sovrastrutture ideologiche (filosofie, arti, religioni, ecc.) funzionali al mantenimento e potenziamento della struttura economica che le ha generate.
Il Cristianesimo è funzionale al capitalismo perché è un “oppio del popolo”. Infatti il popolo sofferente per essere sfruttato da un sistema economico ingiusto e oppressivo si rifugia in una realtà trascendente illusoria, invece di combattere per fare rispettare i propri diritti.
Marx afferma il principio secondo il quale la filosofia ha il compito di cambiare la realtà e non di interpretarla speculativamente: passaggio dalla teoria alla prassi.
Il cambiamento radicale della società capitalistica, repressiva e sfruttatrice, deve avvenire, secondo il filosofo, tramite una rivoluzione, che  comporterà la liberazione dalle false idee che hanno egemonizzato il modo di pensare della società borghese, poiché, scrive Marx: 
“Finora gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell’uomo normale, ecc., essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature. Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dall’immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono. Ribelliamoci contro questa dominazione dei pensieri”[1]. 
La rivoluzione proletaria è, secondo il filosofo, un evento necessario, che si realizza per superare le contraddizioni esistenti tra le forze produttive, borghesia e classe operaia, che sono le due grandi classi contrapposte l’una all’altra.
L’esito finale del processo rivoluzionario sarà il comunismo, nel quale lo sviluppo storico giungerà a compimento e saranno rimosse tutte le contraddizioni presenti nella società borghese. Nella società comunista regneranno la giustizia, la libertà e la pace, perché non esisterà più la proprietà privata, fonte di conflitti e di contrasti; verrà abolito lo Stato, considerato come la forma di organizzazione che la borghesia utilizza per garantire le sue proprietà e i suoi interessi; scompariranno le classi sociali, le quali hanno caratterizzato l’intera storia dell’umanità, segnata da continue lotte tra esseri umani appartenenti a classi diverse: 
“La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto tra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina delle classi in lotta”[2]. 
Nella società comunista non ci saranno conflitti e regneranno la pace, la giustizia e la libertà, che il Cristianesimo ipostatizzava come esistenti in un regno ultramondano, e l’uomo sarà finalmente liberato dalla religione, che è “l’oppio del popolo”.
La realtà storica è stata ben diversa da quella preconizzata da Marx poiché nei paesi dove il marxismo è divenuto filosofia di stato i risultati sono stati disastrosi. Infatti si è tentato di cambiarele strutture economiche, ma l’uomo  ha trovato non la felicità, ma dolore e angoscia, perché i soli beni materiali non possono soddisfare i desideri profondi che ogni uomo scopre in se stesso. 

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NOTE
[1] K. Marx, Ideologia tedesca, K. Marx, Ideologia tedesca. Critica della più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti Feuerbach, B. Bauer e Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi profeti, Introduzione di L. Luporini, Editori Riuniti, Roma 1991, p. 13.
[2] Id., Il manifesto del partito comunista, Editori Riuniti, Roma 1990, p. 5.

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L'umanesimo antipersonalista (Terza parte)

L'antipersonalismo nel pensiero contemporaneo. Lo scientismo


Nella filosofia contemporanea si sono sviluppate due correnti di pensiero che hanno delineato due differenti paradigmi antropologici, uno di tipo esistenzialistico e l’altro di carattere scientifico e la cui genesi è individuabile nella riflessione condotta da Kierkegaard sulla concreta realtà esistenziale e nell’analisi scientifica della natura umana compiuta da Comte.
Kierkegaard, come vedremo, contesterà a Hegel l’astrattezza del suo sistema idealistico, nel quale non c’è posto per la vita concreta del singolo. Una critica alla filosofia hegeliana è rivolta anche da Comte, ma da un punto di vista scientifico, infatti questo filosofo progetta una inedita immagine dell’uomo, derivante  dai risultati delle scienze empiriche, in particolare della psicologia, della biologia e della sociologia.
Secondo Comte il periodo storico in cui vive, il XIX secolo, è un’ ”epoca critica”[1] perché l’affermazione delle scienze della natura (fisica, chimica, biologia, ecc.) e del loro metodo sperimentale entra in collisione con una mentalità metafisica ancora diffusa nella cultura, che ostacola il progresso dell’umanità.
La filosofia della scienza di Comte è denominata Positivismo, intendendo per “positivo”  la realtà (i fenomeni) studiata dalla scienza e l’utilità che questo studio rappresenta per migliorare le condizioni di vita sociale.
Scrive in proposito:
“Considerata nella sua accezione più antica e più comune, la parola positivo designa il reale, in opposizione al chimerico: da questo punto di vista, essa conviene pienamente al nuovo spirito filosofico, così caratterizzato dalla sua costante consacrazione alle ricerche veramente accessibili alla nostra inteligenza, con l’esclusione permanente degli impenetrabili misteri di cui si occupava soprattutto la sua infanzia. In un secondo senso, molto vicino al precedente, ma tuttavia distinto, questo termine fondamentale indica il contrasto dell’utile con l’inutile: allora ricorda, in filosofia la destinazione necessaria di tutte le nostre sane speculazioni al miglioramento continuo della nostra vera condizione, individuale e collettiva, invece che alla vana soddisfazione di una sterile curiosità”[2].
Secondo il filosofo soltanto la scienza è razionale ed  è quindi l’unica forma di sapere in grado di scoprire la vera realtà delle cose, ma la scienza indaga come è fatto il mondo e non perché esso esiste, cioè non si interroga sulle cause ultime della realtà. Infatti il compito della scienze naturali consiste unicamente nel rilevare le leggi che regolano i fenomeni studiati secondo le metodiche sperimentali specifiche di ogni disciplina.
Comte applica la metodologia propria della fisica per analizzare scientificamente le leggi della società ed elaborà una fisica sociale: nasce così la sociologia.
Il filosofo analizza la società in una prospettiva storica, infatti la sua indagine scientifica ha per oggetto la storia dell’umanità, la quale si sviluppa in modo progressivo tramite tre stadi: “lo stadio teologico o fittizio; lo stadio metafisico o astratto; e lo stadio scientifico o positivo”[3].
Nello stadio iniziale, cioè in quello teologico, l’essere umano “si rappresenta i fenomeni come prodotti dall’azione diretta e continua di agenti soprannaturali, più o meno numerosi […]”[4].
Nello stadio metafisico “gli agenti soprannaturali sono sostituiti da forze astratte, vere entità (=astrazioni personificate) inerenti ai diversi esseri del mondo […]”[5].
Nello stadio finale l’umanità è finalmente liberata dalla conoscenza erronea e mistificatrice degli stadi precedenti perché si è affermata l’epoca della scienza[6], nella quale si prende atto che è impossibile conoscere le cause ultime della realtà, perché essa può essere soltanto spiegatasecondo la metodologia scientifica.
Scrive in proposito:
“Infine, nello stadio positivo, lo spirito umano, riconoscendo l’impossibilità di avere delle nozioni assolute, rinuncia ad indagare sull’origine e il destino dell’universo, e a conoscere le intime cause dei fenomeni,  per tentare di scoprire unicamente, mediante l’uso ben combinato della ragione e dell’esperienza, le loro leggi effettive, ossia le loro relazioni  invariabili di somiglianza e di successione. La spiegazione dei fatti, ridotta allora in termini reali,  altro non è che il legame stabilito tra i diversi fenomeni  particolari e qualche fatto generale,  il cui numero tende via via a dimunuire in seguito al progresso della scienza”[7] .
La storia umana, secondo Comte, progredisce[8] di bene in meglio e arriva al suo apice nell’ultimo stadio evolutivo, nel  quale grazie ai risultati offerti dalle scienze, l’umanità scopre di essere divina, cioè, scrive Comte, “un Essere immenso e eterno, l’Umanità”[9].
Dal Positivismo si sono originate nel tempo il Neo-positivismo e la filosofia della scienza odierna, popperiana e post-popperaiana, la quale non si riconosce nelle posizioni di Comte.
Essa infatti non divinizza l’uomo e soprattutto Popper considera assolutamente privo di scientificità il concetto di progresso inteso come sviluppo necessario e inevitabile, evidenziando in esso la matrice storicistica hegeliana.  Inoltre le teorie scientifiche non vengono intese come rispecchiamento fedele della realtà indagata, ma sono considerate come dei modelli interpetativi ipotetici che possono essere falsificati da nuove scoperte o da nuove teorie più esplicative.
In particolare la razionalità scientifica è una forma di razionalità, ma non l’unica. Infatti,  secondo Popper, il sapere scientifico è caratterizzato dalla controllabilità delle sue teorie, deve cioè essere possibile estrarre da esse delle conseguenze che possono essere confermate o smentite dai fatti. Il criterio della controllabilità empirica delle teorie è il critierio di demarcazione tra la scienza e tutti gli altri tipi di sapere, come ad esempio la metafisica e la teologia.
L’epistemologia odierna, a differenza di quella positivistica, è consapevole dei limiti metodologici della scienza, ma il fatto che si stia affermando oggi sempre più un modo di pensare relativistico, per cui “non esiste la realtà, ma solo interpretazioni”, può comportare il rischio di considerare la scienza e la sua applicazione, cioè la tecnica, come l’unico modo valido di conoscere e di operare anche sul piano antropologico, perché è unanime il consenso riguardo al valore e all’utilità della ricerca scientifica.
La scienza e la tecnica possono così essere di fatto assolutizzate, rischiando di considerare l’essere umano soltanto utilizzando le scienze empiriche, le quali, per limiti metodologici, sono impossibilitate ad indagare le dimensioni più profonde, di carattere spirituale, essendo esse  non osservabili e non controllabili empiricamente.
Inoltre potrebbe essere considerato moralmente lecito tutto ciò che è scientificamente e tecnicamente fattibile, aprendo la strada anche a sperimentazioni genetiche eticamente inaccettabili. 
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NOTE
[1]  Cfr. A. Comte, Corso di filosofia positiva, Lezione  LV, a cura di A. Lunardon, Editrice La Scuola, Brescia 1987, III ed., pp. 175-178.
[2] Idem, Discours sur l’esprit positif, Schleicher, Paris 1909, p. 50. Due significati secondari del termine positivo sono la certezza e la precisione (cfr. ibidem, pp. 50-51).
[3] Idem, Corso di filosofia positiva, Lezione I, cit., p. 9.
[4] Ibidem, p. 10.
[5] Ibidem.
[6] Il positivista Stuart Mill riteneva che l’ Etologia, da lui definita “scienza del carattere”, avrebbe potuto  essere in grado di determinare, sul fondamento dello studio scientifico della natura umana, le circostanze adatte per la formazione di caratteri prestabiliti del genere umano. Scrive infatti: “le leggi generali  dei diversi elementi costitutivi della natura umana sono anche ora abbastanza conosciute, tanto da rendere possibile al pensatore competente  dedurre da queste leggi, con una notevole approssimazione alla certezza, il tipo particolare di carattere che si formerebbe generalmente nel genere umano, con un determinato insieme di circostanze. Una scienza dell’etologia, fondata sulle legge della psicologia, è perciò possibile […]” (J.Stuart Mill, System of logic, Longmans and Green, London 1872, cap. VI).
[7] A. Comte, Corso di filosofia positiva, Lezione Icit., p.10.
[8] Comte considerava il  progresso indissolubilmente collegato all’ordine. Scrive  infatti:“L’ordine e il progresso, che l’antichità considerava come assolutamente inconciliabili,  rappresentano sempre più, per la natura della civiltà moderna, due condizioni egualmente importanti, la cui intima e indissolubile combinazione caratterizza ormai sia la fondamentale difficoltà sia la principale risorsa di ogni vero sistema politico. Nessun ordine reale può più essere stabilito, né soprattutto durare, se non è pienamente compatibile con il progresso; nessun grande progresso potrebbe effettivamente compiersi, se non tendesse infine all’evidente consolidamento dell’ordine” ( A. Comte, Corso di filosofia positiva, Lezione XLVI, cit., p. 89). 
[9] A. Comte, Catéchisme positiviste, Baillière, Paris 1866. p. 69.